BIBLIOTECA DI LUCE | SCARICARE IL LIBRO |
CIELO
E INFERNO
Emanuel Swedenborg
1758
2004
2010
www.angelo-luce.it
www.angels-heaven.org
INDICE
(*)
PREMESSA
(**)
EMANUEL SWEDENBORG: LA VITA (1688-1772)
(I)
IL CIELO
(1)
OSSERVAZIONI PRELIMINARI DELL’AUTORE
(2)
IL SIGNORE È IL DIO DEL CIELO
(3)
LA DIVINITÀ DEL SIGNORE CREA IL CIELO
(4)
IL DIVINO DEL SIGNORE NEL CIELO È L’AMORE PER LUI E L’AMORE PER IL PROSSIMO
(5)
IL CIELO CONSISTE IN DUE REGNI
(6)
ESISTONO TRE CIELI
(7)
I CIELI CONSISTONO IN INNUMEREVOLI SOCIETÀ
(8)
OGNI SOCIETÀ È IL CIELO IN FORMA PIÙ PICCOLA, E OGNI ANGELO LO È NELLA FORMA MINIMA
(9)
IL CIELO NEL SUO COMPLESSO RAPPRESENTA UN UNICO UOMO
(10)
OGNI SINGOLA SOCIETÀ NEI CIELI RAPPRESENTA UN UOMO
(11)
OGNI ANGELO HA QUINDI UNA PERFETTA FORMA UMANA
(12)
LA NATURA UMANA E DIVINA DEL SIGNORE FA SÌ CHE IL CIELO NEL SUO INSIEME E NEL PARTICOLARE RAPPRESENTI UN UOMO
(13)
CORRISPONDENZA DI TUTTE LE COSE DEL CIELO CON TUTTE LE COSE DELL’UOMO
(14)
ESISTE UNA CORRISPONDENZA DEL CIELO CON TUTTE LE COSE DELLA TERRA
(15)
IL SOLE IN CIELO
(16)
LA LUCE E IL CALORE NEL CIELO
(17)
LE QUATTRO REGIONI NEL CIELO
(18)
IL CAMBIAMENTO DI STATO DEGLI ANGELI NEL CIELO
(19)
IL TEMPO NEL CIELO
(20)
LE IMMAGINI E LE APPARENZE IN CIELO
(21)
LE VESTI DI CUI GLI ANGELI APPAIONO VESTITI
(22)
LE ABITAZIONI E LE DIMORE DEGLI ANGELI
(23)
LO SPAZIO IN CIELO
(24)
LA FORMA DEL CIELO DETERMINA LE CONSOCIAZIONI E LE COMUNICAZIONI
(25)
I GOVERNI NEL CIELO
(26)
IL CULTO DIVINO IN CIELO
(27)
IL POTERE DEGLI ANGELI DEL CIELO
(28)
IL LINGUAGGIO DEGLI ANGELI
(29)
IL LINGUAGGIO DEGLI ANGELI CON L’UOMO
(30)
LE SCRITTURE NEL CIELO
(31)
LA SAGGEZZA DEGLI ANGELI DEL CIELO
(32)
LO STATO DI INNOCENZA DEGLI ANGELI IN CIELO
(33)
LO STATO DI PACE IN CIELO
(34)
L’UNIONE DEL CIELO CON IL GENERE UMANO
(35)
L’UNIONE DEL CIELO CON L’UOMO ATTRAVERSO LA SCRITTURA
(36)
CIELO E INFERNO PROVENGONO DAL GENERE UMANO
(37)
I PAGANI, O I POPOLI CHE VIVONO FUORI DALLA CHIESA, IN CIELO
(38)
I BAMBINI IN CIELO
(39)
I SAGGI E I SEMPLICI IN CIELO
(40)
I RICCHI E I POVERI IN CIELO
(41)
I MATRIMONI IN CIELO
(42)
LE FUNZIONI DEGLI ANGELI IN CIELO
(43)
LA GIOIA E LA FELICITÀ CELESTI
(44)
L’IMMENSITÀ DEL CIELO
(II)
IL MONDO DEGLI SPIRITI
(45)
LO STATO DELL’UOMO DOPO LA MORTE. COS’È IL MONDO DEGLI SPIRITI
(46)
OGNI UOMO È UNO SPIRITO, PER QUELLO CHE RIGUARDA LA SUA INTERIORITÀ
(47)
LA RESURREZIONE DELL’UOMO DAI MORTI E IL SUO INGRESSO NELLA VITA ETERNA
(48)
DOPO LA MORTE L’UOMO HA UNA PERFETTA FORMA UMANA
(49)
L’UOMO DOPO LA MORTE È IN POSSESSO DI TUTTI I SUOI SENSI, DELLA MEMORIA, DEL PENSIERO, DEGLI AFFETTI CHE AVEVA NEL MONDO: ABBANDONA SOLTANTO IL SUO CORPO TERRENO
(50)
L’UOMO, DOPO LA MORTE, È COSÌ COME È STATA LA SUA VITA NEL MONDO
(51)
DOPO LA MORTE, LE GIOIE DELLA VITA DI OGNUNO SONO TRASFORMATE IN GIOIE CORRISPONDENTI
(52)
IL PRIMO STATO DELL’UOMO DOPO LA MORTE
(53)
IL SECONDO STATO DELL’UOMO DOPO LA MORTE
(54)
IL TERZO STATO DELL’UOMO DOPO LA MORTE, CHE È UNO STATO DI ISTRUZIONE PER COLORO CHE ENTRANO NEL CIELO.
(55)
NESSUNO ENTRA IN CIELO PER MISERICORDIA IMMEDIATA
(56)
NON È DIFFICILE COME SI CREDE CONDURRE LA VITA CHE PORTA AL CIELO
(III)
L’INFERNO
(57)
IL SIGNORE GOVERNA L’INFERNO
(58)
IL SIGNORE NON PRECIPITA NESSUNO ALL’INFERNO; È LO SPIRITO CHE VI SI PRECIPITA DA SOLO
(59)
TUTTI COLORO CHE SONO ALL’INFERNO SONO NEL MALE E NEL FALSO A CAUSA DELL’AMORE DI SÉ E DEL MONDO
(60)
IL FUOCO INFERNALE E LO STRIDORE DI DENTI
(61)
LE CATTIVERIE E GLI ABOMINEVOLI ARTIFICI DEGLI SPIRITI INFERNALI
(62)
L’APPARENZA, LA SITUAZIONE E LA PLURALITÀ DEGLI INFERNI
(63)
L’EQUILIBRIO TRA CIELO E INFERNO
(64)
L’UOMO È NELLA LIBERTÀ GRAZIE ALL’EQUILIBRIO TRA CIELO E INFERNO
(65)
BIBLIOGRAFIA
(*)
PREMESSA
Nel 1858 la Royal Library di Stoccolma acquistò un manoscritto non identificato appartenuto a un certo professor Scheringson, morto nove anni prima. Si trattava di una specie di diario, 104 pagine in tutto, scritte a mano: la storia di un’anima. L’autore si chiamava Emanuel Swedenborg, scienziato dagli interessi multiformi ed enciclopedici, certamente uno dei geni del XVIII secolo, che di colpo nel 1744, quando aveva 56 anni, aveva cominciato ad essere protagonista di insolite esperienze che lo sconcertavano e lo colpivano profondamente.
Da autentico scienziato, Swedenborg aveva preso accuratamente nota di ogni dettaglio, lasciando così un documento eccezionale della metamorfosi che era avvenuta in lui. Le prime pagine del diario parlano infatti di vicende quotidiane: un viaggio per mare con partenza da Stoccolma, il resoconto delle cose viste e delle persone incontrate, la consegna di un manoscritto a un editore. Ma a questo punto il racconto si interrompe: ci sono alcune pagine vuote, e quindi inizia la descrizione di una serie di sogni, accompagnata spesso dal tentativo di interpretarli e di riferirli alla propria vita e alla propria attività.
Non erano sogni certo normali quelli che Swedenborg, giorno dopo giorno, trascriveva nel suo diario, ma sogni provvisti di una loro carica particolare: altrimenti, da quel rigoroso scienziato che era, Swedenborg non avrebbe dedicato loro la sua attenzione. Erano sogni, o meglio visioni, che avvenivano in trance, prima e dopo il sonno. Visioni belle e visioni terribili, che però col tempo si fecero sempre più armoniche, finché cominciarono a contenere messaggi provenienti dal mondo spirituale: quello nel quale d’ora in avanti Swedenborg sarà ammesso e di cui ci ha lasciato la descrizione in tante opere.
Il diario (Il Diario dei Sogni), pubblicato nel 1859 in latino, segnò la trasformazione di Swedenborg da famoso scienziato in «servo del Signore».
Di lui lo psicologo americano Van Dusen ha scritto: «Avendo esaurito tutti i campi conosciuti della scienza umana, Swedenborg scelse di esplorare se stesso nel modo più diretto possibile: attraverso visioni, trance ed esperienze ipnagogiche. Si consideri che a quel tempo non c’erano psicologi né psicoanalisti, e che in pratica nessuno si occupava di processi interiori e di sogni, eccetto qualche monaco isolato e qualche mistico. Era terra incognita quella che Swedenborg si accingeva ad esplorare, mettendo a rischio la propria vita e la propria salute mentale».
Ma chi era Emanuel Swedenborg, l’uomo al quale oltre due secoli fa si aprirono le porte del mondo spirituale di cui lasciò tante impressionanti descrizioni ? L’uomo che infuse un rispettoso stupore a Kant, al quale un altro grande filosofo, Emerson, dedicò parole entusiaste, che influenzò profondamente Goethe e Jung e di cui Elizabeth Barret Browning disse: «A mio giudizio, la sola luce che possediamo sull’altra vita si trova nella filosofia di Swedenborg ?».
Vediamone innanzitutto le vicende di vita.
(**)
EMANUEL SWEDENBORG: LA VITA
(1688-1772)
- di Paola Giovetti
La famiglia
Chi visita la cattedrale di Uppsala dove riposano i grandi cittadini svedesi, trova un sarcofago di granito col nome Emanuel Swedenborg. Qui è sepolto uno dei più straordinari figli della Svezia. I suoi resti mortali, custoditi in Inghilterra dove Swedenborg era morto, furono nel 1910 traslati a Uppsala per ordine del re Gustavo V, che inviò a questo scopo un brigantino in Inghilterra: un onore riservato a re, vescovi e generali.
Emanuel Swedenborg, l’uomo che diede uno straordinario contributo scientifico e filosofico al suo tempo, discendeva da antiche famiglie svedesi in cui si tramandavano tradizionalmente l’attività mineraria e quella pastorale.
Ereditò quindi da un lato senso pratico, abilità tecnica e scientifica, gusto per i segreti della natura, e dall’altro spiritualità e interiorità, tipici per altro del luteranesimo nordico e svedese in particolare. Nella vita di Swedenborg questi due aspetti sono entrambi presenti, anche se in periodi diversi: nella prima parte della sua vita si dedicò infatti alla scienza e fu assessore alle miniere della corte svedese, nella seconda parte si rivolse interamente alla religione, alla teologia, alla spiritualità.
Il nonno paterno Daniel Isakson era proprietario di miniere di rame e il nonno materno Albrecht Boehm era assessore al Reale Collegio delle Miniere.
Il bisnonno paterno era stato pastore, come del resto era pastore il padre stesso di Emanuel Swedenborg, che fu uomo di grande cultura, divenne in seguito vescovo ed ebbe un peso notevole nella formazione del figlio.
Jesper Swedberg (1) è una figura che riveste un ruolo di primo piano in quell’epoca storica caratterizzata politicamente dalle imprese di Carlo XI e Carlo XII e religiosamente dal confronto fra l’ortodossia luterana e il movimento rinnovatore del pietismo. (2) Pur senza venir meno allo spirito della sua confessione, il vescovo Jesper seppe aprirsi alle idee riformatrici del pietismo tedesco, che privilegiava l’esperienza religiosa intima e personale, l’amore per il prossimo e la carità attiva. Fu una personalità estremamente dinamica, che seppe trasmettere alla sua famiglia e all’ambiente in cui viveva una grande pietà e fervore religioso. Fu anche autore di numerose opere teologiche e di una poderosa autobiografia di oltre mille pagine, interessante per la descrizione delle vicende personali e familiari, ma anche e soprattutto per le ampie informazioni sulla vita politica, sociale, religiosa, ecclesiastica e spirituale del suo tempo.
(1) Il nome Svedberg fu trasformato in Swedenborg quando la famiglia del vescovo Jesper fu fatta nobile, nel 1719. Emanuel, che era il figlio maschio maggiore, divenne così barone.
(2) Riteniamo utile riportare per sommi capi le notizie essenziali relative alle vicende storico-politiche della Svezia al tempo in cui visse Swedenborg.
Carlo XI (1655-1697) salì al trono ancora bambino nel 1660. Suo padre Carlo Gustavo, succeduto alla regina Cristina nel 1654, aveva condotto una politica di espansione; nel 1655 aveva invaso la Polonia e conquistato Varsavia e Cracovia. Era seguita una guerra con la Danimarca, che dopo alterne vicende si era conclusa nel 1660 con una pace affrettata per la morte improvvisa del re. Essendo suo figlio Carlo XI minorenne, il potere fu assunto da un collegio di nobili. Quando salì al trono, Carlo XI riuscì a farsi riconoscere dal Parlamento il potere assoluto, recuperò molti dei beni finiti nelle mani dei nobili per donazioni e acquisti, e creò un nuovo sistema finanziario: assegnò terre a militari e funzionari quale compenso per la loro opera, destinò redditi fissi dello Stato a determinate spese. Su questa base ricostruì l’esercito e la flotta. Ebbe il diritto di emanare leggi motu proprio e di decretare imposte. Condusse una politica pacifica con l’estero, dopo quella troppo avventurosa dei suoi predecessori.
Carlo XII (1682-1718) figlio suo e di Ulrica Eleonora di Danimarca, colto e vitalissimo, si pone in testa la corona da solo a 17 anni, a simboleggiare il potere assoluto. Seguì le tradizioni paterne di restituzione alla corona dei beni dei nobili, curò l’ortodossia ecclesiastica e portò a termine la nuova traduzione della Bibbia iniziata dal padre (Bibbia di Carlo XII). In politica estera fu indotto alla guerra dalla Russia, che minacciava i suoi confini e si era alleata con Polonia e Danimarca. Carlo vinse i nemici separatamente e nel 1706 elesse in Polonia a re Stanislao Leszczynski, che alleato con la Svezia avrebbe dovuto condurre i polacchi contro la Russia. Seguì la fatale campagna di Russia, che fallì per epidemie e difficoltà di approvvigionamento. Lo zar non accettò la battaglia campale e l’inverno russo decimò quanto era rimasto dell’esercito di Carlo. Il re, ferito, riparò in Turchia, che cercò invano di convincere a combattere contro la Russia; tornò in patria nel 1714, dove fu accolto come un trionfatore. Si dedicò allora a riorganizzare lo Stato e a combattere chi minacciava l’integrità della Svezia. Nel 1718 si rivolse contro la Norvegia e morì in battaglia colpito da una palla alla tempia. Fu uno dei maggiori tattici del suo tempo; amatissimo dai suoi soldati, con cui divideva la semplice vita, fu considerato eroe nazionale. Ad accrescere il suo mito, contribuì il Voltaire con la sua celebre Histoire de Charles XII.
Essendo Carlo celibe, alla sua morte salì al trono la sorella Ulrica Eleonora, che nel 1720 abdicò in favore del marito Federico I (1720-1751). Sotto di lui il potere regio fu ridotto e i nobili riconquistarono potere. Si sviluppa il Parlamento, viene condotta una politica moderata sia all’interno che all’estero. Le piaghe della guerra vengono risanate e sviluppata la politica economica.
Jesper credeva nell’influenza diretta del mondo celeste su quello terreno: credeva negli angeli e nei demoni e aveva anche esperienze visionarie. Si sentiva sotto la protezione dell’angelo custode fin da quando, bambino, era finito in un torrente e di qui sotto la ruota di un mulino, e si era miracolosamente salvato. Da allora non abbandonò mai la sua fiducia nei confronti dell’angelo protettore. Altrettanto viva e concreta era per lui la presenza del diavolo: a lui attribuì per esempio gli incendi che per ben tre volte gli bruciarono la casa, distruggendo tutto quanto possedeva. Era anche convinto che i defunti dal cielo partecipassero ancora alla vita dei loro cari in terra. Il figlio Emanuel ereditò certamente dal padre la sua capacità di vedere “l’invisibile”.
Jesper Svedberg era però anche un uomo pratico e concreto, che viaggiò molto in tutta Europa per studiare la vita religiosa ed ecclesiastica delle altre nazioni, specie Francia, Germania e Inghilterra.
Dopo il matrimonio con Sarah Boehm divenne predicatore del reggimento della Guardia di Stoccolma e in seguito predicatore di corte, ed ebbe quindi modo di frequentare la migliore società e di farsi apprezzare da Carlo XI:
insieme discutevano di come migliorare l’istruzione scolastica, che stava molto a cuore ad entrambi, e di altri problemi pratici. Il re lo nominò poi professore di teologia all’università di Uppsala, di cui col tempo divenne anche rettore; fu quindi a lungo responsabile della vita accademica di quella importante città universitaria. Contemporaneamente divenne decano della cattedra di Uppsala ed esercitò un notevole influsso sulla vita pubblica della città e dell’intero paese.
Nel 1702 fu nominato vescovo di Skara e per la sua fervida opera concreta e spirituale presso tutti i ceti sociali della sua diocesi divenne in breve una figura popolare e carismatica nota in tutta la Svezia. Si occupò sempre di problemi scolastici e catechistici, di cura pubblica e privata delle anime. Fu consigliere di Carlo XII e della regina Ulrike Eleonore, fu nominato dal re membro della commissione per la traduzione della Bibbia in svedese e lavorò attivamente alla revisione dell’intero testo. In seguito si preoccupò sempre che in ogni famiglia svedese non mancasse una copia della Bibbia.
Si dice per altro che fosse anche una persona allegra, amante della musica e della buona compagnia, di buon carattere, tollerante e benevolo con tutti, incapace di rancori. E’ ovvio che nell’educazione dei suoi numerosi figli, di cui si occupò sempre con passione e per i quali trovava sempre tempo, una personalità forte come la sua esercitasse un forte influsso.
Infanzia e gioventù
Jesper era ancora predicatore a Stoccolma quando Emanuel nacque il 29 gennaio 1688, terzo degli otto figli che il prelato ebbe dalla prima moglie. Il nome Emanuel, che significa «Dio con noi», era stato scelto dal padre per invocare su di lui la costante presenza di Dio e affinché avesse sempre presente questa unione col Creatore.
Della infanzia di Emanuel non si sa molto: aveva appena otto anni quando perse la madre, tuttavia il carattere tranquillo e benevolo di lei lasciò un segno profondo nell’animo del bambino che fu allevato dalla sorella maggiore e dalla matrigna.
Da piccolo Emanuel manifestò un ardore religioso che colpiva anche i familiari: pregava molto ed era attirato verso tutte le manifestazioni religiose.
Prestissimo e spontaneamente si abituò a una particolare «respirazione interiore» (così lui stesso ebbe in seguito a definirla nel suo Diario spirituale), che usava quando mattina e sera diceva le preghiere e attraverso la quale in seguito riusciva a mettersi in contatto con angeli e spiriti (3).
(3) Si trattava in realtà di una tecnica yoga, che comprendeva il «blocco intenzionale del movimento involontario della mente», allo scopo di accrescere la coscienza cosmica. Quando era bambino, Emanuel tratteneva il respiro quando pregava in famiglia e cercava di adeguare la respirazione al battito cardiaco, notando che in questo modo il suo stato di coscienza si trasformava: in pratica, una forma di intuitivo pranayama. Nella sua vita successiva Swedenborg ebbe modo di rendersi conto sempre più della dilatazione di coscienza che si produceva quando il respiro diventava più lento e si sincronizzava col battito cardiaco, e ne fece un uso costante.
In una lettera indirizzata molti anni dopo, quando era ormai vecchio, al suo amico dr. Beyer, Swedenborg scrisse rievocando la sua infanzia: «Dai 4 ai 10 anni i miei pensieri erano costantemente dedicati a Dio, alla beatitudine e agli stati spirituali degli uomini. Spesso dicevo cose che stupivano i miei genitori, i quali pensavano che gli angeli parlassero per bocca mia». E’ indubbio che fin da allora l’educazione religiosa e l’ambiente spirituale della famiglia, ma soprattutto l’influsso paterno, sviluppassero in lui il senso della presenza, concretezza e realtà del mondo ultraterreno. Tuttavia col passare degli anni e il contatto con la scuola e la tradizione scientifica del suo tempo avvenne una frattura con l’atteggiamento religioso della sua infanzia: i suoi interessi si rivolsero interamente alla scienza, e bisognerà aspettare che avesse più di 50 anni per ritrovare in lui esperienze religiose e visioni.
Quando il padre divenne vescovo di Skara, il giovane Emanuel rimase a Uppsala per studiare, e fu indirizzato verso le materie scientifiche dal cognato Erik Benzelius, marito della sorella Anna e maggiore di lui di tredici anni, studioso e umanista già noto e affermato. A quanto risulta dalle lettere, in quegli anni Benzelius fece anche da mediatore fra Emanuel e il padre, che non vedeva di buon occhio l’evoluzione interiore del figlio, che sempre più si staccava dalla religione per dedicarsi alla scienza.
L’incontro con la scienza
Il mondo accademico con cui Swedenborg venne in contatto all’università di Uppsala era quello dell’umanesimo svedese. In un certo senso arretrato rispetto a quello di altri paesi europei, dove le scienze già avevano scosso l’antico predominio delle materie umanistiche. In Svezia l’umanesimo, che per altro vi era giunto tardi rispetto al centro Europa, continuava a dominare incontrastato. L’insegnamento universitario offriva in quel tempo a Uppsala quattro campi-base di studio: teologia, legge, medicina e filosofia.
Quest’ultima comprendeva allora anche scienze e matematica, che non costituivano insegnamenti a se stanti.
Anche Benzelius, il cognato di Emanuel Swedenborg, seguiva questa impostazione: storia antica e moderna, filosofia, letteratura, linguistica comparata, antichità nordiche. Benzelius era però uno spirito illuminato, che si occupava anche di scienza moderna e si adoperava perché a Uppsala le materie scientifiche avessero maggior spazio. Credeva nello sviluppo della scienza, era in corrispondenza con i rappresentanti dell’Europa scientifica e incitava i giovani talenti ad andare a studiare all’estero, raccomandandoli ai suoi collaboratori ed amici.
Emanuel fu introdotto dal cognato nell’ambiente universitario, dove ben presto si distinse. Era in grado di scrivere in latino, la lingua colta del tempo, sia in prosa che in poesia, e in seguito imparò anche inglese, olandese, francese e italiano. Suonava l’organo ed era dotato di una grande versatilità.
Le sue predilezioni si indirizzarono però rapidamente verso le scienze: matematica, geometria, astronomia, tecnica lo affascinavano. In questi campi, oltre al cognato, ebbe come maestro – specie per la fisica e la geologia - un altro grande umanista svedese, Olav Rudbeck. Il suo modello però era l’ingegner Christopher Polhem, notevole personaggio stimatissimo da Carlo XII e autore di tutti i suoi progetti militari, minerari e navali. Swedenborg vide in lui la quintessenza della scienza moderna e desiderò subito conoscerlo e possibilmente diventare suo assistente. Su sua sollecitazione, il vescovo Jesper scrisse a Polhem pregandolo di accogliere il figlio nella sua casa e lo scienziato, che certamente doveva aver già avuto modo di apprezzare le doti del giovane, acconsentì di buon grado. E in effetti fra i due iniziò una fruttuosa collaborazione; Polhem apprezzava l’assistenza di Emanuel, specie nei progetti di meccanica per i quali lo trovava particolarmente versato.
Contemporaneamente però veniva crescendo in Swedenborg il desiderio di un viaggio di studi in Inghilterra, dove la nuova scienza stava evolvendosi molto più celermente che in Svezia: qui insegnavano personalità come Newton, Halley, Flamsteed, qui c’erano gli osservatori, i laboratori, le attrezzature tecniche; soprattutto c’era la Royal Society che, sotto il patrocinio della corona, riuniva i rappresentanti delle scienze moderne.
Benzelius aiutò molto il giovane cognato a realizzare questo viaggio:
convinse il vescovo Jesper a lasciar partire il figlio e mise a disposizione di Emanuel le sue numerose conoscenze inglesi. Nel settembre del 1710, a 22 anni, Swedenborg partì finalmente per l’Inghilterra, pieno di progetti e di aspettative.
Gli studi all’estero
La meta tanto attesa non si presentò né facile da raggiungere né cordiale: la nave che da Goteborg doveva portare Emanuel a Londra si insabbiò davanti alla costa inglese e fu recuperata a costo di grandi rischi. Non basta: appena liberato, il veliero fu assalito da una nave corsara e saccheggiato. Appena finito l’arrembaggio, una nave inglese di sorveglianza costiera scambiò le vittime per pirati e sparò contro i poveri svedesi, fortunatamente senza gravi danni. Ma le sventure non erano finite. Dato che in Inghilterra si era diffusa la notizia di un’epidemia di peste in Svezia, tutte le navi svedesi dovevano stare sei settimane in quarantena prima di toccar terra.
Aspettare più di quaranta giorni prima di toccare l’ambita meta ? Mai più !
Alcuni membri della comunità svedese a Londra, saputo del destino dei loro connazionali, un po’ sconsideratamente organizzarono una barca che collegava la nave in quarantena con la terraferma. Il giovane Emanuel ne approfittò subito e fu così che appena messo piede a Londra fu arrestato dalla polizia, imprigionato e condannato all’impiccagione per il grave rischio cui aveva esposto gli inglesi. L’intervento di membri influenti della comunità svedese lo salvò fortunatamente dal patibolo, così che fu liberato e se la cavò con una grossa predica e una ancora più grande paura.
Appena in libertà, si gettò con tanto maggior zelo nello studio e nella vita attiva.
L’Inghilterra degli inizi del Settecento stava preparandosi ad assumere il ruolo di guida del mondo grazie all’impero coloniale appena conquistato. I beni di tutta la terra confluivano, attraverso le colonie, in Inghilterra.
Contemporaneamente si diffondeva il predominio intellettuale: raffinati strumenti tecnici come telescopio e microscopio venivano continuamente sviluppati e migliorati, e le scienze che venivano insegnate nelle facoltà inglesi sembravano le chiavi destinate a capire il mondo.
Appena stabilito e organizzato a Londra, il giovane Swedenborg cercò di entrare in contatto coi grandi della scienza del tempo. Newton era allora al culmine della sua gloria: membro del Parlamento e della Royal Society, riuniva in casa sua scienziati, filosofi e politici. Emanuel riuscì ad essere accolto in questo ambiente, cosa alla quale si era coscienziosamente preparato studiando tutti i libri di Newton. Frequentò inoltre l’osservatorio di Greenwich e il grande astronomo Flamstead che lo dirigeva e ci viveva conducendo una vita da eremita: Swedenborg ne divenne intimo. Conobbe Halley, che viveva e insegnava a Oxford, e per frequentarlo si trattenne in questa città vari mesi. Grazie alle raccomandazioni, allo zelo che dimostrava, al fascino personale che gli fu sempre proprio, alle grandi capacità che tutti gli riconoscevano, alla cultura che possedeva e all’acutezza di pensiero unita alle grandi doti di sintesi, riuscì a frequentare sempre gli ambienti scientificamente più elevati.
A Londra il giovane Swedenborg condusse una vita piena, ricca di stimoli, di incontri, di studi. Di ogni cosa riferiva al cognato, e l’epistolario intercorso fra loro in quegli anni costituisce una miniera di notizie per la conoscenza del giovane Swedenborg, che ci appare uno spirito straordinariamente eclettico: oltre che di geografia, astronomia, chimica, fisica, cosmologia, si occupò anche di incisione, di architettura, della costruzione di orologi. Volle controllare con gli strumenti adatti i risultati delle scoperte dei grandi scienziati, acquisendo in questo modo una notevole abilità tecnica: fu sempre infatti un teorico, ma anche uno che sperimentava e ricercava sul campo.
Nonostante la frenetica attività trovava anche il tempo di poetare in latino e di studiare la letteratura inglese: non abbiamo però notizia di incontri personali coi poeti del tempo.
Più Swedenborg viveva all’estero, più la Svezia gli appariva antiquata e arretrata. Poliedrico, dotatissimo, diligente e consapevole del proprio valore, innamorato della scienza moderna e delle nuove scoperte, Emanuel non è più il ragazzo che qualche anno prima ha lasciato la Svezia. Il vescovo Jesper se ne rende conto, se ne addolora, il figlio gli appare un estraneo, e per farlo rinsavire e tornare in patria ricorre a un mezzo che si rivela in genere infallibile: gli manda meno denaro. Swedenborg se ne lamenta, ma non ritorna. Si adatta, riduce le spese, ma resta in Inghilterra e viaggia anche per il paese. Infine decide di abbreviare il soggiorno a Londra per conoscere anche Francia e Olanda.
La sua meta principale è Parigi, con l’Acadèmie Royale, analoga alla Royal Society, coi suoi scienziati di grido. Andando a Parigi, si ferma in Olanda, ma di questo soggiorno non sappiamo molto. Di certo non si lasciò sfuggire l’occasione di allargare le sue conoscenze: «Sarebbe troppo lungo», scrive in una lettera al cognato, «citare tutti gli eruditi che ho conosciuto durante questo viaggio, dato che non ho mai perso l’occasione per incontrarli e neppure ho trascurato di visitare biblioteche, raccolte e altre cose interessanti».
A Leida, dove soggiornò per un certo tempo, si occupò a fondo di ornitologia e imparò a rilegare i libri e a molare le lenti: da Londra, dove aveva appreso molte altre attività artigianali, aveva scritto al cognato: “E’ un peccato che i matematici si attengano quasi esclusivamente alla teoria. Spesso ho pensato che sarebbe molto vantaggioso se a ogni dieci matematici venisse affiancato un bravo tecnico, che collaborasse con loro. Quest’ultimo sarebbe più utile degli altri dieci messi insieme”. E a questo atteggiamento si attenne sempre.
Finalmente raggiunse Parigi, dove rimase un anno. Era munito di raccomandazioni di amici svedesi e inglesi, e così gli si aprirono le porte dell’Acadèmie Royale. Non fu accolto come studente, ma come amico personale dei grandi scienziati inglesi, rivali per certi aspetti di quelli francesi.
Poté raccontare, confrontare, fu lui stesso oggetto di curiosità, tanto più che come svedese poteva considerarsi neutrale nella contesa tra inglesi e francesi per il predominio scientifico. Il suo unico desiderio era quello di imparare, e riuscì a frequentare grandi astronomi, matematici, architetti, filologi.
Lasciò Parigi nell’estate del 1714 e prima di rientrare in Svezia volle incontrare Leibniz, che viveva ad Hannover in Germania: ma quando arrivò ad Hannover Leibniz era a Vienna, e così l’atteso incontro personale non avvenne.
Swedenborg aveva trascorso quasi cinque anni all’estero, e nonostante le difficoltà aveva raggiunto i suoi scopi. Aveva soggiornato nelle capitali della scienza moderna, ne aveva conosciuto personalmente e frequentato i massimi rappresentanti, aveva appreso le più importanti lingue europee e le tecniche necessarie a proseguire i suoi studi. Conosceva perfettamente il livello degli studi scientifici del suo tempo e aveva elaborato progetti suoi. Tornava in patria portando con sé un ricco bottino: disegni e progetti per invenzioni meccaniche, destinati a segnare l’inizio della sua attività in patria. Si trattava di invenzioni tecniche e meccaniche adatte alla situazione svedese e alle sue necessità: pompe, chiuse, forni, gru, strumenti per le miniere, la navigazione interna, la guerra, la difesa delle coste.
A quel tempo le macchine che oggi risultano ovvie non esistevano: la tecnica era tutta da inventare e richiedeva fantasia, inventiva, doti artigianali, conoscenze scientifiche. Come dimostrano i suoi schizzi, Swedenborg possedeva in abbondanza tutto questo.
Gli sforzi tecnico-scientifici del tempo erano tesi a questi scopi: trasferimento meccanico per terra, acqua e aria, trasporto meccanico di pesi, costruzione di armi meccaniche. Le grandi scoperte della tecnica moderna (automobile, aereo, mitragliatrice) occupavano le menti fin dall’inizio dell’evoluzione tecnica, e già Leonardo ci si era cimentato. Anche Swedenborg aveva ben presenti queste necessità e nel tempo progettò un’infinità di cose: uno strumento musicale universale, nuove tecniche di costruzione per le navi, una pompa ad aria, un nuovo tipo di sifone, un sottomarino di tipo militare, un orologio ad acqua, un ponte levatorio; addirittura una macchina volante, che suscitò molto interesse (4).
(4) Swedenborg sapeva bene che per mancanza di forza motrice adeguata i tempi non erano maturi per la realizzazione di questo progetto, tuttavia era convinto che l’umanità un giorno avrebbe volato. In effetti Swedenborg si avvicinò alla soluzione del problema molto più di tanti altri prima e dopo di lui: non cercò infatti di imitare il volo degli uccelli, come avevano fatto tutti gli altri da Leonardo a Lilienthal, ma progettò una superficie alare rigida, a forma di volta, come poi è stata veramente realizzata.
Nel 1897 negli USA fu costruito a grandezza totale una macchina volante secondo il modello di Swedenborg, che si alzò fino a 15 metri e dopo qualche decina di metri di volo precipitò. La macchina possedeva uno stabilizzatore, un meccanismo di manovra, una cabina di pilotaggio, ruote di atterraggio e un motore a elica ! E questo era stato pensato nel 1716 ! Swedenborg era arrivato molto vicino alla soluzione. Il modello è ancora esposto allo Smithsonian Air Science Museum di Washington.
Ritorno in patria e attività scientifica
Gli incontri coi grandi della scienza europea avevano sviluppato in Swedenborg più che l’ideale di una professione specifica, quello di un’attività indipendente di ricerca. Tuttavia, appena tornato in patria, attraverso il cognato suggerisce all’università di Uppsala l’istituzione di una facoltà scientifica «utile e necessaria come quella di filosofia e in grado di portare più utili di quella al Paese, attraverso la fabbricazione di manufatti, prodotti per le miniere, la navigazione, eccetera». Indica anche come reperire i fondi per una simile istituzione. Ritiene indispensabile soprattutto un insegnamento di matematica e meccanica, a scapito eventualmente di uno di teologia o lingua greca. Ha in mente anche la creazione nel suo Paese di qualcosa di analogo alla Royal Society o all’Acadèmie Royale. Proposte avveniristiche, che incontrano però l’opposizione dei docenti, per lo più conservatori. Anche il vescovo Jesper, già urtato per la prolungata assenza del figlio e i suoi orgogliosi progetti, vede il diavolo dietro alle nuove invenzioni che egli progetta e alle innovazioni che ha in mente. Rifiuta quindi di sovvenzionarlo oltre e tra padre e figlio si crea da questo momento una spaccatura insanabile, nonostante l’intermediazione e i buoni uffici dell’ottimo e sempre disponibile Benzelius.
I progetti che Swedenborg ha portato con sé tornando in patria non trovano quindi subito l’accoglienza che il giovane si sarebbe atteso. La cosa più positiva dell’anno successivo al suo ritorno in Svezia fu la ripresa del contatto con Polhem, tuttora il primo scienziato svedese, col quale fondò la prima rivista scientifica della Svezia, dal titolo Il Dedalo Iperboreo (cioè, il Dedalo Nordico), che uscì dal 1716 al 1718. Molto intelligentemente, Swedenborg vide in questa rivista la possibilità, di diffondere le proprie idee e le proprie invenzioni, e vi lavorò con grande zelo, pubblicandovi i suoi studi su tutti i tipi di macchina che aveva progettato, compresi quelli sul volo.
Il genio di Swedenborg fu scoperto da Carlo XII, il genio politico della Svezia. Il giovane sovrano non si occupava solo di politica, ma si interessava vivamente degli sviluppi della scienza. Era personalmente esperto di matematica e aveva un acuto senso scientifico. Amava circondarsi di uomini di scienza e arte: tra questi c’era naturalmente anche Polhem - e con lui Swedenborg, che ebbe così modo di parlare al re dei suoi progetti personali, trovando presso di lui quello che non aveva trovato presso gli scienziati: comprensione per il progetto di creare in Svezia una Società di eruditi analoga a quelle di Londra e di Parigi, destinata a contribuire al miglioramento della cultura e al benessere della nazione; comprensione anche per i suoi progetti scientifici, che affascinarono il re per la novità e l’utilità economica e militare.
Carlo XII divenne regolare lettore del «Dedalo».
Con Polhem e il suo aiutante il re discuteva di economia e di trasporti e del loro miglioramento, e Polhem fu incaricato di progettare imprese di enormi proporzioni: costruzione di un cantiere navale presso Karlkrona, creazione di chiuse sul corso del Gote, che sfocia nel Kattegat e ha varie cascate.
Swedenborg, come aiutante di Polhem, fece le misurazioni e collaborò ai calcoli e ai disegni. In premio per la sua opera, il re lo nominò assessore straordinario al Collegio delle Miniere, posizione di primo piano essendo le miniere il cespite primo dell’economia svedese.
Swedenborg si era finora occupato solo occasionalmente di miniere: suo padre aveva una partecipazione a certe miniere di ferro, e lui aveva già fatto alcune invenzioni in questo campo, senza però dedicarvisi sistematicamente.
Il nuovo incarico lo entusiasmò: aveva un posto sicuro, un buon guadagno e la possibilità di lavorare e sperimentare. A quel tempo infatti presso le università svedesi non c’erano laboratori di ricerca, officine e attrezzature meccaniche, però il Collegio Svedese per le Miniere aveva un suo laboratorio, che serviva a fare analisi chimiche e fisiche dei metalli e a migliorare le tecniche di estrazione. Swedenborg aveva così finalmente quello che aveva tanto desiderato: poteva collaborare coi migliori tecnici svedesi e dar libero sfogo alla sua inventiva e al suo desiderio di rendersi utile alla patria.
La nomina di Swedenborg ad assessore straordinario alle miniere non avvenne senza proteste: ci fu tra i colleghi chi si oppose appellandosi all’inesperienza del giovane, ma il re non era disposto a mettere in discussione il suo potere assoluto e inoltre credeva nelle capacità di Swedenborg. Del resto la genialità del giovane assessore vinse tutte le resistenze dei colleghi.
Presto Swedenborg fu in grado di dimostrare al re la propria personale abilità anche in altri campi: nel 1718, in occasione del conflitto con la Norvegia, inventò un modo per trasportare su rulli per monti e valli due galere, cinque barconi e una scialuppa per oltre venti miglia, fatto che risultò assai utile e accrebbe ulteriormente la stima del re. Carlo XII e Swedenborg divennero amici, e questa amicizia fu continuamente rafforzata da incontri e scambi di idee quasi quotidiani.
Nel frattempo Swedenborg prese ad occuparsi sistematicamente di miniere e scrisse anche uno studio descrittivo della situazione mineraria svedese.
Occupandosi di miniere, finì per dedicarsi anche ai reperti fossili calcificati che venivano fuori scavando i minerali e che testimoniavano di epoche passate; da questo studio, da eclettico qual era, passò a calcoli sull’età della terra e a quelli delle epoche arcaiche. Continuò queste indagini ogni volta che ne ebbe l’occasione, praticamente ad ogni viaggio che compiva per visitare le miniere.
Non per questo abbandonò gli studi di matematica e astronomia, e anzi progettò un osservatorio in Svezia, che però non fu subito realizzato per mancanza di fondi; la sua realizzazione fu rimandata a tempi migliori e poi accantonata con la morte del re. Swedenborg continuò tuttavia gli studi astronomici coi mezzi che aveva a disposizione e fece varie pubblicazioni in materia. Negli stessi anni si occupò di anatomia dei nervi e delle membrane, e ne fece una pubblicazione che suscitò molto interesse.
Sperimentò sempre sul campo, scese in miniera, misurò personalmente le maree, smantellò pietre per ricercare metalli e fossili, misurò i movimenti degli astri, facendosi guidare soltanto dai fatti: ricavò sempre la teoria dalla pratica. Anche quando i suoi interessi cambiarono indirizzo e - abbandonata la scienza - si dedicò all’introspezione e alle visioni, conservò questo modo di operare e valutare. Fu insieme teorico e pratico, una mente complessa, simile per molti aspetti a Leibniz, per il quale aveva una grande ammirazione.
Dopo la morte di Carlo XII
La morte precoce e improvvisa del re, che morì in battaglia nel 1718, non limitò l’attività di Swedenborg. Non era più l’amico personale del re, tuttavia quello che aveva fatto finora giustificava la sua posizione di assessore. I suoi progetti però venivano ora accolti con una certa freddezza: egli era, ed era sempre stato, un «outsider» del mondo accademico e aveva sempre considerato poco appetibile per sé un insegnamento universitario, che fra l’altro Carlo gli aveva offerto in alternativa alla carica di assessore e che lui aveva rifiutato in quanto come assessore conservava tutta la sua libertà.
Questo suo distacco dal mondo accademico fece sì che negli anni successivi, pur essendo ormai famosissimo in patria e all’estero, la Società di scienziati che voleva fondare e alla quale teneva tanto fu creata a Uppsala senza di lui, e lui fu invitato a farne parte solo nel 1729: lo fecero attendere ben cinque anni !
Mutata la situazione in patria, Swedenborg non si perde d’animo e volge gli occhi nuovamente all’estero: finora la sua posizione presso il re l’aveva completamente appagato e aveva pubblicato solo in svedese perché gli bastava l’attività in patria e il favore reale. Ora i suoi progetti si ampliano: vuole tradurre i suoi scritti in latino o francese e spedirli all’estero per poter partecipare ai dibattiti delle accademie di Parigi, Londra e Berlino. Vuole tornare all’estero come esperto di miniere, e in certi momenti addirittura pensa di lasciare la Svezia e di stabilirsi in un altro paese. La morte improvvisa ed inattesa di Carlo l’ha messo sì in situazione di crisi, ma gli ha fatto trovare i modi e le forze per reagire in maniera forte e positiva.
In quegli anni non facili avviene anche la frattura con Polhem, il quale vede ormai in Swedenborg non più un assistente, ma un rivale. A questa separazione può aver contribuito anche un altro fatto: frequentando la casa dello scienziato, Swedenborg si era innamorato di sua figlia Emerentia, una ragazzina di appena 13/14 anni, che l’aveva rifiutato. Swedenborg smise di frequentare la casa del suo antico maestro, non solo: fece anche solenne promessa di non sposarsi mai. E la mantenne.
Il nuovo sovrano Federico I non mancò tuttavia di riconoscere i meriti di Swedenborg, il quale col tempo rinunciò al suo progetto di stabilirsi all’estero.
Non rinunciò però a recarvisi con frequenza per partecipare a incontri scientifici, far stampare le sue numerose opere, visitare le miniere straniere e le industrie metallurgiche, incontrare studiosi e scienziati. Tra il 1720 e il 1724, anno in cui ha inizio la sua metamorfosi, visita Amburgo, Amsterdam, Kopenhagen, Colonia e Lipsia: si reca poi a Berlino, Dresda e Praga, soggiorna per tre anni interi in Italia, soprattutto a Roma; torna periodicamente a Londra e fa un lungo soggiorno anche a L’Aia.
In tutti i suoi viaggi cerca di informarsi a fondo della situazione scientifica e del livello della ricerca dei paesi visitati. Acquista libri scientifici e anche di metafisica e cosmologia. Conosce i sapienti del tempo. Impara e insegna, vuole e cerca lo scambio di informazioni. E’ animato da un ardore faustiano e vuole conoscere il mondo e «la forza che lo tiene insieme». In rapida successione appaiono le sue grandi opere scientifiche: testi di matematica, geologia, cristallografia (una scienza che contribuì a fondare), fisica, mineralogia, un poderoso lavoro sul ferro, che ancora decenni dopo fu ripubblicato dall’Acadèmie Française come il miglior testo disponibile sull’argomento. Si occupò di anatomia e non perse di vista neppure la filosofia e lo studio di quelli che chiamò «i primi inizi delle cose naturali». Di grande interesse i suoi pensieri sulla crescita del nostro sistema solare e sulle grandi nebulose a spirale: espose infatti nelle sue opere la «teoria nebulare» ben prima che altri lo facessero. E tuttavia oggi si parla a questo proposito solo di «teoria Kant-Laplace»... Il libro di algebra che pubblicò nel 1718 è il primo in assoluto apparso in Svezia. Tutte le sue opere appaiono in latino e vengono pubblicate soprattutto all’estero (5).
(5) L’opera non religiosa di Swedenborg comprende ben 150 titoli.
Considerandola globalmente si nota una ben precisa progressione: meccanica, matematica, mineralogia, cristallografia, fisica, geometria, chimica, astronomia, cosmologia, biologia, anatomia (particolarmente importante una sua opera sul cervello), filosofia, psicologia.
Le opere religiose sono 36, per un totale di circa 20.000 pagine.
Le accademie gli aprono le porte: è ormai un uomo arrivato, la sua compagnia è ricercata ovunque si rechi, le riviste scientifiche fanno a gara per presentare i suoi libri e i suoi studi. Ma proprio quando, dopo tanto lavoro, ha raggiunto tutto questo, inizia una nuova fase nella sua vita di uomo e ricercatore.
La metamorfosi
A 56 anni, nel 1744, Swedenborg era quello che si dice un uomo arrivato e aveva raggiunto il culmine della carriera scientifica: era universalmente stimato e ammirato, in stretto rapporto con la corte svedese e i maggiori letterati, filosofi e scienziati d’Europa. Era amico dei membri del Parlamento svedese, e membro lui stesso della Camera dei Nobili. Conosceva otto lingue e il suo «smoderato desiderio» (sono sue parole) di approfondirsi in tutti i campi dello scibile aveva fatto di lui una mente enciclopedica, certamente uno dei protagonisti del Settecento europeo.
Aveva raggiunto la sicurezza economica e sociale: si era costruito una casa di campagna presso Stoccolma, dove viveva quando era in patria e dove poteva lavorare e meditare senza essere disturbato. Era del resto di abitudini sobrie e modeste, non beveva ed era di gusti alimentari semplicissimi. Aveva al suo servizio due persone, marito e moglie, che si occupavano della casa, dell’orto e del giardino. Essendo rimasto celibe (non fu mai però un misogino, e anzi il suo Diario dei sogni rivela impulsi erotici molto chiari, motivo per cui quest’opera per molto tempo è stata ritenuta troppo scabrosa...), non era legato ai tempi di una famiglia per cui non aveva mai orari regolari e di riposo. Era però molto socievole, amava la compagnia, riceveva spesso visite ed era sovente invitato a cena nelle case degli amici, dove si recava con piacere.
Nei quarant’anni in cui si era dedicato alla scienza, Swedenborg non si era più occupato di religione. All’ardore mistico infantile era subentrato un totale ribaltamento di interessi, con esclusione - forse volontaria - di ogni atteggiamento di fede per non influenzare in alcun modo la ricerca scientifica.
Si era anche allontanato da ogni pratica religiosa, e occorse veramente una particolare «chiamata» perché cambiasse radicalmente il suo atteggiamento.
Come si intuisce dalle sue opere, aveva continuato a credere in un Dio creatore e in una vita dopo la morte, ma per decenni non aveva sentito la necessità di confrontarsi direttamente con questi problemi. Del resto anche dopo la sua metamorfosi rimase sempre lontano da ogni dogmatismo, dai libri di teologia e dalle dispute del tempo: da scienziato Swedenborg divenne un mistico, uno cioè che fa esperienza diretta di Dio senza bisogno di intermediari (6).
(6) Non va dimenticato che in casa del vescovo Jesper non si respirava l’aria dell’ortodossia luterana tipica del tempo, ma quella del pietismo, che privilegiava l’esperienza intima, la misericordia, la pietà, la fede vissuta.
Quindi la «chiamata» riportò Swedenborg a una matrice nota, a un terreno congeniale.
Alla crisi religiosa Swedenborg arrivò quasi inavvertitamente, quando dopo aver studiato la natura si mise alla ricerca del principio unificatore che tutto collega, e dallo studio del corpo umano volle passare a quello della psiche e dell’anima. La crisi religiosa non arrivò di colpo – maturava certamente da tempo, covava sotto la cenere - e la visione che segnò la metamorfosi definitiva trovò un terreno già predisposto, quasi in attesa.
I primi segni di un cambiamento radicale di orizzonti furono i sogni: quelli di cui ci ha lasciato testimonianza nel suo Diario. Da precursore anche in questo campo, Swedenborg ne riconobbe il carattere particolare e tentò di interpretarli: erano sogni che gli portavano intuizioni e simbolicamente gli preannunciavano nuovi indirizzi: come il sogno che fece tra il 25 e il 26 marzo 1744, in cui vide se stesso prendere una chiave con la quale riusciva ad aprire una porta chiusa. Sono spesso i sogni che lo aiutano nel suo lavoro scientifico, esprimono le sue intuizioni, gli trasmettono messaggi fondamentali per la sua evoluzione.
Oltre ai sogni, in questo primo periodo della sua crisi ci sono le visioni della luce: è una sorta di illuminazione interiore, abbinata a visioni di luci o fiamme. Tali visioni lo accompagneranno anche in seguito e saranno sempre per lui un segno della conferma divina delle sue intuizioni. Si rende conto che sogni e visioni gli trasmettono una conoscenza superiore e comincia a tendere esclusivamente ad essa. Si dedica alla meditazione e riprende a praticare la «respirazione spirituale» che da bambino usava intuitivamente e gli consentiva di rendere più intensa la preghiera (7). Ovvio che sogni e visioni di luce producano in Swedenborg conflitti interiori: è uno scienziato dedito alla ricerca empirica e all’osservazione attenta dei fenomeni naturali - e il nuovo indirizzo non può che turbarlo. Nel tempo però sogni, intuizioni, illuminazioni e visioni divengono sempre più ricchi, ampi, completi, lo coinvolgono sempre più, lo convincono che in lui si sta operando una metamorfosi destinata a renderlo degno di accogliere rivelazioni superiori, e capace di trasmetterle.
(7) Alla respirazione Swedenborg attribuì sempre molta importanza e in Arcana Coelestia espresse la sua dottrina della doppia respirazione: ogni uomo ha una respirazione esteriore e una interiore. La prima è del mondo, la seconda del cielo. Quando l’uomo muore, la respirazione esteriore cessa, mentre quella interiore, che durante la vita terrena è rimasta silenziosa e non percepibile, continua.
Il nuovo stato d’animo lo porta a rileggere la Bibbia e a frequentare di nuovo la chiesa. La figura dei padre, il quale finché era vissuto aveva disapprovato il corso che aveva preso il suo pensiero e con cui per anni c’erano state tante incomprensioni, gli appare ora come una guida sicura. Nel marzo del 1744 il padre gli appare più volte nelle visioni: lo chiama, lo abbraccia e lo invita a cambiare modo di vedere e ad accettare la missione spirituale prevista per lui.
Come testimonia il Diario dei sogni, sogni e visioni non sono sempre sereni, a volte anzi sono nettamente angosciosi, segno evidente della sua lotta interiore, della sua insicurezza, del suo desiderio di superare dubbi e incertezze per affrontare la nuova via che gli si prospetta. Sono espressione della sua paura di commettere errori, sono le tentazioni della carne che ancora si ribella, il suo desiderio di purezza interiore.
La crisi definitiva lo coglie mentre sta preparando la pubblicazione del Regnum animale, la grande opera scientifica risultato di anni e anni di studi e ricerche sulla vita organica, l’anatomia dell’organismo umano e animale, le funzioni degli organi e del cervello. Un’opera destinata ad esaltare la gloria di Dio attraverso la natura da Lui creata.
Nella notte tra il 6 e il 7 aprile, dopo tentazioni e angoscie per superare le quali ha invocato l’aiuto divino, gli appare Cristo, il Dio liberatore che si rivela all’uomo. E’ la notte di Pasqua, e Swedenborg viene colto da un tremito violento in tutto il corpo accompagnato da un fruscio come di vento. Un’estasi celeste lo invade e si accorge di parlare senza che sia lui a pronunciare le parole: «O Tu Gesù Cristo onnipotente, che nella Tua grande pietà sei venuto a visitare questo peccatore, rendimi degno della Tua grazia !». Swedenborg prega ed ecco che sente una mano stringere la sua: «O Tu che hai promesso di accogliere nella tua grazia i peccatori, non puoi fare altro che mantenere la Tua parola !». Allora, racconta Swedenborg nel suo Diario Spirituale (scritto esclusivamente ad uso personale e pubblicato solo dopo la morte del suo autore), «fui sul Suo petto e lo guardai in volto ! Era un volto di tale espressione di santità che non so descriverlo. Sorrideva e credo che quello fosse proprio il suo viso quando viveva sulla terra. Egli si rivolse a me e mi chiese se avevo il „lasciapassare sanitario”, e io risposi: “O Signore, lo sai meglio di me”, al che Lui rispose: “Fallo dunque”, e io capii: “Fai quello che hai promesso”. “O Signore, dammi la Tua grazia perché ne sia capace !”».
Il richiamo al «lasciapassare» è un ricordo dell’esperienza avuta da Swedenborg quando da ragazzo era andato a studiare in Inghilterra: era entrato a Londra senza il lasciapassare sanitario, lui che veniva da un paese dove imperversava la peste, e questa impresa gli era quasi costata la vita. Ora, dopo tentazioni e angoscie, sta per approdare alle rive del mondo spirituale, e gli viene chiesto se ha il lasciapassare, cioè se è degno di entrare e pronto a farlo, se ha superato la quarantena delle tentazioni e dei dubbi.
Questa visione segna la svolta definitiva nella vita di Swedenborg, il quale si rende conto che ciò che conta e che salva non è il sapere scientifico cui finora ha dedicato tutto se stesso, ma la conoscenza del Dio personale che gli si è manifestato sotto l’immagine del Figlio. Non più il Dio oscuro e misterioso che governa le leggi della natura, ma Cristo che ha visto in volto e che diviene d’ora in avanti il centro dei suoi pensieri e della sua vita. Il suo orgoglio di scienziato svanisce come neve al sole, e Swedenborg si volge al compito che lo attende.
Non ha però ancora un’idea chiara della missione alla quale si sente chiamato: è pronto al compito, ma ancora non lo conosce, esso gli risulta ancora indefinito. Dentro di lui tutto cambia: è pervaso di gioia profonda, cerca di rendersi degno della visione che gli è stata concessa. Esteriormente la sua vita resta quella di sempre, non parla a nessuno delle sue esperienze, e nel Diario Spirituale scrive: «Nel frattempo fui sempre in società come prima e nessuno poté notare il minimo cambiamento in me. Questa fu grazia di Dio».
Attraverso i sogni comincia a capire che il suo compito è «scrivere di ciò che è superiore, e non di cose terrene... Possa Dio illuminare i miei dubbi, perché io sono ancora in una certa oscurità sulla direzione che devo prendere».
Come testimonia il Diario, il 1744 trascorre in questa tensione.
Swedenborg prega, si interroga, attende, studia la Bibbia. Nel 1745, mentre è a Londra, grazie a un’altra visione supera definitivamente la crisi. E’ la metà di aprile, è passato un anno esatto dalla prima visione. In quest’anno Swedenborg ha pubblicato il terzo volume del Regnum Animale e i due volumi di Della saggezza e dell’amore di Dio. Ecco, con le parole di Swedenborg, l’esperienza determinante: «Ero a Londra e stavo pranzando nel mio abituale ristorante. Ero affamato e mangiavo con grande appetito. Verso la fine del pasto mi accorsi che una specie di nebbia mi si faceva davanti agli occhi. La nebbia divenne più fitta e io vidi il pavimento della stanza coperto dei più orribili animali striscianti, serpenti, rospi e simili. Io ero stupefatto, perché ero in piena coscienza. Poi l’oscurità divenne più completa per sparire infine completamente, e ora in un angolo della stanza vidi seduto un uomo che mi terrorizzò con le sue parole. Mi disse infatti: «Non mangiare tanto !».
Poi tutto si oscurò di nuovo, ma di colpo si rifece luce e mi ritrovai solo nella stanza. Questa visione mi indusse a tornare rapidamente a casa. Durante la notte mi si ripresentò lo stesso uomo, il quale mi disse che era Dio, il creatore del mondo e redentore, e che mi aveva scelto per spiegare agli uomini il senso spirituale delle Sacre Scritture; lui stesso mi avrebbe dettato quello che avrei dovuto scrivere su questo soggetto. In quella stessa notte, per convincermi, mi fu mostrato il mondo spirituale, l’inferno e il cielo, dove incontrai parecchie persone di mia conoscenza e di tutti i ceti sociali. Da quel giorno rinunciai a ogni interesse scientifico terreno e lavorai soltanto alle cose spirituali, secondo quello che il Signore mi aveva ordinato. In seguito il Signore aprì gli occhi del mio spirito, così che mi trovai in grado di vedere mentre ero pienamente desto quello che avviene nell’altro mondo, e di parlare con gli angeli e gli spiriti».
Il veggente
Si può affermare che tutta l’opera scientifica finora compiuta da Swedenborg costituisca una sorta di preparazione a quello che doveva essere l’autentico compito della sua vita, quello per il quale è rimasto famoso. Nella sua carriera di scienziato aveva acquisito capacità di osservazione, di analisi e di sintesi, sapeva autodisciplinarsi e valutare il valore del proprio lavoro e delle teorie che formulava; aveva una notevolissima abilità organizzativa e una straordinaria capacità di lavoro. Sapeva come si prepara un manoscritto, era in grado di confezionare copie perfette pronte per la pubblicazione. Era pronto per il gran balzo.
La visione di Londra gli diede le ali: ora sapeva in che cosa consistesse il compito che lo attendeva. Doveva rivelare il vero senso della Bibbia e descrivere l’altra dimensione: spiriti e angeli saranno d’ora in poi suoi maestri. La sua vita ha uno scopo nuovo, al quale si dedica con tutto se stesso.
Lo scienziato diventa mistico, veggente e profeta.
Col tempo le visioni si fanno più nitide, le certezze interiori sempre più salde, il contatto con l’altra dimensione, gli angeli e gli spiriti dei trapassati sempre più agevole e «normale». Cresce in lui la consapevolezza della propria vocazione e del proprio compito.
Egli stesso molti anni dopo, nel 1769, descrisse come fosse avvenuta la trasformazione: «Mi fu chiesto come mai io che ero filosofo sia diventato un teologo. Risposi che ciò avvenne allo stesso modo in cui i pescatori furono fatti dal Signore suoi discepoli e apostoli; e aggiunsi che fin dalla prima gioventù ero stato un pescatore spirituale. Richiesto che cosa io intenda per pescatore spirituale, risposi che intendo con ciò un uomo che indaga le verità naturali e le verità spirituali, e le insegna».
Swedenborg si sente quindi un nuovo apostolo e anche in seguito sottolineò sempre l’analogia delle sue visioni con quelle dei profeti biblici e degli apostoli. Si convinse addirittura che la sua opera dilatasse e completasse il piano di salvezza del Signore. Modesto e mite nella vita quotidiana e nel rapporto col prossimo, ha un alto concetto della propria missione, che ritiene destinata ad aprire una nuova era.
Tutto ora gli sembra un impedimento al nuovo compito: i vecchi impegni, la professione, le cariche avute finora. Adesso deve dedicarsi soltanto alle visioni che il suo occhio interiore gli rivela e all’illustrazione del vero senso della parola divina: già nel 1747 pubblica Arcana Coelestia, dedicata appunto a questo fine.
Nello stesso anno dà le dimissioni dal Reale Collegio delle Miniere, giustificandole con altri compiti che non definisce. Le dimissioni vengono accettate con rammarico, ma il mutamento di Swedenborg, nonostante la sua riservatezza, non passa inosservato. Del resto lui sa bene quello a cui va incontro: il destino di tutti i profeti e i visionari è stato sempre quello di essere presi per pazzi. E l’epoca in cui egli dava inizio alla sua attività non era certo la più adatta ad accettarla: siamo infatti in pieno Illuminismo, in piena età dei lumi, in pieno empirismo e materialismo. La ragione umana indaga e rivela tutto, smaschera miti e leggende, non crede più ad angeli e demoni, mette al bando la magia. Swedenborg sa bene che lo prenderanno per pazzo, ma non può fare a meno di fare quello che fa. E’ interessante a questo proposito riportare le parole che egli disse al conte di Höpken, rappresentante tedesco alla corte svedese, il quale gli aveva chiesto come mai avesse pubblicato i suoi scritti visionari che per tanti non erano altro che menzogne e illusioni: «Ho ordine dal Signore di scriverli e pubblicarli. Non creda che senza questo espresso ordine mi sarebbe mai venuto in mente di far cose di cui so in anticipo che saranno prese per menzogne e mi renderanno ridicolo agli occhi di molti. Così facendo però ho la soddisfazione di aver ubbidito all’ordine del mio Dio...».
Per uno scienziato del suo rango, il rischio di esser ritenuto pazzo e ridicolizzato è quanto di peggio possa accadere: tuttavia lui l’accetta, e non si può negare che questo sia un segno di grande umiltà e una prova dell’autenticità della sua missione. Il «caso Swedenborg» fece epoca anche tra i teologi; pochi anni prima di morire il veggente fu addirittura accusato di eresia da certi parroci che non riuscivano ad accettare la realtà del suo contatto con l’altra dimensione. Swedenborg comunque sopportò sempre: i suoi angeli lo rassicuravano dicendogli che niente di male gli sarebbe accaduto. E del resto, essendo un laico, poteva permettersi di scrivere più cose di quante se ne sarebbe potute permettere un sacerdote. Nonostante queste polemiche, non perse la stima dei suoi amici e della Corte svedese e continuò a condurre praticamente la vita che aveva sempre condotta, anche se essa si fece sempre più silenziosa e riservata. Nella sua casetta in campagna conduceva un’esistenza sempre più spartana: lavorava tutto il giorno, dormiva al freddo e appena si svegliava si preparava da solo il caffè, di cui faceva un grande consumo, e si metteva al lavoro. Solo nel suo studio c’era sempre il caminetto acceso, e lui stesso provvedeva personalmente ad alimentarlo.
Swedenborg godette sempre di un’ottima salute e a 84 anni, l’età in cui morì, era ancora agile e svelto come un giovanotto. I piccoli disturbi che aveva, per esempio il mal di denti, li attribuiva ai demoni, come al tempo suo aveva fatto suo padre, e quindi non li curava.
Problemi economici non ne aveva: oltre a poter contare su una discreta eredità paterna (il vescovo Jesper aveva avuto delle quote di certe miniere), il re gli aveva concesso fino alla morte la metà del suo stipendio di assessore.
Poté così continuare a viaggiare come aveva sempre fatto e a pubblicare i suoi libri in proprio.
Come abbiamo detto, non viveva da solitario: riceveva spesso visite dagli amici, da lettori dei suoi libri, da studiosi svedesi e stranieri che volevano conoscerlo, da curiosi. Frequentava con piacere la società ed era sempre allegro e piacevole, galante con le signore. La sua presenza era carismatica, suscitava immediatamente rispetto e ammirazione e anche chi non credeva in lui restava incantato ad ascoltarlo quando parlava del mondo degli spiriti.
Continuò a viaggiare molto, specie in Olanda e in Inghilterra, dove faceva pubblicare le sue riviste. Viaggiava naturalmente per mare, e si racconta che quando lui era a bordo il tempo fosse sempre buono e il vento favorevole, e i viaggi veloci e sicuri: lui ne attribuiva il merito ai suoi angeli ! All’estero prendeva in affitto un paio di stanze e vi conduceva lo stesso semplice tipo di vita che conduceva a Stoccolma.
Le visioni che lo accompagnarono fino alla morte avvenivano in questo modo: mentre quelle dei mistici avvengono in genere in stato di estasi, con esclusione quindi della coscienza vigile, quelle di Swedenborg avvenivano in piena consapevolezza. Era quindi contemporaneamente cittadino della terra e del cielo e aveva rapporti sia con gli uomini che con gli angeli. Vedeva al tempo stesso il visibile e l’invisibile. Il più delle volte le sue visioni avvenivano in stato di veglia, a occhi aperti, altre volte a occhi chiusi, oppure tra veglia e sonno. Qualche volta «vedeva» in sogno: un sogno tutto speciale, quello che oggi chiameremmo un sogno lucido. In questi casi, e solo in questi, la coscienza diurna era offuscata.
Le visioni gli trasmettevano insegnamenti che egli poi sistematizzava nei suoi scritti; altre volte «vedeva» immagini che poi gli angeli gli spiegavano. In lui la visione nasceva dalla contemplazione, dalla meditazione sui problemi e gli argomenti sui quali si concentrava. Era quindi in grado di controllare le proprie visioni, che non lo coglievano improvvisamente, ma venivano richiamate dal suo pensiero o dalla preghiera. Oltre che gli angeli, vedeva i defunti e si intratteneva con loro. Aveva la possibilità di incontrare volontariamente determinati defunti, ma non lo fece mai per soddisfare mere curiosità.
Dopo aver avuto le visioni, scriveva a gran velocità: lui stesso affermava di usare una sorta di scrittura automatica. A chi si stupiva che i suoi manoscritti non mostrassero correzioni di sorta, spiegava che lui era soltanto un «segretario» e scriveva quanto gli veniva dettato. Fino alla morte ebbe una produzione letteraria copiosissima, che si spiega soltanto ipotizzando un automatismo.
Queste sue visioni, che gli lasciarono sempre una personalità integra e serena e che egli espose così bene nei suoi scritti, non sono certo indice di disturbo mentale o psicopatologico. Una prova ulteriore del valore è rappresentata dall’influsso che esse esercitarono sulla letteratura nordica e anglosassone, specie quella romantica, e su personalità quali Goethe, Balzac, Strindberg e C.G. Jung.
E’ bene precisare che Swedenborg non intese mai fondare una «nuova chiesa», ma semplicemente fare nuove formulazioni di fede, sulla base di quanto gli veniva detto e mostrato: le varie «Società Swedenborg» esistenti in alcune nazioni europee e negli Stati Uniti (8) sono sorte molti anni dopo la sua morte, avvenuta a Londra il 29 marzo 1772.
(8) Per l’elenco e gli indirizzi delle «Società Swedenborg», che curano fra l’altro la pubblicazione in varie lingue (specie inglese, francese e tedesco) delle opere del veggente, si veda l’appendice nelle ultime pagine di questo volume.
L’ultimo viaggio
A 82 anni, nel 1770, Swedenborg affrontò il suo ultimo viaggio all’estero.
Evidentemente sentiva che non sarebbe tornato in Svezia, perché prima di partire prese congedo dagli amici più cari, provvide a dare una pensione alla coppia dei suoi fedeli servitori, fece testamento e disse al suo vecchio amico e vicino di casa: «Non so se tornerò; però posso assicurarti, giacché il Signore me l’ha promesso, che non morirò finché non sarà pubblicato questo libro che è ormai pronto per la stampa». Si riferiva al manoscritto di Vera christiana religio, che apparve in Olanda nel 1771.
Un conoscente andò a trovare Swedenborg ad Amsterdam durante la stampa del libro e riferì che il veggente, nonostante l’età avanzata, lavorava indefessamente alla lettura e alla correzione delle bozze.
Stampata l’opera, Swedenborg lasciò Amsterdam e nel settembre 1771 raggiunse Londra. Qui, come era sua consuetudine, prese alloggio presso una famiglia e continuò a lavorare ai suoi libri. In dicembre lo colse una paralisi, che lo lasciò per tre settimane in stato di incoscienza e gli tolse la parola. Nel corso dei mesi successivi, tuttavia, Swedenborg si riprese e ricominciò a parlare.
Fu durante questo periodo che avvenne l’episodio di John Wesley, ministro della chiesa anglicana, al quale Swedenborg preannunciò che la sua morte sarebbe avvenuta il 29 marzo 1772.
Swedenborg aveva allora 84 anni; la malattia durò qualche mese, ma egli rimase lucido fino alla fine. Durante quel periodo, il noto pastore metodista John Wesley ricevette con sua grande sorpresa una lettera di Swedenborg che diceva: «Signore, sono stato informato nel mondo degli spiriti che lei desidera avere una conversazione con me». La sorpresa di Wesley derivava dal fatto che, sebbene la cosa rispondesse a verità, lui non aveva mai manifestato a nessuno il suo grande interesse per Swedenborg. Rispose allora che stava per partire per l’America, ma che al suo ritorno in aprile sarebbe stato felice di incontrare il veggente. Al che Swedenborg rispose che non sarebbe stato possibile perché il 29 marzo lui avrebbe lasciato la vita terrena. Il che puntualmente avvenne.
A un visitatore che gli chiedeva se ciò che aveva scritto fosse vero, Swedenborg, pochi giorni prima di morire, disse: «Così come voi vedete veramente me davanti ai vostri occhi, altrettanto vero è ciò che ho scritto. E avrei potuto dire di più se mi fosse stato permesso. Quando entrerete nell’eternità, vedrete ogni cosa personalmente, e allora voi ed io avremo molte cose su cui discutere».
Spirò serenamente, dopo aver ricevuto i sacramenti dal ministro della chiesa svedese a Londra e fu sepolto sotto l’altare di questa stessa chiesa.
Come abbiamo già riferito, le sue spoglie furono traslate in Svezia nel 1910.
Il medium
Quest’uomo dotato di un carisma particolarissimo e unico che lo trasformò da scienziato in veggente, è stato anche uno dei soggetti più dotati e interessanti che si conoscano nel campo dei fenomeni paranormali. Tra i suoi contemporanei ci fu senza dubbio chi lo considerò un allucinato, però è certo che quando le sue comunicazioni soprannaturali potevano essere controllate risultavano infallibilmente esatte.
Swedenborg affermava di poter parlare con spiriti di trapassati che gli apparivano regolarmente. La biografia del veggente scritta da Christian Cuno, industriale svedese che per tutta la vita fu suo intimo amico, contiene una casistica molto interessante che riportiamo. In Svezia si era per esempio sparsa la voce che il re del Portogallo avesse fatto mettere a morte il vescovo di Coimbra: Swedenborg però affermò di aver parlato col Papa, morto da pochi giorni, e di aver saputo che la notizia non era vera. Si seppe poi che le cose stavano proprio come Swedenborg aveva affermato.
Un’altra volta, nel 1762, Swedenborg si trovava ad Amsterdam tra molte persone, quando cambiò improvvisamente espressione e rimase a lungo assorto in qualcosa che doveva evidentemente essere terribile. Quando si riprese, gli fu chiesto cosa fosse successo, e lui dopo qualche attimo di esitazione rispose: «Lo zar Pietro III è stato strangolato in questo momento in prigione». La notizia fu in seguito confermata dai giornali: il fatto era avvenuto nello stesso giorno e nella stessa ora in cui il veggente aveva avuto la sua visione.
Altri tre fatti di grande rilievo sono narrati nel famoso Sogni di un visionario, l’opera che Emmanuel Kant dedicò a Swedenborg e che fu pubblicata nel 1766. Il primo racconto qui riportato è molto breve, per cui è preferibile utilizzare la versione data da Kant stesso a Charlotte Knobloch il 10 agosto 1768: il documento è importante anche perché successivo solo di pochi anni ai fatti. Eccolo:
«Il fatto seguente mi sembra possedere una straordinaria forza dimostrativa, in grado di eliminare ogni dubbio. Era il 1756 quando Swedenborg, negli ultimi giorni di settembre, un sabato verso le quattro del pomeriggio, raggiunse Gothenborg (9). Qui William Castel l’invitò a far parte di un gruppo di amici che aveva riunito a casa sua. Alle sei di sera Swedenborg, che era uscito in giardino, rientrò in sala pallido e agitato e disse che in quel momento era scoppiato un incendio a Stoccolma, nel Südermalm, e che il fuoco si stava diffondendo con violenza in direzione della sua casa. Era turbato e agitato oltre misura e uscì più volte. Disse che la casa di un suo amico, di cui fece il nome, era ridotta in cenere e che la sua stessa casa correva un grande pericolo. Alle otto, dopo essere uscito di nuovo, esclamò con gioia:
«Grazie a Dio, l’incendio si è fermato tre porte prima della mia !». Questa notizia sorprese enormemente il gruppo di amici e anche la città, dove la notizia si diffuse rapidamente. La sera stessa ne fu informato il governatore, il quale la mattina dopo chiamò Swedenborg e l’interrogò in proposito. Il veggente gli descrisse dettagliatamente l’incendio, il suo inizio, la sua durata, la sua fine. La notizia si diffuse lo stesso giorno in tutta la città, tanto più che il governatore stesso se ne era informato, e un gran numero di persone era in pena per i propri beni e quelli dei loro amici.
(9) Swedenborg veniva dall’Inghilterra. Gothenborg si trova sulla costa Occidentale della penisola scandinava, mentre Stoccolma è su quella orientale. La distanza tra le due città è di oltre 400 km in linea d’aria.
La sera del lunedì arrivò a Gothenborg una staffetta che i commercianti di Stoccolma avevano inviato durante l’incendio. Nella lettera che portava, la catastrofe era descritta in ogni dettaglio esattamente come Swedenborg l’aveva preannunciata. La mattina del martedì il governatore ricevette un corriere reale con una relazione dell’incendio e delle sue conseguenze, delle perdite che aveva causato e delle case che aveva distrutto, senza che si potesse notare la minima differenza tra queste indicazioni e quelle fornite da Swedenborg. In effetti l’incendio era stato domato alle otto.
«Che cosa si può opporre all’autenticità di questo avvenimento ?» si chiede Kant in conclusione. «L’amico che mi scrive ha controllato ogni cosa, non soltanto a Stoccolma ma circa due mesi fa a Gothenborg stessa: egli è persona ben introdotta presso le famiglie dei notabili del luogo e ha potuto informarsi dettagliatamente in una città in cui vive ancora la maggior parte dei testimoni oculari, visto che poco tempo è passato dal 1756» (10).
(10) Kant aveva avuto le sue informazioni nel 1759.
Il secondo fatto riferito da Kant riguarda il ritrovamento di una ricevuta grazie a una visione di Swedenborg: anche per questo caso il grande filosofo si era ben documentato sul luogo presso i diretti interessati:
«La signora Marteville, vedova dell’inviato olandese a Stoccolma, venne un po’ di tempo dopo la morte di suo marito richiesta dall’orefice Croon del pagamento del servizio d’argento che quegli si era fatto fare presso di lui. La vedova era convinta che suo marito era un uomo troppo preciso ed ordinato per non aver pagato questo debito, ma non poteva produrre alcuna quietanza.
In questo frangente assai grave, perché il valore era considerevole, mandò a chiamare il signor Swedenborg. Dopo alcuni convenevoli gli disse che se egli aveva, come tutti asserivano, la facoltà straordinaria di parlare con le anime dei morti, doveva avere la bontà di informarsi presso suo marito circa la richiesta per il servizio d’argento. Swedenborg non mise difficoltà ad accogliere la sua preghiera. Tre giorni dopo la predetta signora aveva presso di sé un certo numero di invitati a prendere il caffè. Venne il signor di Swedenborg e le diede col suo modo freddo notizia di aver parlato col marito:
il debito era stato pagato sette mesi prima della sua morte e la quietanza era in un mobile che si trovava al piano superiore. La signora rispose che questo mobile era stato completamente vuotato e che fra tutte le carte non s’era trovata la quietanza. Swedenborg disse che suo marito gli aveva mostrato come, togliendo un cassetto al lato sinistro, veniva in luce una tavola, spingendo via la quale si trovava una cassetta dove era contenuta la sua corrispondenza olandese e dove si sarebbe trovata anche la quietanza.
Dietro queste indicazioni la signora si recò con tutta la compagnia al piano superiore; si aprì il mobile, si procedette secondo l’istruzione e si trovò la cassetta, di cui si ignorava l’esistenza, con dentro tutte le carte indicate, in mezzo alla più grande meraviglia di quelli che erano presenti...».
Il terzo fatto è il seguente. La regina Luisa Ulrica di Svezia, sorella di Federico II il Grande, ricevette un giorno verso la fine del 1761 una lettera di sua sorella la duchessa di Brunswich, in cui questa lamentava di non essere stata informata di una cosa di cui tutti i giornali parlavano e che era oggetto di tutte le conversazioni, cioè dell’esistenza a Stoccolma di un uomo che affermava di essere in continuo contatto con gli spiriti. La regina allora si rivolse al suo consigliere, il conte Scheffer, che era presente con altre persone e gli chiese se fosse vero che una persona simile esistesse e, in caso affermativo, se per caso non fosse un pazzo. Il conte rispose che la persona esisteva e che era un uomo nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, e anzi un saggio, membro della Camera Svedese dei Nobili. La regina allora chiese di incontrarlo.
Essendo Scheffer amico intimo di Swedenborg, gli fu facile condurlo a corte. La regina accolse il veggente con grande cortesia e lo pregò di una commissione presso suo fratello, il principe Guglielmo di Prussia, morto tre anni prima. Swedenborg rispose che accettava ben volentieri. Allora la regina, alla presenza del re e di Scheffer, espose al veggente la sua richiesta.
Swedenborg promise di esaudirla. Qualche tempo dopo Swedenborg tornò a corte e comunicò alla regina il risultato della commissione: lei ne rimase così stupita che svenne. Tornata in sé, disse queste sole parole: «E’ una cosa che nessun mortale avrebbe potuto dirmi !».
Questo il racconto che Swedenborg stesso fece al generale Tuxen, il quale ne fece oggetto di una lettera che è stata conservata. Kant nei Sogni di un visionario riferisce brevemente il fatto; in seguito fece una piccola inchiesta in merito e due anni dopo la pubblicazione del suo libro scrisse a Charlotte Knobloch una lettera (quella cui abbiamo fatto riferimento) in cui descrive più dettagliatamente il fatto e aggiunge di aver incaricato un ufficiale suo ex allievo ed amico di fare tutte le ricerche necessarie. Kant aggiunse poi: «Il mio amico ha parlato con Swedenborg ed è anche andato a trovarlo nella sua casa, restando assolutamente stupito di questo caso. Swedenborg è un uomo ragionevole, compiacente ed aperto. E’ istruito e il mio amico mi ha promesso di inviarmi alcuni dei suoi libri. Ha confidato al mio amico, senza alcuna reticenza, che Dio gli ha dato la singolare facoltà di conversare con i trapassati: e gli ha raccontato diversi casi noti».
Un’altra importante testimonianza su questo caso viene da D. Thiébault, membro dell’Accademia Reale di Berlino, che ne ha riferito nel suo libro Ricordi di vent’anni a Berlino (Parigi 1804). Thiébault era amico di Federico II e durante la rivoluzione francese fu segretario del Direttorio: la sua testimonianza è quindi importante anche per l’alto rango di chi la riferisce. Egli aveva sentito raccontare il fatto dalla regina Luisa Ulrica stessa, che una volta rimasta vedova del re Federico Adolfo di Svezia era andata a vivere presso il fratello Federico il Grande di Berlino. Ecco il racconto, così come lo riferisce Thiébault:
«Poco disposta - ella disse - a credere simili meraviglie (le erano stati narrati alcuni episodi di veggenza di Swedenborg, [N. d. A.]) aveva voluto sottoporre il veggente ad una prova. L’aveva dunque preso da parte una volta che lui era venuto a corte e l’aveva pregato di farsi dire da suo fratello, il principe Guglielmo, quello che lui le aveva detto al momento della loro separazione a Postdam, quando lei nel 1744 era andata a Stoccolma per sposare il re. Aggiunse che si trattava di una cosa che né lei né suo fratello avrebbero potuto rivelare ad alcuno.
Diversi giorni dopo, mentre la regina era al tavolo da gioco, Swedenborg aveva chiesto di parlarle privatamente. Quando lei aveva osservato che poteva parlare davanti a tutti, lui aveva risposto che ciò che stava per dire alla sovrana non doveva essere udito da nessuno. Allora Luisa Ulrica era passata nella stanza vicina, accompagnata dal senatore Schwerein che lasciò di guardia alla porta, mentre il veggente, recatosi con lei in fondo alla stanza, le indicò l’ora esatta in cui aveva preso congedo da suo fratello, aggiungendo che una volta conclusi gli addii lui l’aveva incontrata ancora una volta mentre attraversava la galleria di Charlottenburg, l’aveva presa per mano, l’aveva condotta nell’incavo di una finestra dove nessuno poteva sentire, e le aveva detto certe parole che Swedenborg ripeté una per una. La regina naturalmente non disse quali fossero queste parole, però chiese in proposito la testimonianza di Schwerein, il quale confermò la cosa per quanto lo riguardava».
Ecco dunque un altro fatto confermato da importanti testimonianze tutte concordanti, per cui deve essere senz’altro considerato storico.
Dagli esempi qui riportati risulta che Swedenborg fu senza alcun dubbio quello che oggi definiamo un «medium»: un medium dalle doti eccezionali, uno di quei rari medium su cui si può fare sicuro affidamento. Ne fa testimonianza soprattutto il caso della regina, dove Swedenborg si mostrò in grado di selezionare tra gli innumerevoli ricordi presenti nella memoria di Luisa Ulrica proprio quel fatto particolare, quelle particolari parole che gli era stato richiesto di farsi dire. Anche volendo prescindere da un’interpretazione soprannaturale (reale intervento dei trapassati che gli avrebbero fornito le informazioni necessarie), bisogna ammettere che si tratta di veggenze eccezionali.
Ma se questi episodi sono veri (e sappiamo che lo sono), dobbiamo ipotizzare che lo siano anche le descrizioni dell’aldilà che Swedenborg ci ha lasciato ? Che corrisponda alla realtà quanto il veggente ci dice del cielo e dell’inferno, della dimensione ultraterrena e dei suoi abitanti, degli angeli e delle condizioni della vita dopo la morte ? Questo è, e certamente resterà, un mistero, per altro riferibile anche ad altri medium che, oltre a dare prove concrete delle loro doti di veggenza, hanno fornito descrizioni dell’aldilà.
Nel caso di Swedenborg, veggente dalle doti eccezionali, il problema si presenta con particolare urgenza. La risposta non potrà ovviamente essere univoca, ma dovrà essere affidata alla coscienza di ognuno, alla risonanza che le visioni suscitano in lui, alla forza dimostrativa che esse sembrano rivestire.
Dell’onestà di Swedenborg testimonia il fatto che non ricercò mai onori e guadagni per sé ed evitò addirittura ogni riconoscimento; pubblicò anonimi molti dei suoi libri religiosi e non fece mai alcun tentativo di trovare seguaci o di fondare una chiesa. Pubblicò sempre a sue spese i suoi volumi, che non si preoccupò mai di diffondere. Egli stesso ebbe a dire a proposito dell’autenticità delle sue visioni: «Se ciò che dico è vero, perché dovrei essere desideroso di sostenerlo ? Certamente la verità sa difendere se stessa ! Se ciò che dico è falso, sarebbe un compito sciocco e degradante volerlo difendere».
In ogni caso Swedenborg è un personaggio straordinario, un protagonista del suo tempo, un uomo che ha un ruolo di primo piano sia per la scienza che per la ricerca psichica. E come tale merita senz’altro di essere meglio conosciuto.
L’opera religiosa
Nel 1747 appariva a Londra il primo degli otto volumi (dodici nelle edizioni moderne) dell’opera latina intitolata Arcana Coelestia (= Segreti celesti).
L’autore non era menzionato (11), ma fin dall’inizio, in prima persona, veniva dichiarato lo scopo del libro:
«Posso subito testimoniare che per la divina grazia del Signore mi è stato concesso già da alcuni anni di essere costantemente e ininterrottamente in compagnia di spiriti e angeli, sentendoli parlare e a mia volta parlando con loro. In questo modo mi è stato dato di sentire e vedere cose meravigliose nell’altra vita, che prima non erano mai venute a conoscenza di alcuno, e neppure nel pensiero. Sono stato istruito sui diversi tipi di spiriti, la condizione delle anime dopo la morte, l’inferno o la lamentevole condizione di chi non ha fede, il cielo o la condizione beata di chi ha fede; e specialmente sulla dottrina della fede che è riconosciuta nell’universo cielo. Sui quali soggetti, per la divina grazia di Dio, di più sarà detto nelle pagine seguenti».
(11) Swedenborg pubblicò anonime le sue opere religiose per parecchio tempo. Quando però nel 1756 si verificò l’episodio dell’incendio di Stoccolma che lo rese famoso, non gli fu più possibile continuare a mantenere l’anonimato e cominciò a pubblicare col proprio nome.
Swedenborg si rendeva perfettamente conto che non sarebbe stato facile per i lettori accettare senz’altro il suo contatto col mondo spirituale, ed è con estrema consapevolezza che scrive nelle prime pagine di questa sua opera:
«Molti obietteranno che nessuno può parlare con spiriti e angeli finché vive nel proprio corpo... Ma questo non mi preoccupa, perché io ho visto, udito e sentito...».
L’autore di queste righe non aveva mai cercato di mettersi volontariamente in contatto con spiriti e angeli: tutto - diceva - avveniva per grazia e volere di Dio. Come ai veggenti della Bibbia, anche a Swedenborg la visione veniva concessa in stato di veglia, così che subito dopo poteva trascrivere ciò che aveva visto e udito. Migliaia di visioni e audizioni costituiscono infatti Arcana Coelestia e tutte le successive opere religiose.
Dopo la pubblicazione, avvenuta tra il 1747 e il 1758, di Arcana Coelestia, che rappresenta da sola più di un terzo dell’intera opera teologica di Swedenborg, i libri successivi furono presentati in volumi singoli su temi specifici: nel 1758 apparve a Londra il suo libro più famoso, uno dei bestseller religiosi di tutti i tempi: De coelo et inferno ex auditis et visis (Del cielo e dell’inferno sulla base delle cose udite e viste), comunemente noto come Cielo e Inferno; e nel 1771 fu pubblicata la sua ultima opera, Vera christiana religio (La vera religione cristiana). L’opera religiosa completa di Swedenborg comprende però moltissimi altri titoli, tra cui ricordiamo:
L’apocalisse rivelato, L’amore coniugale, Il divino amore, La divina provvidenza, La dottrina della vita, La nuova Gerusalemme e la sua dottrina celeste, La divina saggezza, e molte altre.
La sua opera più vasta, Arcana Coelestia, è la spiegazione metodica del significato interiore e allegorico dei testi sacri: i libri della Genesi e dell’Esodo, la storia biblica della creazione, la caduta dell’uomo, il diluvio, i patriarchi fino a Mosè. Tra i vari capitoli troviamo brevi trattati su temi religiosi, ad esempio «Della resurrezione dell’uomo dalla morte e il suo ingresso nella vita eterna», «La natura della vita dell’anima o spirito», e altri ancora.
Per dare un’idea di questa «interpretazione interiore» della Bibbia, che costituisce la massima parte di Arcana Coelestia, riportiamo a titolo di esempio i primi versetti della Genesi: a sinistra il testo biblico, a destra l’interpretazione di Swedenborg, cioè il suo significato spirituale:
In principio Dio creò il cielo e la terra.
La vita inizia quando Dio crea l’uomo interiore (cielo, l’aspetto più alto) e l’uomo esteriore (terra, corpo, aspetto inferiore).
La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso.
L’uomo esteriore inizia in uno stato di grande ignoranza e istintualità (buio sull’abisso).
E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
E la vita di Dio anima le tendenze inconsce dell’uomo (l’acqua esprime tutte le potenzialità della mente).
Dio disse: «Sia la luce !». E la luce fu. E Dio creò la coscienza.
Dio vide che la luce era cosa buona E il Divino è consapevole della bontà (o dell’uso) della sua creazione, e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte, che fa una distinzione di base tra ciò che è piena coscienza che viene da Dio (giorno), e coscienza umana limitata (notte).
E fu sera e fu mattina: primo giorno.
Dal buio dell’inconscienza al mattino della coscienza: il primo giorno della creazione...
Arcana Coelestia, e in generale l’opera religiosa di Swedenborg, consente una vastissima visione dell’universo, che viene descritto come un tutto armonico, costituito da ciò che il veggente chiama «il grande uomo»: proprio come il corpo umano consiste di miriadi di parti, organi e cellule, così l’universo nel suo complesso è costituito da infinite «società» distinte, che lavorano armoniosamente assieme, ognuna essenziale a tutte le altre.
In tutto l’universo esiste un unico Dio, il Dio dell’eternità, che ha preso forma umana in Gesù Cristo. Egli è il «sole spirituale», il centro di irradiazione di tutta la vita spirituale e naturale. Tutti gli abitanti del mondo spirituale, di cui noi fin d’ora siamo cittadini potenziali, sono stati una volta uomini sul nostro pianeta o su uno degli altri infiniti pianeti abitati. Angeli e demoni, le creature di cui tutte le religioni parlano, sono quello che siamo noi, solo in misura estremamente potenziata, nel bene e nel male.
Dopo la morte, che distrugge solo il corpo materiale, si raggiunge il mondo spirituale, cioè l’altro livello di esistenza, come Gesù insegna nel Nuovo Testamento. Il destino ultimo dell’uomo dipende dalla sua situazione interiore, dal suo «amore», dal suo desiderio di servire Dio oppure di farsi servire, dall’essere un elemento costruttivo oppure distruttivo. La vita terrena, dice Swedenborg, comincia qui e adesso, non nell’aldilà: per questo è importantissimo il modo in cui viviamo questa nostra vita.
«La terra», fu dettato al veggente, «è il vivaio del mondo spirituale»: una volta lasciata la terra, l’uomo raggiunge la sua vera destinazione. Dopo la morte l’uomo è più uomo di prima, è più intensamente uomo: ha un corpo spirituale con membra e sensi, può pensare e volere, ha una memoria, è uomo o donna - perché il sesso è più di un semplice strumento per la riproduzione della specie. L’aldilà di Swedenborg è, in altre parole, molto concreto. Quando per esempio descrive i compiti degli angeli, non parla di eterno pregare, cantare e suonare l’arpa, non parla di eterna contemplazione di Dio, ma dice che la loro massima gioia è giovare al regno divino e che le loro occupazioni sono infinite.
Il mondo spirituale descritto da Swedenborg è molto simile a quello terreno (però il cielo è infinitamente più bello e l’inferno più brutto e distorto...): però quello che vediamo in quel mondo - precisa il veggente - non è materiale. Noi vediamo ciò che potremmo chiamare «corrispondenze». Un bel giardino corrisponde alla serenità dell’animo. Se vediamo animali o uccelli, essi rappresentano i nostri affetti. Alberi, case, panorami e città rappresentano le nostre idee, e gli abiti che indossiamo corrispondono a qualità della nostra personalità. Il tema delle «corrispondenze» è molto vasto e importante in Swedenborg, e va tenuto ben presente specialmente da chi trova che il suo aldilà sia troppo simile alla terra.
Nella creazione esistono due dimensioni, o due «mondi». L’uomo è, per così dire, «cittadino di entrambi i mondi»: attraverso il corpo è cittadino di quello materiale, attraverso lo spirito di quello spirituale. Di questa sua doppia cittadinanza l’uomo però si rende conto di rado, in quanto i sensi materiali lo fanno di preferenza rivolgere al mondo materiale. I veggenti invece, per volere di Dio, usano anche i loro «sensi spirituali», così che già sulla terra possono vedere e sentire ciò che di solito viene percepito solo dopo la morte del corpo.
Il mondo spirituale non è quindi al di là del mondo spaziale, ma soltanto al di là dei nostri sensi corporei: è in noi e intorno a noi. Tutte queste cose Swedenborg, scienziato e ricercatore, sa esprimerle con precisione, anche se è ben consapevole che non è possibile riprodurre con parole umane le cose del mondo spirituale così come esse veramente sono: le parole terrene risultano infatti inadeguate. E ciò che Swedenborg dice della pace in cielo vale per tutte le sue descrizioni della vita ultraterrena:
«Chi non ha vissuto la pace del Cielo, non può comprendere la pace in cui si trovano gli angeli. Fintanto che l’uomo vive nel corpo, non può capire questa pace, perché la conoscenza umana è legata alle cose naturali. Chi vuole capirla, deve poter elevare il suo pensiero e allontanarlo dal corpo, finché giunge accanto agli angeli. Dato che io appunto in questo modo ho sperimentato la pace del Cielo, posso descriverla - però non come essa è, perché le parole umane non sono sufficienti, ma soltanto attraverso il confronto con la pace spirituale di coloro di cui si dice che sono lieti in Dio» (da Cielo e Inferno, n. 284).
Un altro concetto basilare di Swedenborg è che l’uomo è in realtà uno spirito che vive dentro un corpo materiale. L’anima nascendo si riveste di sostanze materiali fornite dalla madre e poi, dopo la nascita, continua a svilupparsi fisicamente e al tempo stesso anche mentalmente e spiritualmente. Alla morte questo essere spirituale viene liberato dall’involucro materiale e trova la sua collocazione nel mondo degli spiriti. Chi ha vissuto bene, raggiunge uno stato felice di pura armonia con la propria natura, chi ha scelto il disordine e l’egoismo non sarà capace di tollerare la sfera celeste e cercherà i suoi simili: il che - commenta Swedenborg - è già una sufficiente punizione.
La vita sulla terra (Swedenborg lo fa notare con frequenza) è una preparazione a quella che verrà, e tra i due mondi c’è una inter-relazione che è la fonte delle nostre emozioni e delle nostre idee. Tra coloro che vivono nel mondo spirituale e quelli che vivono ancora sulla terra c’è un continuo rapporto: noi siamo costantemente in compagnia di esseri invisibili, i quali possono influenzarci in modi a noi sconosciuti. Esistono spiriti buoni e spiriti cattivi, e tutti fanno sforzi incessanti per indurci nella loro sfera e operano in modi che noi neppure sospettiamo, però evitano assolutamente d’agire in modo da toglierci la nostra libertà: noi nella nostra vita siamo in grado di incoraggiare la presenza degli spiriti buoni e di allontanare quelli cattivi, indirizzandoci quindi al meglio. L’uomo è stato creato dalla sapienza e dall’amore divino affinché sia sempre consapevole di essere lui stesso a controllare e configurare il proprio destino.
Swedenborg afferma anche che Dio ha sempre comunicato con l’uomo attraverso la rivelazione diretta e l’opera meravigliosa della natura: ma l’uomo non ha mai prestato orecchio troppo attento ai divini insegnamenti.
Gli scritti di Swedenborg affrontano moltissimi temi e dibattono i più importanti problemi filosofici, quelli con cui da sempre le menti più speculative della storia dell’umanità si sono confrontate. Solo la lettura delle opere può rendere ragione al veggente svedese. In più nei suoi libri, specie Cielo e Inferno, si trova una completa descrizione dell’aldilà, sono riportate conversazioni con persone morte, visite a popoli di tempi passati e di pianeti diversi dal nostro. E a certi amici che lo sconsigliavano dal mettere nei suoi libri queste visioni per timore del discredito, Swedenborg dichiarò semplicemente che gli era stato ordinato di includere anche questo, e lui doveva quindi ubbidire.
A dimostrazione della buona fede con cui Swedenborg operava, sta il fatto che per sostenere le sue idee egli mise a repentaglio la sua posizione di uomo stimato e onorato e corse il rischio di mettersi in serio disaccordo con la Chiesa: il motivo dei suoi lunghi viaggi all’estero e della pubblicazione in paesi stranieri delle sue opere dipende dall’impossibilità di far apparire i suoi libri nella Svezia luterana.
Neppure era alla ricerca di onori e fama, ché anzi da quando fu certo della sua missione si ritirò da ogni incarico e condusse una vita modestissima, dedita soltanto all’opera che sapeva di dover portare a termine. Un’opera che durò ben 28 anni e comprende oltre trenta volumi, tutti estremamente armonici, logici e razionali, quali difficilmente avrebbero potuto essere concepiti da un visionario pazzo o da un ciarlatano.
Resta, ovviamente, l’impossibilità di dimostrare i contenuti dei libri di Swedenborg: problema che per altro si presenta ogni volta che abbiamo a che fare con scritti che trattano temi trascendenti. Riteniamo in ogni caso che valesse veramente la pena di proporre all’attenzione del pubblico italiano, in occasione del trecentenario della sua nascita (Swedenborg, lo ricordiamo, nacque nel 1688) questa originalissima figura di scienziato-veggente, le cui opere ormai da oltre due secoli continuano a suscitare curiosità e interesse.
Cielo e Inferno
E’ questa l’opera più popolare di Swedenborg. Apparve nel 1758 a Londra in latino e ha avuto da allora centinaia di edizioni nelle lingue più diverse.
Una bibliografia dell’opera risalente al 1906 cita ben 95 diverse edizioni inglesi, 11 tedesche, 8 francesi, 6 svedesi, 2 danesi, più altre in arabo, indostano, polacco, russo, gallese; in più una quantità di estratti. Non sappiamo quale sia la situazione aggiornata, ma certamente il numero sarà cresciuto. Stranamente, il paese dove l’opera di Swedenborg sembra essere meno conosciuta è l’Italia: alcuni suoi libri (non Cielo e Inferno) sono stati pubblicati molti anni fa, addirittura alla fine dell’Ottocento, e sono esauriti da tempo. La presente traduzione viene quindi a colmare una lacuna.
Il tema dell’opera - «cielo e inferno», cioè quello che ci attende dopo la morte, è oggi più che mai attuale: anche se la morte è forse l’ultimo tabù della nostra società tutta tesa verso ciò che è giovane, l’interesse per ciò che ci attende dopo quella soglia non è mai venuto a mancare. Quanto sia importante confrontarsi per tempo con questo problema lo attesta Jung il quale aveva notato come molte delle nevrosi dei suoi pazienti di mezza età dipendessero appunto dall’aver trascurato il tema della morte, col risultato di non avere ancora una soluzione in questo campo. Giustamente Jung scrive nei suoi Ricordi: «L’uomo dovrebbe poter dire di aver fatto del suo meglio per formarsi una concezione della vita dopo la morte, o per farsene un’immagine - anche se poi deve confessare la sua impotenza. Non averlo fatto è una perdita vitale...» (12).
(12) C. G. Jung: Ricordi, sogni, riflessioni (raccolti ed editi da Aniela Jaffè) Biblioteca Universale Rizzoli 1979, pag. 357.
L’opera di Swedenborg, Cielo e Inferno in particolare, fornisce una quantità di indizi illuminanti in questo senso, e presenta inoltre – come avremo modo di osservare - straordinarie analogie con una modernissima ricerca, quella sulle esperienze in punto di morte: in altre parole, le descrizioni che Swedenborg fa sulla base delle sue visioni non sono molto dissimili da quelle delle persone che sono vicine alla morte e sono poi state riportate in vita. www.angels-light.org
In Cielo e Inferno, che è un vero «vademecum» nel mondo spirituale, Swedenborg fornisce varie descrizioni del risveglio dell’uomo nella dimensione ultraterrena, e la sua testimonianza permette una notevole comprensione di una esistenza al di là di spazio e tempo, libera dal peso del corpo fisico e dai problemi di questa vita materiale.
Pubblicando le sue rivelazioni sulla vita dopo la morte, Swedenborg affrontava anche il problema della vera natura dell’uomo. Egli affermò infatti in un’infinità di occasioni che la vita che viviamo sulla terra è una preparazione alla vita vera, eterna, per la quale siamo stati creati. Il corpo fisico non è che un vuoto involucro destinato a morire e ad essere abbandonato per liberare la persona reale nella quale ci trasformeremo dopo questa vita. A titolo di esempio riportiamo un paio di brani in cui il veggente descrive il «risveglio» nell’aldilà dopo la morte:
«Quando un corpo non può più svolgere le sue funzioni nel mondo naturale... si dice che l’uomo muore. Questo avviene quando polmoni e cuore cessano la loro attività. Tuttavia l’uomo in realtà non muore, ma viene soltanto separato dal corpo che gli è servito nel mondo. L’uomo in se stesso continua a vivere. Ho detto “l’uomo in se stesso” perché l’uomo non è tale per il suo corpo, ma per il suo spirito, in quanto è appunto lo spirito che pensa nell’uomo ed è il pensiero insieme all’inclinazione che fa l’uomo. Ne deriva che nella morte l’uomo passa soltanto da un mondo all’altro. Per questo motivo “morte” nel senso interiore del termine significa resurrezione e proseguimento della vita» (n. 445).
«Parlai con alcune persone il terzo giorno dopo la loro morte. Tre di loro le avevo conosciute quando vivevano in questo mondo. Raccontai loro che si stava appunto provvedendo al loro funerale per seppellire il loro corpo.
Quando loro udirono queste cose, restarono stupiti e spiegarono che erano ben vivi e che veniva sepolto soltanto quello che era servito loro sulla terra.
Espressero poi il loro stupore perché in vita non avevano creduto a una simile vita dopo la morte: tutti coloro che nel mondo non avevano creduto in alcuna forma di sopravvivenza dopo la morte del corpo sono molto vergognosi non appena si rendono conto che nonostante tutto continuano a vivere...» (n. 552).
Il mondo descritto da Swedenborg non è qualcosa di astratto ed etereo, ma un regno di sensazioni più acute di quelle terrene e in cui si vive una vita non dissimile da quella terrena, però senza spazio e tempo.
Swedenborg afferma spesso che la luce di quella vita è incommensurabilmente più luminosa della luce che conosciamo, non luminosa nel senso che acceca, ma di quella bellezza, brillantezza e chiarità che è indicata in qualche modo dal sole che riappare dopo un temporale estivo: «Sono stato innalzato dentro la luce che brillava come la luce che irradia dai diamanti; mentre ero trattenuto in essa, mi sembrava di essere strappato dalle idee corporali e mondane e di essere condotto verso le idee spirituali...».
Il veggente riferisce di comunicazioni non verbali, di scambi di idee e sentimenti a livello telepatico. Nell’altro mondo ipocrisia e simulazioni non sono possibili e l’anima non può esprimere un’idea che non sia del tutto in armonia coi suoi autentici sentimenti interiori. Swedenborg parla anche del nostro «libro della vita», dice cioè che dopo morti vediamo la nostra vita passata in ogni dettaglio, e questo ha un ruolo fondamentale per insegnarci chi veramente siamo. Descrive l’aldilà, osservando che in quella dimensione si è attratti da coloro che sono simili a noi, e in un certo modo allontanati da coloro coi quali non siamo in armonia.
Swedenborg afferma che dopo la morte non veniamo a trovarci improvvisamente nella vita alla quale siamo definitivamente destinati:
importante è il processo di transizione. Spiega che ci sono cure e attenzioni speciali per la persona che conclude la sua vita terrena e inizia quella spirituale. Anche se la morte è stata dovuta a circostanze tragiche e accompagnata da angoscia fisica e mentale, il nuovo arrivato viene aiutato a ritrovare uno stato di calma e serenità. Swedenborg scrive anche che certi spiriti hanno il «compito» di ricevere i nuovi arrivati. La loro natura e personalità sono costituite in modo che vengono incaricati di occuparsi di chi passa da un mondo all’altro, e lo fanno con grande delicatezza, facendo sempre in modo di consentire piena libertà al nuovo arrivato; soprattutto gli trasmettono un sentimento di grande amore, e gli fanno sentire la presenza di un amico, di uno che sa e può spiegare ogni cosa.
Swedenborg spiega anche che non si vede realmente Dio, il Padre ineffabile, ma che lo spirito di Dio pervade ogni cosa, espresso dalla vivida luce.
Una delle cose più importanti delle rivelazioni di Swedenborg è che l’uomo non viene immediatamente ammesso nel cielo (per il quale è totalmente impreparato), o gettato all’inferno come punizione per i suoi peccati. Non guadagna il paradiso per la «grazia», né è condannato per i suoi peccati. Lo stadio iniziale del mondo spirituale non è né cielo né inferno: la transizione può esser breve, ma può anche durare finché la persona non fa una scelta netta tra bene o male. La dimensione in cui tutti arriviamo subito dopo la morte è ciò che Swedenborg chiama il «regno degli spiriti»: qui regna una grande libertà, così che ognuno può vivere secondo le proprie inclinazioni, facendo il bene oppure operando il male. Questo appunto è il tribunale: Dio, che è puro amore, non condanna nessuno: i malvagi si dirigono di propria volontà all’inferno, i buoni al paradiso, e di lì a una delle innumerevoli «società» di loro simili. E’ per amore che Dio dà anche la libertà di fare il male, altrimenti l’uomo sarebbe un automa, incapace di stabilire con Dio il patto di reciproca alleanza.
In questa esistenza spirituale non esiste né spazio né tempo: spazio nel senso di distanza significa semplicemente che siamo «vicini» a coloro che sono simili a noi, e «lontani» da coloro che non hanno niente, o ben poco, in comune con noi. Il tempo non ha più significato perché siamo in un regno eterno: i livelli che l’anima attraversa possono essere paragonati più a «stati» che a spazi temporali.
Per Swedenborg inoltre non vale quello che in genere si dice, cioè che la fantasia umana riesce a immaginare meglio l’inferno che il paradiso: nel suo libro infatti due terzi delle descrizioni riguardano il cielo e un terzo «il regno degli spiriti», cioè lo stadio di transizione, e l’inferno.
Una cosa va tenuta presente: Swedenborg sapeva bene che non è possibile descrivere i fenomeni del mondo spirituale come realmente sono, ma soltanto attraverso immagini tratte dal mondo e dai concetti umani. Nella lettura di Cielo e Inferno è importante aver sempre presente questo, per non correre il rischio di fraintendere o di non capire fino in fondo le descrizioni del veggente svedese. Quello che egli disse a proposito della «pace del cielo» (cfr. pagina 24), vale, in ultima analisi, per tutte le descrizioni della vita dell’aldilà.
Le descrizioni di Swedenborg sono radicalmente diverse da miti e leggende, diverse dalle descrizioni dantesche, diverse anche - per certi aspetti - da quanto ci hanno tramandato le religioni. Presentano invece, come si diceva, molte analogie con i risultati della moderna ricerca sulla morte, cioè con le esperienze dei rianimati, di coloro che sono stati per un attimo «sulla soglia» e sono poi stati richiamati in vita grazie alle moderne tecniche di rianimazione.
Chi ha dimestichezza con l’ormai vasta letteratura esistente in questo campo (13), non può non aver notato somiglianze ben precise tra le cose che dice Emanuel Swedenborg, e che succintamente ho riportato, e le descrizioni di coloro che sono stati vicini alla morte. Anche questi ultimi, come il veggente svedese, parlano di una condizione di pace e benessere, parlano di una luce infinitamente più luminosa di quella terrena, parlano di una sorta di «film della vita» nel quale rivedono tutte le proprie azioni, di cui sono in grado di dare una valutazione etica. Swedenborg parla di «libro della vita».
(13) Tra le varie opere disponibili in italiano citiamo le più recenti:
Giovetti Paola: Qualcuno è tornato (Armenia 1981 e 1988) e Inchiesta sul paradiso (Rizzoli 1986).
Jankovich Stefan: Vi racconto la mia morte (Edizioni Mediterranee 1985).
Moody Raymond: La vita oltre la vita (Mondadori 1977).
Osis e Haraldson: Nel momento della morte (Armenia 1978).
Sabom Michael: Dai confini della vita (Longanesi 1983).
Al pari di Swedenborg, i rianimati parlano di incontri con persone care precedentemente defunte, parlando di un aldilà che non è astratto ed etereo, ma è un mondo di sensazioni più vivide di quelle terrene e in cui si vive una vita non dissimile da quella terrena, priva però dei condizionamenti spaziali e temporali. Una vita che si svolge in un ambiente di straordinaria bellezza, dolcezza e serenità.
Nessuno di coloro che sono stati riportati in vita ha parlato di un paradiso o di un inferno nel senso tradizionale del termine: tutti invece concordano nel descrivere una sorta di stazione intermedia, caratterizzata appunto da pace e bellezza; e anche Swedenborg, come abbiamo visto, afferma che dopo la morte non si va subito nella vita alla quale si sarà poi definitivamente destinati, ma si attraversa un processo di transizione in una dimensione in cui si viene accolti con amore e predisposti spiritualmente alla nuova vita. Dopo morti quindi non c’è stasi, ma un lungo cammino da percorrere prima di raggiungere la meta definitiva.
In un’altra cosa le descrizioni di Swedenborg e quelle di chi è stato prossimo alla morte concordano pienamente: nell’affermazione che le parole umane sono inadeguate, non bastano a descrivere la dimensione spirituale, che è di per sé inesprimibile.
La lettura completa dell’opera di Swedenborg e delle opere prima indicate consentirà di mettere in luce un numero molto maggiore di analogie: analogie che contribuiscono a convalidare e confermare sia le descrizioni del veggente che quelle di chi ha visto in faccia la morte.
Non va infine dimenticato - e chi conosce la materia non faticherà a sincerarsene - che le descrizioni di Swedenborg concordano anche con molte descrizioni giunte per via medianica relative al passaggio all’altra vita e all’Aldilà.
Queste conferme e concordanze indipendenti meritano di essere tenute in seria considerazione perché ci fanno leggere con occhi diversi quanto Swedenborg ci dice sul mondo ultraterreno conosciuto attraverso le sue visioni: un mondo che ci appare così più vero, concreto e reale.
CIELO E INFERNO DESCRITTI
IN BASE ALLE COSE DA LUI VISTE E UDITE
(I)
IL CIELO
(1)
OSSERVAZIONI PRELIMINARI
DELL’AUTORE
(1)
Quando il Signore parlò ai discepoli della «fine dei tempi», dell’ultimo periodo della Chiesa, disse anche queste parole:
«Or subito dopo l’afflizione di quei giorni il sole si oscurerà e la luna non darà il suo splendore, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scrollate. Ed allora apparirà nel cielo il segno del Figliuol dell’uomo; ed allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio, e vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba a radunare i suoi eletti dai quattro venti, dall’un capo all’altro dei cieli». (Matteo 24, 29-31).
Chi prende queste parole alla lettera, ritiene che alla fine dei tempi, al momento del giudizio universale, tutte queste cose si avvereranno, che cioè non soltanto il sole e la luna si oscureranno e le stelle cadranno dal cielo, e si vedrà il Signore sulle nubi e gli angeli con le trombe, ma crede anche che tutto il mondo visibile finirà e sorgerà un nuovo cielo e una nuova terra. Questo è quanto oggi crede la Chiesa.
Chi però crede queste cose, non sa nulla dei segreti celati in ognuna delle parole; infatti ogni parola ha un significato interiore, che non riguarda le cose naturali e mondane bensì le cose spirituali e celesti. Le parole divine furono infatti pronunciate in modo da contenere anche un significato interiore.
Quando si parla di sole, si intende il Signore considerato dal punto di vista dell’amore; la luna si riferisce alla fede; le stelle indicano la conoscenza del bene e del vero, o dell’amore e della fede; il Figliuolo dell’uomo sulle nuvole indica la manifestazione della divina verità; le nuvole indicano il senso letterale della parola e la gloria il senso interiore; gli angeli con le trombe stanno ad indicare il cielo da cui discende la divina verità.
Tutto questo dovrebbe far comprendere che cosa significano le parole del Signore sopra riportate: alla fine della Chiesa, se non ci sarà più amore e quindi neppure fede, il Signore svelerà la parola secondo il suo significato interiore e rivelerà i segreti del cielo. Questi segreti riguardano il cielo e l’inferno come pure la vita degli uomini dopo la morte. L’uomo di Chiesa oggi sa ben poco sul cielo e l’inferno e sulla vita dopo la morte, sebbene tutto questo si trovi descritto nelle parole del Signore. Molti nati nell’ambito della Chiesa addirittura negano queste cose e dicono: «Chi mai è tornato di là e ha raccontato che cosa avviene ?».
Affinché questo atteggiamento, proprio soprattutto delle persone colte, non contamini e rovini anche coloro che hanno fede e sono di cuore semplice, mi è stato concesso di stare in compagnia degli angeli e di parlare con loro come si parla con altri uomini. Allo stesso modo mi è stato concesso (da più di tredici anni ormai) di vedere le cose che si trovano nel cielo e nell’inferno, e di descriverle in base a quanto ho visto e udito - nella speranza che l’ignoranza venga dileguata e la mancanza di fede svanisca. Questa rivelazione diretta avviene proprio oggi; con essa va intesa la venuta del Signore.
(2)
IL SIGNORE È IL DIO DEL CIELO
(2)
Per prima cosa bisogna sapere chi è il Signore del Cielo, perché da questo dipende tutto il resto. In tutto il Cielo, al di fuori del Signore, nessuno viene riconosciuto Dio del Cielo. Si dice là, come Egli stesso ha insegnato, che Egli è uno col Padre, e chi vede Lui, vede il Padre; che il Padre è in Lui e Lui nel Padre; che tutto ciò che è santo proviene da Lui (Giovanni 10, 31, 38; 14, 10 segg.; 16, 13-15). Di questo io ho parlato spesso con gli angeli ed essi mi hanno detto con sicurezza che in Cielo non si può distinguere il divino in tre (persone), perché lì si sa e si sente che il divino è una sola cosa, e risiede nel Signore. Gli angeli hanno detto anche che membri della Chiesa che lasciano il mondo non possono essere accolti in Cielo se la loro mente è occupata dall’idea delle tre persone, perché il loro pensiero vaga da una persona all’altra e in Cielo non è concesso pensare a tre persone e nominarne una sola. In Cielo ognuno parla come pensa perché là la parola è un attributo del pensiero, o si può dire anche che è un pensiero parlante. Perciò coloro che nel mondo distinguono il divino in tre persone, avendo di ognuna di queste una diversa concezione, e non si concentrano su un solo Signore, non possono essere accolti in Cielo. In Cielo infatti avviene una comunicazione generale a livello di pensiero. Se quindi giunge in Cielo uno che pensa a tre persone e si rivolge a una soltanto, lo si riconoscerebbe immediatamente.
(3)
Coloro che, facendo parte della Chiesa, hanno negato il Signore Gesù Cristo e hanno riconosciuto soltanto il Padre e si sono vieppiù fortificati in questa fede, sono esclusi dal Cielo; e dato che non sono oggetto di nessun influsso dal Cielo dove viene adorato solo il Signore, gradualmente perdono la capacità di pensare a qualcosa di vero e autentico. Infine divengono come muti, incerti nel muoversi come se avessero perduto ogni forza. Coloro invece che hanno negato il divino e creduto soltanto a ciò che è umano, si trovano anch’essi al di fuori del Cielo. Chi però ammette di credere in una insondabile e inconoscibile divinità da cui tutto ha avuto origine, ma non crede nel Signore, viene confinato tra i cosiddetti naturalisti. Diversamente vanno le cose per coloro che sono nati fuori dalla Chiesa, cioè i pagani. Di costoro tratteremo in seguito.
(4)
Tutti i bambini, che costituiscono un terzo del Cielo, vengono dapprima avviati a credere che il Signore è il loro Padre ed è Dio del Cielo e della terra. In seguito vedremo come i bambini in Cielo crescono e si perfezionano fino a raggiungere la conoscenza e la sapienza degli angeli.
(5)
Chi appartiene alla Chiesa non può dubitare che il Signore sia il Dio del Cielo, perché Egli stesso insegna che tutto ciò che il Padre ha, è suo (Matteo 11, 27; Giovanni 16, 15; 17, 2); e che a Lui è stata data ogni potestà in Cielo e sulla terra (Matteo 28, 18). Dice in Cielo e sulla terra perché chi governa il Cielo, governa anche la terra, perché questa dipende da quello. Governare il Cielo e la terra significa che questi ricevono tutto da Lui: il bene, che fa parte dell’amore, e il vero, che fa parte della fede, insieme ad ogni comprensione e saggezza e beatitudine: in una parola, la vita eterna. Queste cose le insegnò anche il Signore quando disse:
«Chi crede nel Figliuolo ha vita eterna; ma chi rifiuta di credere al Figliuolo non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra di lui» (Giovanni 3, 36).
E in un altro punto:
«Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morrà mai» (Giovanni 11, 25 segg.).
E ancora:
«Io sono la via, la verità, la vita» (Giovanni 14, 6).
(6)
Ho visto alcuni spiriti che nella loro vita terrena avevano riconosciuto il Padre, ma avevano ritenuto il Signore un uomo comune e non avevano quindi creduto che fosse il Dio del Cielo. A loro era quindi consentito di andare in giro e di cercare se ci fosse un altro Cielo diverso da quello del Signore. Essi cercarono a lungo, ma invano ! Essi appartenevano alla schiera di coloro che credono che la beatitudine del Cielo consista nella gloria e nel comando. E quando fu loro spiegato che le cose non stavano in questo modo, divennero svogliati e continuarono a desiderare un Cielo in cui potessero dominare gli altri ed essere circonfusi di gloria, come sulla terra.
(3)
LA DIVINITÀ DEL SIGNORE CREA IL CIELO
(7)
Gli angeli nella loro globalità sono il Cielo, perché lo formano. In realtà però è il divino che emana dal Signore che fluisce negli angeli e viene da loro accolto. Il divino che emana dal Signore è il bene dell’amore e la verità della fede. Quindi nella misura in cui gli angeli traggono dal Signore il bene e la verità, costituiscono il Cielo.
(8)
Nei Cieli ognuno sa, crede e percepisce che quanto di buono e vero fa e pensa e crede non proviene da lui stesso, ma dal divino, cioè dal Signore. Gli angeli del Cielo percepiscono chiaramente questo influsso e nella misura in cui lo fanno proprio hanno anche la piena consapevolezza di essere in Cielo, di partecipare della sua luce, della sua saggezza e del suo amore. Dato che tutto questo proviene dal divino, è evidente che è il divino stesso a formare il Cielo, e non gli angeli per virtù propria. Per questo il Cielo è detto «dimora del Signore» e «trono del Signore». Vedremo ora come il divino fluisce dal Signore e riempie il cielo.
(9)
Sulla base della loro sapienza, gli angeli vanno ancora più oltre: non soltanto dicono che tutto ciò che è buono e vero proviene dal Signore, ma anche tutto ciò che fa parte della vita. Essi affermano infatti che nulla può sorgere da solo, ma deve avere un’origine, e quindi tutto deriva da un Principio Primo che essi definiscono la vera essenza di tutto ciò che vive. Gli angeli dicono anche che esiste un’unica fonte di vita e che la vita degli uomini è soltanto un ruscelletto che scaturisce da questa fonte e che si estinguerebbe se non fosse continuamente alimentato da questa fonte stessa. Essi dicono inoltre che da quest’unica fonte di vita non proviene altro che verità e bene divino, di cui ognuno partecipa a seconda della propria capacità ricettiva. Coloro che l’accolgono con fede, vivono in un vero Cielo; coloro invece che non l’accolgono, trasformano la loro vita in un inferno. Infatti essi trasformano il bene in male e il vero in falso, e quindi per loro la vita diviene morte. Il fatto che tutto ciò che vive proviene dal Signore, viene spiegato dagli angeli anche considerando che nell’universo tutto è diretto al bene e al vero. La volontà di vita dell’uomo, il suo amore si riferiscono al bene, la sua vita intellettiva, la sua fede si riferiscono al vero. Dato dunque che tutto ciò che è buono e vero proviene dall’alto, ne deriva che anche tutto ciò che fa parte della vita deriva dalla stessa fonte. Per questo motivo gli angeli rifiutano di accettare qualunque ringraziamento per il bene che fanno, e non accettano neppure che a loro venga attribuito qualcosa di buono. Essi si meravigliano che qualcuno possa credere di essere saggio di per se stesso e faccia il bene di per se stesso. Essi non considerano che sia un bene quello che si compie per se stessi, ma solo quello che si compie per amore del bene in sé. Questo è il bene che deriva dal divino, e soltanto questo bene costituisce il Cielo, perché è il Signore stesso. angelo-luce.it
(10)
Gli spiriti che durante la loro vita terrena si sono convinti che il bene delle loro azioni e la verità della loro fede deriva da loro stessi oppure è stato loro attribuito come qualcosa di personale, non vengono accolti in Cielo. Gli angeli li evitano, li considerano ottusi e ladri: ottusi in quanto guardano a se stessi e non al divino, ladri in quanto sottraggono al Signore ciò che gli appartiene.
(11)
Anche il Signore insegna che coloro che sono nel Cielo e nella Chiesa sono in lui e lui in loro quando dice:
«Dimorate in me e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi se non dimorate in me. Io sono la vite, e voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla» (Giovanni 15, 4-7).
(12)
Ne deriva che il Signore dimora ovunque ed è il Cielo stesso e gli angeli. Ciò che deriva da lui, è in realtà lui stesso. Il bene che deriva dal Signore è quindi per gli angeli il Cielo e non qualcosa che proviene da loro stessi.
(4)
IL DIVINO DEL SIGNORE NEL CIELO
È L’AMORE PER LUI E L’AMORE PER IL PROSSIMO
(13)
Il divino proveniente dal Signore viene chiamato in Cielo il divinamente vero, per questo motivo: esso fluisce dal Signore come la luce e il calore fluiscono dal sole e illuminano e riscaldano tutta la terra. Senza questa luce e questo calore la terra inaridisce e si raffredda. Allo stesso modo senza l’amore del Signore, senza la sua bontà e verità nulla potrebbe esistere.
(14)
L’amore che forma il Cielo e proviene dal divino è un legame spirituale che unisce il Signore ai suoi angeli e questi tra loro; li unisce al punto che questi davanti all’occhio del Signore sono una cosa sola. Inoltre l’amore è l’essenza stessa della vita di ognuno. E’ dall’amore che sia gli angeli che gli uomini ricevono la vita. Chiunque ci rifletta sopra, sa che la più intima e profonda forza di vita dell’uomo proviene dall’amore; quando l’amore è presente, l’uomo si riscalda, quando è assente si raffredda, quando l’amore viene totalmente sottratto, l’uomo muore. Bisogna infatti capire che la vita di ogni persona si configura in base al suo amore.
(15)
Nel Cielo si distinguono due tipi d’amore: l’amore per il Signore e l’amore per il prossimo. Nel terzo Cielo, il Cielo più profondo, regna l’amore per il Signore; nel secondo, o Cielo intermedio, quello per il prossimo. Entrambi provengono dal Signore, e entrambi formano il Cielo. Il modo in cui questi due tipi d’amore si distinguono e al tempo stesso si fondono, è cosa che in Cielo risulta chiarissima, mentre sulla terra è oscura. In Cielo quando si dice «amare il Signore», non si intende amarlo come persona, ma amare il bene che da lui deriva. Amare il bene significa però volere e fare il bene per amore. E con «amare il prossimo» non si intende in Cielo amare il compagno come persona, ma amare il vero che è nella parola. Amare il vero significa però volere e fare ciò che è vero. E’ quindi chiaro che questi due tipi d’amore si distinguono come sono distinti il bene e il vero, ma sono anche uniti così come sono uniti il bene e il vero. L’uomo però fatica a comprendere queste cose, perché non sa cos’è l’amore, cos’è il bene e neppure chi è il prossimo.
(16)
Di questo ho spesso parlato con gli angeli, che si stupiscono che gli uomini di Chiesa non sappiano che cosa significa amare il Signore e il prossimo, cioè il bene e il vero. Gli uomini dovrebbero anche sapere che il bene che emana dal Signore è la sua immagine, poiché egli è tutto in questo bene, e che sono uniti a lui come sue immagini coloro che fanno del bene e del vero il contenuto della loro vita, in quanto lo vogliono e lo fanno. Volere è sinonimo di amare. Lo insegna anche il Signore quando dice:
«Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama, sarà amato dal Padre mio. E noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui» (Giovanni 14, 21, 23).
E in un altro punto:
«Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore» (Giovanni 15, 10).
(17)
Il divino che emana dal Signore, muove gli angeli e forma il Cielo è amore. Tutto in Cielo è una forma d’amore e amore per il prossimo. Gli angeli sono di indicibile bellezza e l’amore traspare dal loro volto, dalle loro parole e dalle loro azioni. Inoltre da ogni angelo e spirito emanano sfere spirituali di vita che li circondano e sono costituite dall’amore e dalla fede di ognuno di loro. Le sfere che emanano dagli angeli sono così colme d’amore che penetrano nel profondo di chi sta loro accanto. Io questo amore l’ho avvertito e goduto più di una volta. Chi in Cielo rivolge il suo amore al Signore e al prossimo, tende sempre più al Signore; chi invece è prigioniero dell’amore per se stesso, si allontana sempre più dal Signore.
(18)
Il divino del Signore in Cielo è l’amore, perché l’amore è il recipiente che contiene tutto ciò che appartiene al Cielo, come la pace, la comprensione, la saggezza, la beatitudine. Gli spiriti che in vita hanno sviluppato la capacità di amare e il desiderio di accogliere in sé le verità collegate all’amore, giunti fra gli angeli sono stati in grado di partecipare della loro saggezza e della loro celeste beatitudine, appunto perché avevano amato il bene e il vero per amore del bene e del vero e avevano orientato la loro vita in base a ciò. In questo modo si erano resi capaci di accogliere in sé il Cielo con tutte le sue inesprimibili perfezioni. Coloro invece che sono rimasti legati all’amore per se stessi e per il mondo, non hanno la capacità di accogliere in sé queste cose celesti. Ne vengono quindi respinti e si accompagnano a coloro che sono all’inferno. Ci sono poi spiriti che hanno messo in dubbio il fatto che l’origine di tutto è l’amore celeste e che hanno desiderato ardentemente di sapere se le cose stavano così. Essi sono quindi stati posti in uno stato di amore celeste previa eliminazione temporanea degli impedimenti, e condotti a una distanza dal Cielo degli angeli; di qui essi hanno parlato con me dicendomi di provare una beatitudine che non erano capaci di esprimere a parole. Rimpiangevano molto di dover tornare allo stato in cui si trovavano precedentemente. Anche gli altri sono stati alzati fino al Cielo; e più in alto e più in profondità venivano portati, tanto maggiore comprensione e saggezza riuscivano ad acquisire, riuscendo infine a comprendere cose che erano prima per loro incomprensibili. Ciò dimostra che l’amore che emana dal Signore abbraccia il Cielo e tutte le cose che si trovano in esso.
(19)
L’amore per il Signore e l’amore per il prossimo comprendono tutte le divine verità. Il Signore stesso lo dice chiaramente, quando parla di questi due tipi d’amore:
«Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile ad esso, è: Ama il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge ed i profeti» (Matteo 22, 37- 40).
La legge e i profeti sono però tutta la parola del Signore, e quindi tutto ciò che è divinamente vero.
(5)
IL CIELO CONSISTE
IN DUE REGNI
(20)
Dato che in Cielo regna un’infinita varietà e non c’è una società che assomigli all’altra e un angelo che sia simile a un altro, occorrerà distinguere, sia in generale che in particolare. In generale si può dire che ci sono due regni, in particolare tre Cieli e singolarmente innumerevoli società. Vedremo ora una per una queste suddivisioni. Si parla di «società» perché il Cielo è il regno di Dio.
(21)
Certi angeli fanno proprio il divino che emana dal Signore in maniera molto profonda, altri in maniera meno profonda. I primi si chiamano angeli celesti, gli altri angeli spirituali. Per questo in Cielo si distinguono due regni, uno dei quali viene chiamato il regno celeste, l’altro il regno spirituale.
(22)
Gli angeli che costituiscono il regno celeste vengono chiamati superiori, e di conseguenza i Cieli dove essi dimorano si chiamano Cieli superiori. Ciò che è più profondo e interiore viene chiamato superiore, ciò che è esterno viene chiamato inferiore.
(23)
L’amore di chi fa parte del regno celeste viene definito amore celeste, quello di chi fa parte del regno spirituale viene chiamato amore spirituale. L’amore celeste è l’amore per il Signore, quello spirituale è l’amore per il prossimo. E poiché tutto ciò che è bene fa parte dell’amore (poiché ciò che uno ama, per lui è buono), il bene di un regno si chiama celeste e quello dell’altro si chiama spirituale. I due regni si differenziano quindi alla stessa maniera del bene derivante dall’amore per il Signore e da quello derivante dall’amore per il prossimo.
(24)
Il regno celeste viene definito nei Vangeli «dimora» di Dio, il regno spirituale invece «trono». In base alla sua natura divina/celeste, il Signore fu chiamato nel mondo «Gesù»; in base alla sua natura divina/spirituale fu chiamato «Cristo».
(25)
Gli angeli del regno celeste superano in saggezza e potenza gli angeli del regno spirituale, appunto perché recepiscono più profondamente il divino del Signore. Vivono nell’amore per lui e gli sono quindi più vicini e più uniti. Il motivo consiste nel fatto che essi hanno accolto e accolgono le divine verità direttamente nella vita, e non prima nella memoria e nel pensiero come gli angeli spirituali. Le verità sono quindi iscritte nel loro cuore ed essi le sentono e le vedono direttamente in se stessi. Non si chiedono mai se veramente le cose sono così oppure no. Essi sono coloro di cui è scritto in Geremia:
«Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò nel loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno il mio popolo. E non insegneranno più ciascuno al suo compagno e ciascuno al suo fratello, dicendo: “Conoscete l’Eterno !”, poiché tutti mi conosceranno» (31, 33 segg.).
(26)
Gli angeli che hanno accolto le divine verità nella loro vita, le hanno volute e messe in pratica non appena le hanno sentite, senza conservarle prima nella memoria e senza stare a chiedersi se sono vere o no. Il Signore entra cioè subito nella volontà dell’uomo, e attraverso la volontà nel pensiero, oppure - che è la stessa cosa - entra subito nel bene attraverso il bene nel vero. Bene infatti viene chiamato ciò che fa parte della volontà e attraverso questa si trasforma in azione e conseguentemente in pensiero. Fintanto che però il vero resta soltanto nella memoria e di qui passa al pensiero, non si trasforma in bene e non diviene parte integrante dell’uomo. L’uomo infatti è tale sulla base della propria volontà e dell’intelletto che ne scaturisce, non certo sulla base dell’intelletto separato dalla volontà.
(27)
Esistendo questa differenza tra gli angeli del regno celeste e quelli del regno spirituale, essi non sono insieme e non hanno reciproco contatto. Il contatto tra di loro viene stabilito soltanto attraverso le cosiddette società angeliche spirituali/celesti che stanno in mezzo a loro. Attraverso tali schiere il regno celeste fluisce in quello spirituale. Ne deriva quindi che il Cielo, sebbene suddiviso in due regni, è tuttavia uno solo. Il Signore si cura sempre di questi angeli mediatori, che creano un’unica società e stabiliscono il collegamento.
(28)
Dato che in seguito saranno dette molte cose degli angeli dell’uno e dell’altro regno, non scenderò per ora in dettagli.
(6)
ESISTONO TRE CIELI
(29)
Esistono tre Cieli, completamente diversi l’uno dall’altro: il terzo o superiore, il secondo o mediano, il primo o inferiore. Essi si susseguono e si comportano reciprocamente come la cosa più elevata dell’uomo, cioè la sua testa, si comporta nei confronti del corpo (componente intermedia) e dei piedi (componente più bassa); lo stesso discorso vale per la parte superiore, media e inferiore di una casa. Il Cielo è quindi diviso in tre parti per un ordine necessario.
(30)
I regni interiori dell’uomo, lo spirito e l’anima, hanno un ordine analogo a quello dei Cieli: anche l’uomo infatti ha una componente superiore, una mediana e una inferiore; in lui fin dalla creazione sono stati posti tutti i livelli dell’ordine divino, così che egli è il simbolo dell’ordine divino. In base a questo l’uomo coi suoi regni interiori è in comunione coi Cieli e dopo la morte va tra gli angeli, e cioè tra quelli del Cielo superiore, medio o inferiore, a seconda di come nella sua vita terrena ha accolto in sé il divino bene e la divina verità.
(31)
Il Divino che fluisce dal Signore ed è ricevuto nel terzo Cielo, è chiamato celeste e gli angeli di questo Cielo sono chiamati celesti. Il Divino che fluisce dal Signore ed è ricevuto nel secondo Cielo è chiamato spirituale e gli angeli di questo Cielo sono chiamati angeli spirituali. Il Divino che fluisce dal Signore ed è ricevuto nel primo Cielo, si chiama naturale. Il naturale di questo Cielo non è come il naturale del mondo, ma ha in sé elementi spirituali e celesti ed è quindi chiamato spirituale-naturale e celeste-naturale; allo stesso modo vengono chiamati gli angeli che vi dimorano. Gli angeli spirituali-naturali ricevono l’influsso attraverso il Cielo spirituale, e gli angeli celesti-naturali lo ricevono attraverso il Cielo celeste. Questi angeli sono stati distinti tra di loro, tuttavia formano un unico Cielo poiché si trovano al medesimo livello.
(32)
In ogni Cielo c’è una parte interna e una parte esterna. Gli angeli che sono all’interno sono chiamati angeli interni, e quelli che sono all’esterno sono chiamati angeli esterni. L’esterno e l’interno di ogni Cielo corrispondono alla volontà, e l’esterno all’intelletto. Un aspetto non può esistere senza l’altro. La volontà può essere paragonata alla fiamma e l’intelletto alla luce che emana dalla fiamma. andele-nebe.cz
(33)
Bisogna sapere che è l’angelo stesso a determinare la sua appartenenza a un Cielo o all’altro. Infatti essi abitano le regioni più interne del Cielo quanto più sono aperti nei confronti del Signore. Il Cielo quindi non è fuori, ma dentro ognuno di loro. Lo insegna anche il Signore quando dice:
«Il regno di Dio non viene in maniera da attirar gli sguardi; né si dirà: Eccolo qui, o eccolo là; perché ecco, il regno di Dio è dentro di voi» (Luca 17, 20 segg.).
(34)
Ogni perfezione cresce verso l’interno e decresce verso l’esterno, perché le sfere interiori sono più vicine al Divino e più pure, e quelle esteriori sono più lontane dal Divino e più primitive. La perfezione e la felicità angelica consistono di intelligenza, saggezza, amore e bene. Senza queste qualità non ci sarebbe felicità, perché essa sarebbe esteriore e non interiore. La perfezione degli angeli del terzo Cielo supera enormemente quella degli angeli del Cielo di mezzo, e quella di questi supera la perfezione degli angeli del primo Cielo.
(35)
Esistendo questa differenza, l’angelo di un Cielo non può raggiungere gli angeli dell’altro Cielo, cioè nessuno può salire da un Cielo inferiore o scendere da un Cielo superiore, Chi da un Cielo inferiore sale a un Cielo superiore, viene colto da un’ansia che giunge fino al dolore, e non può vedere gli angeli che dimorano lì e neppure parlare con loro. Chi però scende da un Cielo superiore, viene privato della sua saggezza, balbetta quando parla e cade preda della disperazione. Diversamente avviene quando il Signore innalza gli angeli da un Cielo inferiore a un Cielo superiore affinché ne ammirino la gloria, fatto che succede di frequente. Questi angeli sono inizialmente accompagnati e preparati da angeli intermediari, che costituiscono anch’essi una comunità. Questo mostra chiaramente che i tre Cieli sono nettamente separati fra loro.
(36)
Gli angeli però che appartengono al medesimo Cielo possono avere rapporti con tutti gli altri; le loro gioie sono per altro proporzionali al livello della loro bontà. Ma su questo punto diremo di più nelle pagine seguenti.
(37)
Sebbene i Cieli siano così distinti che gli angeli di un Cielo non possono associarsi a quelli di un altro Cielo, il Signore unisce tutti i Cieli attraverso un influsso indiretto e uno diretto. L’influsso indiretto emana da Lui e penetra tutti i Cieli, quello diretto va da un Cielo all’altro.
In questo modo i tre Cieli ne formano uno solo. E una catena ininterrotta da un Cielo all’altro, dal primo all’ultimo, e non c’è nulla che sia privo di collegamento. Infatti ciò che non è unito al primo Cielo non può sussistere, ma si dissolve e si annulla.
(38)
Chi non ha conoscenza dell’ordine Divino e dei suoi livelli, non può capire come siano distinti i Cieli, e meno ancora può immaginare che esista un uomo interiore e un uomo esteriore. E neppure può capire che cosa sono le corrispondenze e le rappresentazioni delle cose spirituali, la loro provenienza e il loro influsso. Gli uomini molto legati alla materia non riescono a concepire ciò che è spirituale se non come un naturale più puro, e restano quindi esclusi dalla vera comprensione.
(39)
Mi è ora consentito di rivelare, sugli angeli dei tre Cieli, un arcano al quale finora nessuno ha mai pensato, in quanto non si sapeva nulla dei livelli. In ogni angelo, e anche in ogni uomo, esiste un grado intimo o supremo nel quale il Signore fa sentire il suo influsso e che può essere definito il domicilio stesso del Signore nell’angelo o nell’uomo. E’ per questo grado intimo o supremo che l’uomo è uomo e si distingue dagli animali; e grazie a questo, a differenza degli animali, può essere elevato dal Signore verso il Signore stesso, credere in Lui, amarlo e anche vederlo. Può anche ricevere intelligenza e saggezza, parlare a ragion veduta e anche vivere eternamente. Però ciò che è disposto e previsto dal Signore nell’intimo e nel supremo, non giunge chiaramente alla coscienza di un angelo, perché ciò supera la sua capacità di pensiero e va al di là della sua saggezza.
(40)
Ecco quindi esposte le verità generali sui tre Cieli. In seguito parleremo più diffusamente di ogni singolo Cielo.
(7)
I CIELI CONSISTONO
IN INNUMEREVOLI SOCIETÀ
(41)
Gli angeli di ogni Cielo non sono tutti insieme in un luogo, ma sono distinti in società grandi e piccole a seconda delle differenze del bene, dell’amore e della fede che li caratterizza. Tutti coloro che si trovano in un bene simile formano una società. I beni in Cielo sono di una varietà infinita, e ogni angelo è come il bene che è in lui.
(42)
Anche le distanze tra le società angeliche nei Cieli vengono determinate dalla diversità del bene che le anima. In effetti nel mondo spirituale le distanze non hanno altra origine che quella dello stato interiore. Coloro che sono molto diversi si trovano a grande distanza, coloro che differiscono poco sono a piccola distanza. La somiglianza fa sì che ci si trovi insieme.
(43)
Tutti i membri di una società si distinguono tra loro allo stesso modo: i più perfetti, cioè quelli che si trovano nel bene, nell’amore, nella saggezza e nell’intelligenza, sono al centro. I meno perfetti si trovano a una distanza proporzionale alla diminuzione della perfezione, così come la luce decresce dal centro alla periferia. Coloro che si trovano al centro sono in una grande luce, e coloro che sono verso la periferia sono in una luce che diventa sempre più ridotta.
(44)
Coloro che si assomigliano vengono condotti automaticamente verso il loro simile, presso cui si trovano come a casa, mentre se sono con chi non è simile a loro si trovano come all’estero. Coi loro simili si sentono in perfetta libertà e provano tutto il benessere della vita.
(45)
E’ facile capire che è il bene che unisce tutti gli angeli nei Cieli, e gli angeli sono distinti in base alla qualità del bene. Ciò nondimeno non sono gli angeli in se stessi che formano queste società, ma il Signore da cui deriva tutto il bene. E’ Lui che li conduce, li unisce, li distingue e li conserva nella libertà e nel bene.
(46)
Tutti coloro che si trovano in un bene simile si conoscono, come gli uomini conoscono i loro parenti, i loro alleati e i loro amici. Si conoscono sebbene non si siano mai visti prima, perché nell’altra vita non esiste parentela, affinità e amicizia, ma solo la vicinanza di coloro che sono nell’amore e nella fede. A me è stato consentito di vedere ciò più di una volta quando ero in spirito, staccato dal corpo e in colloquio con gli angeli. Là vidi alcuni che conoscevo come se fossimo cresciuti assieme, e altri che mi sembravano completamente sconosciuti. I primi si trovavano in uno stato d’animo simile al mio, gli altri invece in uno stato molto diverso dal mio.
(47)
Tutti coloro che formano la stessa società angelica hanno un volto simile, ma si distinguono nei particolari. Queste somiglianze generali e differenze particolari si possono comprendere se si confrontano con le cose del mondo. E’ noto che ogni popolazione presenta una certa somiglianza nel viso e negli occhi, e questo è ancora più evidente per le famiglie tra di loro. Nei cieli ciò avviene in maniera molto più completa, perché lì i sentimenti e le emozioni si leggono sul volto e vi si rispecchiano. In cielo non è possibile avere un volto diverso dai propri sentimenti. Mi è stato mostrato più volte come in effetti i volti angelici siano l’espressione dell’interiorità degli angeli, del loro amore e della loro fede. www.universe-people.com
(48)
Ne consegue che un angelo che si distingue per la saggezza riconosce immediatamente dal volto l’analoga qualità di un altro angelo. In Cielo nessuno può nascondere o simulare attraverso il volto i propri sentimenti ed è assolutamente impossibile mentire e ingannare con astuzia e ipocrisia. Capita a volte che degli ipocriti s’insinuano nelle società. Essi hanno imparato a nascondere la propria interiorità allo scopo di sembrare simili a coloro che costituiscono la società presentandosi come angeli di luce. Non possono però restare a lungo dove sono fraudolentemente penetrati, perché cominciano a sentirsi soffocati interiormente, a tormentarsi, ad avere il volto livido e ad essere come privati del respiro. E finiscono per precipitarsi da soli all’inferno dove sono i loro simili, e non osano più risalire. Nel Vangelo, questi spiriti sono rappresentati dall’uomo che fu trovato a tavola in mezzo ai convitati senza essere vestito dell’abito nuziale, e fu gettato nelle tenebre (Matteo XXII, 11 segg.).
(49)
Tutte le società del Cielo comunicano tra di loro, ma non attraverso uno scambio diretto, perché pochi angeli escono dalla loro società per andare in un’altra, in quanto uscire dalla propria società è come uscire da se stessi o dalla propria vita. Queste società comunicano tutte attraverso l’estensione della sfera che emana dalla vita di ciascuno. La sfera della vita è la sfera degli affetti che derivano dall’amore e dalla fede. Questa sfera si estende nelle società, da ogni parte, in lungo e in largo, in maniera sempre più intensa in rapporto alla maggiore interiorità e perfezione degli affetti. E’ grazie a questa espansione che gli angeli hanno intelligenza e saggezza. Coloro che si trovano nel cielo più interiore, al centro stesso di questo Cielo, si diffondono in tutto il Cielo. Lì esiste una comunicazione di tutti gli angeli del Cielo con ognuno, e di ognuno con tutti.
(50)
Nei Cieli vi sono società grandi e piccole. Quelle grandi sono composte da miriadi di angeli, quelle piccole da qualche migliaio e le più piccole da qualche centinaio. Vi sono anche angeli che vivono soli, in un certo senso casa per casa, famiglia per famiglia. Sebbene vivano così isolati, sono tuttavia disposti in un ordine simile a quello di coloro che vivono in società. I più saggi tra loro vivono al centro e i più semplici ai confini. Essi sono sotto la divina protezione del Signore e tra gli angeli sono i migliori.
(8)
OGNI SOCIETÀ È IL CIELO
IN FORMA PIÙ PICCOLA,
E OGNI ANGELO LO È
NELLA FORMA MINIMA
(51)
Ogni società è il Cielo in forma più piccola, e ogni angelo lo è nella forma minima, perché è il bene dell’amore e della fede che costituisce il Cielo. Questo bene è in ogni società del Cielo e in ogni angelo di ciascuna società. Poco importa che questo bene sia differente e vario, è pur sempre un bene celeste. La differenza consiste soltanto nel fatto che il Cielo qui è in un modo, e là in un modo diverso. Tutti sono nel Cielo, ciascuno naturalmente nel suo. Tutti coloro che si trovano nell’altra vita conoscono bene questa verità. Coloro che sono al di fuori o al di sotto del Cielo e guardano da lontano le società degli angeli dicono: il Cielo è qui e là. Questo è paragonabile ai governatori, agli ufficiali e ai servitori di un palazzo reale: sebbene abitino in appartamenti separati, tutti sono tuttavia nel medesimo palazzo, e ognuno svolge la sua funzione al servizio del re. Ciò spiega chiaramente il significato di queste parole del Signore:
Nella casa di mio Padre ci sono molte dimore (Giovanni XIV, 2),
e ciò che intendevano i profeti quando parlavano di «Cieli dei Cieli» e «dimore dei Cieli».
(52)
Ho potuto vedere che ogni società è il Cielo in forma più piccola, perché in ogni società la forma celeste è simile a quella del Cielo intero. Nel cielo intero quelli che superano gli altri in perfezione sono al centro e intorno a loro sono coloro che in ordine decrescente sono meno perfetti (vedi il n. 43). Ho avuto anche la prova che il Signore governa tutti coloro che sono nel cielo come se fossero un solo angelo, e allo stesso modo governa i singoli membri delle società celesti. Il Signore mi ha concesso di vedere che una società angelica nel suo insieme appare qualche volta come un solo angelo. Quando il Signore appare al centro degli angeli, non è circondato da tante creature angeliche, ma appare solo in forma angelica. Per questo motivo il Signore nella Scrittura è chiamato angelo e una società intera è ugualmente chiamata angelo: Michele, Gabriele e Raffaele sono società angeliche così chiamate in base alle loro funzioni.
(53)
Come una società intera è il Cielo in forma più piccola, così un angelo è il Cielo nella sua forma minima, perché il Cielo non è fuori dall’angelo, ma dentro di lui. In effetti l’interiorità dell’angelo è disposta per recepire le cose del Cielo che sono fuori di lui. E lui le riceve a seconda della qualità del bene che è in lui e che viene dal Signore. In questo senso l’angelo è anche il Cielo.
(54)
Ogni angelo, a seconda del Cielo che è dentro di lui, riceve il Cielo che è fuori di lui. Come si sbaglia chi crede che entrare nel Cielo significhi soltanto essere innalzato tra gli angeli, qualunque sia la sua vita interiore, e che il Cielo sia donato a ciascuno per un atto immediato di misericordia ! Molti spiriti che si trovano ad avere questa convinzione vengono portati in Cielo a causa appunto di questa loro fede. Ma una volta che vi si trovano, dato che la loro vita interiore è opposta a quella degli angeli, cominciano ad essere intellettualmente ciechi, al punto da sembrare degli sciocchi, e a causa della loro cattiva volontà sono tormentati e si comportano come insensati. Coloro che vivono male e ciò nonostante arrivano al Cielo, soffocano come pesci fuor d’acqua. Si comprende così che il Cielo è dentro ciascuno, e non al di fuori di lui.
(55)
Come tutti ricevono il Cielo che è fuori di loro a seconda della qualità del Cielo che è dentro di loro, allo stesso modo tutti ricevono il Signore perché è il divino del Signore che fa il Cielo. Quando il Signore si manifesta in una società, appare in base alla qualità del bene in cui la società si trova, e di conseguenza non si manifesta mai allo stesso modo nelle diverse società. Questa differenza non è nel Signore, ma in coloro che Lo vedono. Tale visione dipende dalla qualità del loro amore; coloro che Lo amano intimamente ne sono toccati intimamente; coloro che Lo amano meno, ne sono meno toccati. La Sua presenza precipita nei tormenti i malvagi che si trovano fuori dal Cielo. Quando il Signore appare in una società, appare come un angelo; tuttavia si distingue dagli altri angeli per la divinità che, in Lui, si manifesta compiutamente.
(56)
Là dove il Signore è riconosciuto, dove si crede in Lui e Lo si ama, là è il Cielo. La varietà dei culti presso le varie società non rappresenta alcuno svantaggio, al contrario è vantaggiosa perché di lì deriva la perfezione del Cielo. Sarà difficile far capire come la perfezione del Cielo possa venire di lì senza far ricorso ai termini usati dai sapienti; tuttavia bisogna tener presente che la perfezione dell’unità è costituita da cose diverse, e l’unità che non è così costituita non è niente, non ha forma e di conseguenza non ha neppure qualità. Ma quando l’unità è composta di cose diverse ognuna delle quali aggiunge qualcosa all’altra e con essa si armonizza, allora l’unità è di qualità perfetta. Anche il Cielo è un’unità composta di cose diverse, nell’ordine più perfetto; perché la forma celeste è la più perfetta di tutte le forme. Anche in Cielo quindi la perfezione deriva dalla varietà delle cose.
(57)
Ciò che abbiamo detto del Cielo può essere applicato alla Chiesa, perché la Chiesa è il Cielo del Signore in terra. La Chiesa però è tale nella misura in cui vi regna il bene dell’amore e della fede. Anche qui, di tante chiese diverse, il Signore ne crea una sola. Ciò che vale per la Chiesa in generale, può essere applicato all’uomo di Chiesa in particolare, perché la Chiesa è nell’uomo e non fuori di lui e ogni uomo in cui il Signore è presente nel bene dell’amore e della fede è Chiesa. L’uomo è la Chiesa nella forma più piccola, così come l’angelo è il Cielo nella forma più piccola. E l’uomo è stato creato per andare in Cielo e diventare angelo. Conviene dire a questo punto che cosa l’uomo ha in comune con l’angelo e cosa ha di più. L’uomo come l’angelo è interiormente formato a immagine del Cielo e diviene un’immagine del Cielo quando è nel bene dell’amore e della fede. A differenza dagli angeli, l’uomo esteriormente è formato a immagine del mondo e finché permane nel bene, il mondo in lui è subordinato al Cielo e al servizio del Cielo. Allora il Signore è presente dentro l’uomo e fuori di lui.
(58)
Bisogna dire infine che chi ha in sé il Cielo, ama il Signore sopra ogni cosa. Nei Cieli l’amore per il Signore sovrasta ogni altra cosa, e il Signore è ovunque, influisce su tutto e tutti, dispone ogni cosa a sua immagine e somiglianza. E’ il divino del Signore che fa il Cielo.
(9)
IL CIELO NEL SUO COMPLESSO
RAPPRESENTA UN UNICO UOMO
(59)
In Cielo rappresenta un solo uomo: questo è ancora un mistero nel mondo, ma nei Cieli è una cosa notissima. Senza la conoscenza di questo principio comune, un gran numero di idee non entrerebbe nella mente degli angeli. Sapendo che tutti i Cieli rappresentano con le loro società un solo uomo, essi chiamano il Cielo l’Uomo immenso o Uomo divino: divino perché il divino del Signore costituisce il Cielo.
(60)
Le cose celesti e spirituali sono costituite e congiunte in questa immagine di uomo; coloro che non hanno un’idea esatta di ciò che è spirituale e celeste, non possono rendersene conto. Essi pensano che a costituire l’uomo sia la materia, che in realtà forma l’ultimo grado dell’uomo. L’uomo invece è uomo non in quanto è costituito di materia, ma per la sua capacità di comprendere il vero e di volere il bene. I corpi sono stati formati per essere al servizio di questa volontà e per svolgere certi compiti sulla terra. Il corpo non fa niente per se stesso, ma agisce in base alla volontà. Sono l’intelletto e la volontà che agiscono, non il corpo. In base a queste sue facoltà, l’uomo è spirituale: il Cielo in questo senso è paragonabile a un uomo, nella forma più grande e più perfetta.
(61)
Gli angeli considerano l’uomo dal punto di vista spirituale, e di conseguenza non guardano ciò che l’uomo fa attraverso il corpo, guardano unicamente la volontà che anima questo corpo. Per loro questa volontà è l’uomo stesso.
(62)
Gli angeli però non vedono tutto il Cielo sotto forma di un uomo, perché il Cielo nel suo insieme non può esser visto da nessun angelo. Solo il Signore ne ha la visione completa, perché il divino vede ogni cosa nella sua intimità e profondità.
(63)
Avendo il Cielo una forma umana, è guidato dal Signore come un sol uomo, e quindi come una cosa sola. L’uomo è formato da una infinita quantità di cose varie, membra, organi, viscere, fibre, nervi, vasi sanguigni; ciò nonostante l’uomo, quando agisce, agisce come se fosse una cosa sola. Tale è il Cielo sotto la guida e la direzione del Signore.
(64)
Coloro che sono nel Cielo costituiscono una cosa sola non per se stessi, ma grazie al Signore, perché Lo considerano l’Unico, colui dal quale tutto procede e il regno del quale bisogna servire. E questo che è inteso nella parola del Signore: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù. Coloro che sulla terra amano il bene della patria più che il proprio, il bene del prossimo come se fosse il loro, amano e cercano il regno del Signore, che là è la patria. Tutti coloro che si comportano così, sono nell’uomo immenso, cioè nel Cielo.
(65)
Dato che il Cielo rappresenta un solo uomo, l’Uomo divino-spirituale nella sua forma più perfetta, ne risulta che - come l’uomo - il Cielo è distinto in membra e in parti che portano gli stessi nomi. Gli angeli sanno in quali membra sono le diverse società. In termini generali, il Cielo supremo, o terzo Cielo, forma la testa fino al collo; il Cielo intermedio, o secondo Cielo, forma il petto fino ai lombi e alle ginocchia; l’ultimo Cielo o primo Cielo, forma i piedi e le braccia fino alle dita. Questo spiega perché esistono tre Cieli.
(66)
Gli spiriti che si trovano al di sotto del Cielo restano stupiti quando vengono a sapere che il Cielo è sia sopra che sotto, poiché credono - come gli uomini sulla terra - che il Cielo sia in alto. Essi non sanno che la situazione dei Cieli è simile a quella delle membra, degli organi e delle viscere dell’uomo, alcuni dei quali sono sotto e altri sopra, alcuni fuori e altri dentro. Da questa ignoranza deriva la confusione delle loro idee.
(67)
Queste informazioni circa la natura del Cielo e la sua somiglianza con un grande uomo sono state date perché altrimenti non sarebbe possibile capire ciò che sarà detto in seguito sul Cielo, la sua forma, la relazione del Signore col Cielo e del Cielo con l’uomo, l’influsso del mondo spirituale nel mondo naturale.
(10)
OGNI SINGOLA SOCIETÀ
NEI CIELI RAPPRESENTA UN UOMO
(68)
Qualche volta mi è stato concesso di vedere che ogni società del Cielo rappresenta un uomo e a lui assomiglia.
(69)
Mi è stato anche concesso di vedere che una società angelica appare come un uomo quando il Signore stesso vi si mostra. Per prima cosa si è mostrata, verso Oriente, una sorta di nuvola di un bianco rosato, con piccole stelle tutto intorno; questa nuvola si abbassava e diveniva via via più luminosa. Infine l’ho vista sotto forma umana perfetta. Le piccole stelle intorno alla nuvola erano angeli che apparivano così grazie alla luce che emanava dal Signore.
(70)
Coloro che appartengono a una sola società appaiono, quando sono insieme, sotto un’unica forma umana; tuttavia nessuna società è simile a un’altra. Si distinguono tra loro come si distinguono i visi di una stessa famiglia. Le società che presentano la forma più perfetta e più bella sono nel Cielo supremo, al centro di questo Cielo.
(71)
E’ importante sapere che più numerosi sono gli angeli che formano una società del Cielo, più la forma umana di questa società è perfetta. Ogni giorno ogni società del Cielo aumenta di numero, e poiché la varietà crea la perfezione, nella misura in cui cresce diviene più perfetta. Non soltanto la società diviene più perfetta, ma anche il Cielo nel suo complesso, perché sono le società che costituiscono il Cielo. Ciò dimostra quanto si sbagliano coloro che credono che il Cielo sia chiuso perché completo. E’ anzi vero il contrario, il Cielo non sarà mai chiuso per la semplice ragione che più numerose sono le società, più aumenta la perfezione. Il più grande desiderio degli angeli è accogliere tra loro altri angeli.
(72)
Le società celesti e il Cielo stesso assomigliano a un unico uomo perché l’amore che da loro emana ha un’unica origine. E’ amore per il Signore, amore unico, origine di tutti i beni che sono nel Cielo. Per questo il Cielo rappresenta l’immagine di Dio in generale, ogni società lo rappresenta in particolare e ogni angelo in maniera più dettagliata ancora.
(11)
OGNI ANGELO HA QUINDI
UNA PERFETTA FORMA UMANA
(73)
Quanto è stato prima detto del Cielo in generale e delle società che lo costituiscono, vale anche per ogni singolo angelo. Come il Cielo è l’uomo nella sua forma più grande e una società del Cielo in una forma più piccola, l’angelo è uomo nella forma minima. Questo avviene perché nel Cielo c’è comunione di tutto e di tutti. L’angelo è un ricettacolo e di conseguenza è il Cielo nella sua forma più piccola. Anche l’uomo che vive sulla terra è Cielo ed è angelo nei limiti in cui riceve il Cielo e diviene un ricettacolo del divino. Ciò è descritto nell’Apocalisse:
Misurò le mura della Santa Gerusalemme, centoquarantaquattro braccia, misura dell’uomo, cioè di un angelo (XXI, 17).
Gerusalemme rappresenta quindi la Chiesa del Signore, e in senso più elevato il Cielo. Le mura sono la verità che protegge contro l’attacco del falso e del male. Il numero centoquarantaquattro corrisponde a tutto il vero e a tutto il bene nel loro complesso (1). Tale è il senso spirituale di queste parole.
(1) In quanto è il numero perfetto dodici moltiplicato per se stesso.
(74)
Veniamo ora all’esperienza. Ho visto mille volte che gli angeli hanno forma umana e mi sono intrattenuto con loro come l’uomo si intrattiene con l’uomo, a volte con uno solo, a volte con più d’uno, e non ho visto nulla in loro che differisse dall’uomo quanto alla forma. Affinché non si potesse dire che si trattava di illusione o di visione fantastica, mi è stato concesso di vederli in pieno stato di veglia, mentre ero padrone di tutti i miei sensi e in uno stato di limpida percezione. Spesso ho loro raccontato che nel mondo cristiano gli uomini sono immersi nella più grande ignoranza per quello che riguarda gli angeli e gli spiriti, che immaginano senza forma, come puri pensieri. Se li rappresentano come qualcosa di eterico fornito di vita. Di conseguenza, non attribuendo loro nulla di ciò che ha l’uomo eccetto la facoltà di pensare, credono che non vedano non avendo occhi, che non sentano non avendo orecchie, che non parlino non avendo bocca. Gli angeli mi dissero che sapevano bene che un gran numero di uomini sulla terra aveva questa opinione, e tra questi anche eruditi e sacerdoti, cosa che li sorprendeva. Me ne spiegarono tuttavia la ragione: gli eruditi furono i primi a formulare una tale idea sugli angeli e gli spiriti. Essi, così facendo, non erano guidati dalla luce interiore, ma solo dai sensi esteriori che consentono di capire le cose che sono dentro la natura ma non quelle al di sopra della natura, e di conseguenza nulla di ciò che concerne il mondo spirituale. Questa falsa credenza sugli angeli passò da questi maestri del pensiero ad altri, che non pensarono con le loro teste ma accettarono quanto veniva loro detto e insegnato. Gli angeli tuttavia mi hanno detto che i semplici di cuore non hanno di loro una tale idea, ma sanno che gli angeli sono uomini del Cielo: costoro non hanno estinto con l’erudizione l’intuizione che viene dal Cielo e non concepiscono nulla che non abbia forma. E’ per questa ragione che le pitture e le sculture che vediamo nelle chiese rappresentano gli angeli sotto forma umana. Gli angeli mi dissero anche che l’intuizione che viene dal Cielo è il divino che penetra in coloro che vivono una vita di bene e di fede.
(75)
In base all’esperienza che mi è stato concesso di fare in tanti anni, posso affermare che gli angeli - quanto alla forma - sono assolutamente uomini. Essi hanno un viso, occhi, orecchie, petto, braccia, mani e piedi. Si vedono tra loro, capiscono, conversano; in una parola, non manca loro assolutamente niente di ciò che hanno gli uomini, a parte il fatto che non sono rivestiti di un corpo materiale. Io li ho visti circonfusi dalla loro luce che supera di gran lunga la luce del mondo a mezzogiorno, e in questa luce distinguevo i tratti del loro volto più distintamente e più chiaramente di come vedo i volti degli uomini della terra. Mi è stato anche concesso di vedere un angelo del terzo Cielo, e ho potuto constatare che il suo volto era più risplendente e luminoso di quelli degli angeli dei Cieli inferiori; l’ho esaminato, aveva una perfettissima forma umana.
(76)
L’uomo non può vedere gli angeli con gli occhi del suo corpo, ma può vederli con gli occhi del suo spirito, in quanto lo spirito partecipa del mondo spirituale mentre il corpo fa parte del mondo naturale. Il simile vede il suo simile in base alla legge della similitudine. Del resto l’occhio, l’organo della vista, è così grossolano che non riesce a vedere neppure le piccole componenti della natura senza l’aiuto di strumenti ottici. A maggior ragione non può vedere gli oggetti che sono al di sopra della sfera naturale, cioè quanto appartiene al mondo spirituale. Va detto che le cose spirituali sono viste dall’uomo quando è staccato dal corpo e ha ricevuto, per grazia del Signore, la vista spirituale. E’ così che furono visti gli angeli da Abramo, Loth e dai profeti. E’ così che il Signore fu visto dai discepoli dopo la Resurrezione. Ed è così che anch’io ho visto gli angeli. I profeti sono stati chiamati veggenti proprio perché hanno visto. Questo modo di vedere è stato espresso anche da Eliseo quando chiese al Signore che gli occhi del suo servitore fossero aperti:
Signore, apri i suoi occhi, che veda. E il Signore aprì gli occhi del servo, che vide. Ecco, il monte era pieno di cavalli e di carri di fuoco intorno a Eliseo (II Re, 6, 17).
(77)
Certi spiriti buoni coi quali mi sono intrattenuto su questo tema si affliggevano del fatto che all’interno della Chiesa regnasse una tale ignoranza sullo stato del Cielo, sugli spiriti e sugli angeli. Indignati mi dissero che dovevo assolutamente dichiarare che essi non sono idee senza corpo o soffi eterici, ma uomini in forma umana, e che vedono, sentono e capiscono come tutti coloro che vivono nel mondo.
(12)
LA NATURA UMANA
E DIVINA DEL SIGNORE
FA SÌ CHE IL CIELO NEL SUO INSIEME
E NEL PARTICOLARE
RAPPRESENTI UN UOMO
(78)
E’ grazie alla natura divina e umana del Signore che il Cielo, nel tutto e nella singola parte, rappresenta un uomo. Questa è la conclusione di tutto quanto è stato detto negli articoli precedenti, dove è stato mostrato:
1) Che il Signore è il Dio del Cielo.
2) Che il divino del Signore fa il Cielo.
3) Che il Cielo è composto di innumerevoli società; che ogni società è il Cielo in una forma più piccola, e ogni angelo nella forma minima.
4) Che tutto il Cielo nel suo complesso rappresenta un uomo.
5) Che ogni società nei Cieli rappresenta un uomo.
6) Che gli angeli hanno una perfetta forma umana.
Tutto ciò ci consente di concludere che il divino che costituisce il Cielo si manifesta in forma umana.
(79)
Un gran numero di esperienze mi ha confermato che le cose stanno realmente così, per esempio: tutti gli angeli che sono nei Cieli non percepiscono mai il divino in altra forma che quella umana. Inoltre coloro che sono nei Cieli superiori pensano al divino in questo stesso modo. Il divino stesso li obbliga a pensare così. Queste cose non soltanto mi sono state dette dagli angeli, ma mi è anche stato concesso di recepirle quando sono stato elevato alle sfere superiori del Cielo. Più gli angeli sono sapienti, più percepiscono queste cose con chiarezza. A coloro che riconoscono il divino visibile e credono in esso, il Signore appare in forma divina angelica, che è la forma umana; non appare però mai a coloro che lo credono invisibile. Gli uni possono quindi vedere la sua divinità, mentre gli altri non la vedono.
(80)
Gli angeli percepiscono non già un divino invisibile, che essi chiamano divino senza forma, ma un divino visibile in forma umana, e sono soliti dire che soltanto il Signore è uomo, e che loro lo sono unicamente attraverso di Lui e che ciascuno è uomo solo nella misura in cui riceve il Signore. Ricevere il Signore è ricevere il bene e il vero che da Lui derivano, poiché il Signore è sinonimo di bene e di vero; essi chiamano ciò saggezza e intelligenza e dicono anche che sono la saggezza e l’intelligenza a fare l’uomo, non il volto. Gli angeli dei cieli interiori che dal Signore ricevono il bene e il vero, e di conseguenza anche la saggezza e l’intelligenza, consentono di constatare che questa condizione dona loro la più bella e perfetta forma umana. Gli angeli dei Cieli inferiori sono in una forma meno perfetta e meno bella. All’inferno avviene il contrario: i suoi abitanti non appaiono quasi come uomini, ma come dei mostri. Essi sono nel male e nel falso, e non nel bene e nel vero; di conseguenza sono in una situazione opposta a quella della saggezza e dell’intelligenza. Per questa ragione la loro vita non è chiamata vita, ma morte spirituale.
(81)
Il Cielo nel suo complesso e nelle sue parti rappresenta un uomo sulla base della natura divina e umana del Signore. Gli angeli sono soliti dire che essi sono nel Signore e qualcuno aggiunge che sono nel suo corpo; e con queste parole intendono dire che sono nel bene del suo amore. Il Signore stesso lo insegna quando dice: Rimanete in me e io in voi: come il tralcio non può dar frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Senza di me non potete far nulla. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore (Giovanni XV, 4-10).
(82)
Dato che in Cielo regna un tale concetto di Dio, anche ogni uomo che riceve un influsso dal Cielo pensa a Dio sotto forma umana. E’ quanto fecero gli anziani, è quanto fanno gli uomini dei nostri giorni, sia dentro che fuori dalla Chiesa. I semplici lo vedono come un vecchio circonfuso da una luce risplendente. Coloro invece che hanno allontanato l’influsso del Cielo attraverso la loro intelligenza e il male della vita, hanno perduto questa intuizione. Coloro che l’hanno allontanato attraverso la loro intelligenza, vogliono un Dio invisibile, e coloro che l’hanno allontanato attraverso il male della vita non vogliono alcun Dio. Gli uni e gli altri ignorano che una tale intuizione esiste, visto che non la possiedono. Tuttavia questa intuizione è il divino stesso, che agisce dal Cielo sull’uomo, perché l’uomo è nato per il Cielo e nessuno entra in cielo senza che abbia un’idea del divino.
(83)
Ne risulta che chi non possiede l’idea del divino da cui deriva il Cielo non può essere innalzato alla prima soglia del Cielo stesso. Infatti quando vi giunge percepisce una resistenza e una forte repulsione che fanno sì che la sua interiorità resti chiusa al Cielo, incapace di farlo proprio. cosmic-people.com
(84)
Che gli antichi avessero l’idea dell’umanità del divino, risulta evidente dalle apparizioni del divino ad Abramo, Loth, Giosuè, e altri, che pur avendo visto Dio come uomo, l’hanno adorato come Dio dell’universo, chiamandolo Dio del Cielo e della terra, e Jahvé. Giovanni, VIII, 56 ci dice che fu il Signore stesso ad essere visto da Abramo e dagli altri. Il che risulta ugualmente evidente anche dalle parole del Signore: Nessuno ha visto il Padre, né il suo aspetto... Nessuno ha sentito la sua voce (Giovanni I, 18 - V, 37).
(85)
Coloro che giudicano tutte le cose in base al senso dell’uomo esteriore, ben difficilmente possono capire che Dio è uomo. L’uomo naturale in effetti non può pensare al divino che in base alle cose della terra e ne conclude che se Dio fosse uomo sarebbe grande come l’universo e se governasse il cielo e la terra lo farebbe attraverso degli intermediari, come fanno i re di questo mondo. Se gli si dicesse che nel cielo non esiste lo spazio come nel mondo, lui non capirebbe, perché chi pensa in base alla natura e alla luce del mondo non può immaginare cose diverse da quelle che ha davanti agli occhi. Ma come si sbagliano coloro che pensano in questo modo con riferimento al Cielo ! Il Cielo non è determinato e limitato e quindi non è misurabile, e di conseguenza non è paragonabile in alcun modo alle cose terrene. Tutti sanno che la vista dell’occhio arriva fino al sole e alle stelle che sono a una grande distanza. Chi si sofferma a pensare più profondamente, sa anche che la vista interiore ha un’estensione ancora più vasta. Che estensione e vastità avrà dunque la vista divina, che è la più intima, la più profonda che esista ? I pensieri hanno una tale estensione che in Cielo vengono trasmessi ad ognuno dei suoi abitanti, e in questo modo tutti partecipano del divino.
(86)
Coloro che vivono in Cielo si meravigliano che gli uomini pensino che Dio è un essere invisibile, non percepibile, senza forma. Questi uomini si credono intelligenti e definiscono non intelligenti o addirittura sciocchi coloro che la pensano diversamente, mentre invece è vero il contrario. Coloro che vengono definiti semplici sanno che il divino ha forma umana, sanno che l’angelo è l’uomo celeste, che la loro anima vivrà dopo la morte e sarà un angelo, e che la vita del Cielo consiste per l’uomo nel seguire i precetti divini. Gli angeli dicono che queste persone semplici sono intelligenti e preparate per il Cielo; gli altri al contrario li definiscono non intelligenti.
(13)
CORRISPONDENZA DI TUTTE
LE COSE DEL CIELO CON TUTTE
LE COSE DELL’UOMO
(87)
Al giorno d’oggi l’uomo ignora che cos’è la corrispondenza; la ragione principale di questa ignoranza è che l’uomo si è allontanato dal Cielo per amore di sé e del mondo. In effetti, colui che ama se stesso e il mondo al di sopra di tutte le cose, non considera altri oggetti che quelli del mondo, perché sono gradevoli e soddisfano i suoi desideri. Non presta alcuna attenzione agli oggetti spirituali che soddisfano soltanto la sua interiorità e la sua mente, e li rifiuta trovandoli troppo elevati per essere oggetto del proprio pensiero. Gli antichi si sono comportati in modo completamente diverso: la scienza delle corrispondenze è stata per loro la prima di tutte le scienze. Attraverso tale scienza hanno acquisito intelligenza e saggezza e anche comunicazione col Cielo, perché la scienza delle corrispondenze è la scienza angelica. I primi uomini, che erano uomini celesti, pensavano in base alle corrispondenze, come gli angeli. E’ per questo che si intrattenevano con gli angeli e il Signore sovente si mostrava a loro e li istruiva. Oggi si ignora che cos’è una corrispondenza perché questa scienza è totalmente perduta.
(88)
Senza la percezione di ciò che è la corrispondenza, non si può avere alcuna chiara nozione del mondo spirituale, del suo influsso nel mondo naturale, dello spirituale relativamente al naturale; e neppure alcuna nozione dell’anima umana, della sua azione sul corpo, della condizione dell’uomo dopo la morte. Di conseguenza è necessario descrivere cos’è la corrispondenza.
(89)
Il mondo naturale corrisponde al mondo spirituale non soltanto nelle linee generali, ma ancor più in ognuna delle cose che lo compongono. Ogni cosa che esiste nel mondo naturale deriva dal mondo spirituale ed è definita corrispondenza. Occorre sapere che il mondo naturale esiste e sussiste grazie a quello spirituale, come l’effetto deriva dalla causa. E’ chiamato mondo naturale quello che si trova sotto il sole e dal sole riceve luce e calore, e tutte le cose che esistono in questo mondo. Il mondo spirituale è il Cielo, e a questo mondo appartiene tutto ciò che è nei Cieli.
(90)
Poiché l’uomo è il Cielo e anche il mondo nella loro forma più piccola, ad immagine di quella più grande, in lui c’è il mondo spirituale e quello naturale. La sua interiorità, che appartiene al suo animo ed è fornita di intelletto e volontà, costituisce il suo mondo spirituale. La sua esteriorità, che appartiene al suo corpo e si riferisce ai sensi e alle azioni del corpo, costituisce il suo mondo naturale. E’ per questo che è chiamato «corrispondente» tutto ciò che si manifesta nel mondo naturale, ovvero nel suo corpo, derivando dal mondo spirituale, ovvero dalla sua mente, dalla sua ragione e dalla sua volontà.
(91)
Dal volto dell’uomo si può vedere cos’è la corrispondenza. In colui che non ha imparato a dissimulare, tutti i sentimenti si presentano alla vista così come sono, in forma naturale, proprio in volto. Il volto indica il carattere dell’uomo, il suo mondo spirituale nel suo mondo naturale. Si dice infatti che il volto è lo specchio dell’anima. Allo stesso modo tutte le considerazioni dell’intelletto si manifestano nella parola e le tensioni della volontà nei movimenti del corpo. Tutto ciò che avviene nel corpo, sia sul viso che nel linguaggio e nei gesti, è detto corrispondenza.
(92)
Da quanto sopra riferito, si può capire che cosa sono l’uomo interiore e l’uomo esteriore. L’uomo interiore è chiamato uomo spirituale, e l’uomo esteriore uomo naturale. L’uno è distinto dall’altro come il Cielo lo è dal mondo. Tutto ciò che viene fatto ed esiste nell’uomo esteriore o naturale, viene fatto ed esiste nell’uomo interiore o spirituale.
(93)
Avendo trattato della corrispondenza tra l’uomo interiore o spirituale e il suo uomo esteriore o naturale, tratteremo ora della corrispondenza di tutto il Cielo con le parti dell’uomo.
(94)
Il Cielo nel suo complesso rappresenta un sol uomo e di conseguenza è chiamato Uomo immenso. Le società angeliche di cui è composto il Cielo sono quindi disposte come le membra umane, gli organi e le viscere: nella testa, nel petto, nelle braccia e nelle gambe, e a queste diverse parti corrispondono. L’uomo esiste sulla base di questa corrispondenza, ovvero esiste in quanto corrisponde al Cielo.
(95)
Come è stato detto sopra, il Cielo è distinto in due regni, quello celeste e quello spirituale. Il regno celeste nel suo complesso corrisponde al cuore e a tutto ciò che nel corpo dipende dal cuore. Il regno spirituale corrisponde al polmone e a tutto ciò che da lui dipende nel corpo. Nei Cieli, il regno celeste è la volontà del Cielo dove regna l’amore; il regno spirituale è l’intelletto del Cielo, dove regna il vero. Sono due cose che corrispondono alle funzioni del cuore e dei polmoni nell’uomo. E’ in base a questa corrispondenza che il cuore nella Scrittura significa volontà e anche amore; e il soffio polmonare l’intelletto e la vera fede. E’ per questo che gli affetti sono attribuiti al cuore, sebbene non abbiano lì la loro sede e non provengano da esso.
(96)
La corrispondenza dei due regni del Cielo con il cuore e i polmoni è la corrispondenza generale del Cielo con l’uomo; c’è però una corrispondenza più particolare con ognuno dei suoi organi, delle sue membra e delle sue viscere. Nell’Uomo immenso, che è il Cielo, coloro che sono nella testa sono nel bene più di tutti gli altri, perché sono nell’amore, nella pace, nell’innocenza, nella saggezza e nell’intelligenza, e di conseguenza anche nella gioia e nella felicità; essi influiscono sulla testa dell’uomo e su tutto ciò che da essa dipende. Coloro che sono invece nel petto dell’uomo immenso, sono nella carità e nella fede, influiscono sul petto dell’uomo e ad esso corrispondono. Coloro che sono nei lombi e negli organi di riproduzione agiscono nell’amore coniugale. Coloro che sono nei piedi, si trovano nell’ultimo bene del Cielo, che è chiamato bene naturale-spirituale. Coloro che sono nelle braccia e nelle mani, sono nella potenza del vero. Coloro che sono negli occhi, sono nell’intelletto. Chi è nelle narici, è nella percezione, e chi è nelle orecchie è nell’attenzione e nell’obbedienza. Chi è nella bocca e nella lingua, è nel linguaggio attento e intelligente. Chi è nei reni, è nel vero che esamina, distingue e corregge. Chi è nel fegato, nel pancreas e nella milza, è nelle varie purificazioni del bene e del vero; e così via per tutte le parti. Tutti influiscono nelle parti simili dell’uomo e ad esse corrispondono. L’influsso del Cielo si fa avvertire nelle funzioni e nell’uso delle membra.
(97)
Queste membra, organi e visceri significano, nella Scrittura, cose simili, perché nella Scrittura tutto ha un significato in base alle corrispondenze. La testa significa l’intelligenza e la saggezza; il petto, la carità; i lombi, l’amore coniugale, le braccia e le mani, la potenza del vero; i piedi, ciò che è naturale; gli occhi, l’intelletto; le narici, la percezione; le orecchie, l’obbedienza; i reni, l’esame del vero; e via di seguito. L’uomo dice abitualmente che chi è intelligente e saggio ha della testa; chi è nella carità è un amico del cuore; chi sa percepire, ha un naso fino; chi è intelligente, ha un occhio penetrante; chi è nella potenza, ha le braccia lunghe. Questi modi di dire hanno la loro origine nelle corrispondenze e queste espressioni vengono dal mondo spirituale, anche se l’uomo non lo sa.
(98)
Spesso mi è stato mostrato con l’esperienza che una tale corrispondenza esiste tra tutto quello che appartiene al Cielo e tutto quello che appartiene all’uomo. Ne ho avuto la conferma come di una cosa evidente e fuori di dubbio. Queste esperienze, che sono numerosissime, sono riportate nella mia opera Arcana Coelestia, là dove si parla di corrispondenze, di rappresentazioni, di influsso del mondo spirituale nel mondo naturale e del rapporto tra anima e corpo.
(99)
Sebbene tutto ciò che appartiene all’uomo quanto al corpo corrisponde a tutto ciò che appartiene al Cielo, l’uomo non è l’immagine del Cielo per quello che riguarda la sua forma esterna, però lo è quanto alla forma interiore. Quest’ultima riceve il Cielo, mentre la forma esteriore riceve il mondo. Questa forma esteriore si configura in base all’ordine del mondo e di conseguenza può avere una bellezza molto varia; infatti la bellezza esterna, che appartiene al corpo, proviene dai genitori e dalla formazione nel corpo materno, e in seguito è conservata dall’influsso che emana dal mondo. Ne risulta che la forma naturale dell’uomo differisce molto dalla forma del suo uomo spirituale. Qualche volta mi è stato mostrato che forma poteva avere lo spirito di un uomo, e ho visto che qualcuno aveva una forma bella e graziosa, ma uno spirito deforme, nero e mostruoso, al punto che lo si sarebbe preso per un’immagine dell’inferno e non del cielo. Mentre qualcun altro che non aveva alcuna bellezza esteriore aveva uno spirito bello, bianco e angelico. Lo spirito dell’uomo dopo la morte appare tal quale è stato nel corpo, quando viveva nel mondo dentro di lui.
(100)
La corrispondenza non si limita all’uomo, ma si estende ancora più lontano. C’è corrispondenza dei Cieli tra di loro: al terzo Cielo corrisponde il secondo; e al secondo corrisponde il primo; e quest’ultimo corrisponde alle forme corporali dell’uomo. Il Cielo termina nel corpo dell’uomo, che in un certo senso rappresenta la sua base. Ma di questo tratteremo più avanti.
(101)
E’ indispensabile sapere che ogni corrispondenza che esiste col Cielo, esiste anche col divino/umano del Signore, perché è per Lui che il Cielo esiste. Se il divino/umano non influisse in tutte le cose del Cielo, e in base alle corrispondenze in tutte le cose del mondo, non ci sarebbero né angeli né uomini. Ciò fa capire perché il Signore si è fatto uomo, ha rivestito la Sua divinità di umanità. Ciò è avvenuto perché il divino/umano che reggeva il Cielo prima dell’avvento del Signore non bastava più a sostenere tutte le cose, in quanto l’uomo, che è la base dei Cieli, aveva rovesciato e distrutto l’ordine.
(102)
Gli angeli si sbalordiscono quando vengono a sapere che ci sono uomini che attribuiscono tutto alla natura e niente a Dio, e che credono che i loro corpi, in cui sono state riunite tante mirabili cose del Cielo, siano stati composti dalla natura, da cui deriverebbe anche la ragione umana. Questi uomini tuttavia, per poco che innalzino le loro menti, possono facilmente vedere che queste cose procedono da Dio e non dalla natura; quest’ultima è stata creata soltanto per rivestire lo spirito e dargli una veste adatta a vivere nell’ultimo piano dell’ordine previsto da Dio. Gli angeli paragonano questi uomini alle civette, che vedono nelle tenebre mentre non vedono nulla nella luce.
(14)
ESISTE UNA CORRISPONDENZA
DEL CIELO CON TUTTE
LE COSE DELLA TERRA
(103)
Nell’articolo precedente è stato detto che cos’è la corrispondenza ed è stato mostrato che tutte le parti del corpo umano in generale ed in particolare sono delle corrispondenze. Mostreremo ora che tutte le cose della terra e tutte quelle del mondo sono delle corrispondenze.
(104)
Tutte le cose che appartengono alla terra sono distinte in tre regni: animale, vegetale e minerale. Le cose del regno animale sono corrispondenza di primo grado, perché vivono; quelle del regno vegetale sono corrispondenze di secondo grado, perché crescono soltanto; quelle del regno minerale sono corrispondenze di terzo grado, perché non vivono e non crescono. Gli esseri animati dei diversi tipi, sia quelli che si muovono sulla terra che quelli che volano nell’aria, sono corrispondenze del regno animale. Tutte le cose che crescono e fioriscono nei giardini, nei boschi e nei campi sono corrispondenze del regno vegetale. Tutti i metalli, le pietre preziose e non preziose, le terre dei diversi generi, le acque sono corrispondenze del regno minerale. Sono corrispondenze anche le cose prodotte dalle industrie umane per il nostro uso, come gli alimenti, i vestiti, le case, gli edifici e tante altre cose di questo genere.
(105)
Le cose che sono al di sopra della terra, come il sole, la luna, le stelle, e quelle che sono nell’atmosfera come le nuvole, la pioggia, la nebbia, i lampi e i fulmini sono anch’esse corrispondenze. Quelle che derivano dal sole, dalla sua presenza o assenza, come la luce e l’ombra, il caldo e il freddo, sono pure corrispondenze. Lo stesso vale per quelle che ne derivano, come le stagioni dell’anno che chiamiamo primavera, estate, autunno e inverno, e le parti del giorno che chiamiamo mattina, mezzogiorno, sera e notte.
(106)
Tutte le cose che esistono in natura, dalle più piccole alle più grandi, sono corrispondenze. Lo sono in quanto il mondo naturale, con tutto ciò che lo costituisce, esiste e sussiste grazie al mondo spirituale ed entrambi derivano da Dio. Nulla può esistere per virtù propria. Ogni cosa esiste grazie a qualcosa che la precede, cioè una causa prima. Se ne viene separata, perisce e sparisce.
(107)
In natura tutto ciò che esiste e sussiste grazie all’ordine divino è una corrispondenza. L’ordine divino è il bene che procede dal Signore. Di conseguenza tutte le cose che esistono nel mondo sono previste per il bene e il vero.
(108)
Tutte le cose del mondo sono disposte in modo da poter esistere, svolgere il loro compito ed essere quindi delle corrispondenze. Se si considera con saggezza, ci si rende conto che le caratteristiche proprie di ogni cosa vengono dal Cielo. Molti sanno per esempio che ogni animale ha conoscenze innate. Le api sanno raccogliere il miele dai fiori, costruire delle celle in cui depositare il miele e altre in cui la regina depone le sue uova. In base al loro sentimento innato conoscono anche un certo tipo di governo. Lo stesso vale per gli uccelli, le formiche e tanti altri animali che vivono sulla terra. Chi è dotato di raziocinio, può notare che queste meraviglie possono venire soltanto dal mondo spirituale, al quale il mondo naturale viene in aiuto per rivestire di un corpo e presentare nei suoi effetti ciò che come causa è spirituale. Se gli animali della terra e gli uccelli del cielo nascono con la loro scienza innata, non così avviene all’uomo, che pure è ben più intelligente di loro; ciò dipende dal fatto che gli animali permangono nell’ordine stabilito e non possono distruggere quello che deriva loro dal mondo spirituale. Diverse le cose per l’uomo, che è dotato di pensiero; siccome con una vita contraria all’ordine, aiutato dalla sua ragione, ha pervertito in sé questa facoltà, non può nascere che in uno stato di pura ignoranza. Attraverso mezzi divini può in seguito essere riportato nell’ordine celeste.
(109)
Nel regno vegetale si può vedere come le cose corrispondono. I semi crescono e divengono alberi, producono foglie, fiori e frutti nei quali sono contenuti altri semi, e tutto questo secondo un ordine mirabile. E’ evidente che questo processo ha le sue corrispondenze nell’uomo: spesso mentre mi trovavo in giardino ed esaminavo gli alberi, i frutti, i fiori, i legumi, ho notato queste corrispondenze e dagli abitanti del Cielo sono stato istruito sulla loro provenienza e la loro evoluzione.
(110)
Oggi nessuno, ad eccezione di coloro che l’apprendono dal Cielo stesso, può conoscere le cose spirituali che sono in Cielo, alle quali corrispondono le cose naturali che sono nel mondo, dato che la scienza delle corrispondenze è andata totalmente perduta. La corrispondenza delle cose spirituali con le cose naturali risulta chiara da qualche esempio: gli animali della terra in generale corrispondono alle tendenze: quelli che sono dolci e utili, alle tendenze buone, quelli che sono feroci e inutili, alle tendenze malvage. I buoi e i tori corrispondono alla tendenza del mentale naturale; pecore e vitelli alle tendenze del mentale-spirituale; tutti i volatili, a seconda della specie, all’intelletto di entrambi i mentali. Buoi, tori, capre, pecore, agnelli maschi e femmine, come pure tortore e colombe erano stati ammessi per un uso santo nella chiesa israelitica, che era una chiesa rappresentativa, e con questi animali si facevano sacrifici e olocausti. In effetti con questo uso essi corrispondevano alle cose spirituali celesti. Gli animali, nelle loro diverse specie, sono le tendenze perché vivono in base a una ben precisa tendenza tipica di ogni specie. E’ per questo che ogni animale possiede una scienza innata secondo la tendenza della sua vita. L’uomo è simile agli animali quanto alla sua natura; e parlando si è soliti anche paragonarlo agli animali. Così si dice che è un agnello se è dolce; un orso o un lupo se è feroce; una volpe o un serpente se è astuto, e così via.
(111)
Una analoga corrispondenza esiste anche con le cose del regno vegetale: un giardino nel suo complesso corrisponde al Cielo per intelligenza e saggezza. Per questa ragione il Cielo è chiamato giardino di Dio e paradiso, o paradiso celeste. Gli alberi secondo la loro specie corrispondono alle percezioni e alle conoscenze del bene e del vero, da cui derivano intelligenza e saggezza. Gli antichi che conoscevano la scienza delle corrispondenze, tenevano i loro culti santi nei boschi. E’ per questo che nella Scrittura gli alberi sono citati tanto spesso, e il Cielo, la Chiesa e l’uomo sono paragonati al tronco, all’olivo, al cedro e ad altri alberi, mentre le buone opere sono paragonate ai frutti. Gli alimenti che ne derivano, specialmente quelli che derivano dal raccolto nei campi, corrispondono alla tendenza al bene e al vero, perché queste tendenze nutrono la vita spirituale come gli alimenti terreni nutrono la vita naturale. Ecco dunque che il pane in generale corrisponde alla tendenza al bene perché più di ogni altro alimento sostiene la vita e rappresenta il nutrimento in generale. Il Signore chiama se stesso il pane della vita a causa di questa corrispondenza. Per la stessa ragione nella chiesa israelitica il pane aveva un uso santo. E’ sempre a causa di questa corrispondenza che nella chiesa cristiana l’atto più santo del culto è la Cena, nella quale si distribuisce il pane e il vino. Questi pochi esempi possono bastare per mostrare che esistono le corrispondenze.
(112)
L’universo è stato creato e formato da Dio in modo tale che ciò che viene ideato in Cielo abbia i suoi effetti nel mondo, per gradi e successivamente. Più l’uomo è spirituale, più è un mezzo di congiunzione; meno lo è, meno serve da mezzo di congiunzione.
(113)
Tutte le cose che sono nell’ordine divino corrispondono al Cielo e quelle che sono contro l’ordine divino corrispondono all’inferno. Quelle che corrispondono al Cielo si riferiscono al bene e al vero; quelle che corrispondono all’inferno, al male e al falso.
(114)
E’ già stato detto che il mondo spirituale, che è il Cielo, è unito al mondo naturale attraverso le corrispondenze. Ne risulta che attraverso le corrispondenze l’uomo comunica col Cielo, poiché gli angeli del Cielo non pensano come l’uomo in base alle cose naturali. Quando l’uomo conosce la scienza delle corrispondenze, può essere con gli angeli attraverso i suoi pensieri e anche riunirsi a loro con la sua interiorità. La Scrittura è stata scritta in base alle corrispondenze, e se l’uomo non avesse perduto questa conoscenza capirebbe il senso spirituale della Scrittura e conoscerebbe anche gli arcani di cui non trova traccia se si ferma alla lettera. Nella Scrittura c’è un senso letterale e un senso spirituale. Le cose, così come sono nel mondo, costituiscono il senso spirituale. Come l’unione del Cielo col mondo avviene attraverso le corrispondenze, è allo stesso modo che ci è stata data una tale Scrittura, nella quale tutto corrisponde, anche la più piccola iota.
(115)
Il Cielo mi ha insegnato che gli antichi, che erano uomini celesti, pensavano in base alle corrispondenze. Le cose naturali del mondo che apparivano ai loro occhi servivano loro come mezzi per pensare. Quel tempo è stato chiamato l’età dell’oro perché quegli uomini erano in rapporto con gli angeli coi quali si intrattenevano; e il Cielo in questo modo era unito al mondo. Parlando di questa età, gli scrittori antichi dicono anche che gli abitanti del Cielo vivevano con gli uomini, e avevano con loro relazioni di amicizia. Ho saputo anche che, dopo l’età dell’oro, gli uomini che sono venuti a sostituire quei primi non pensavano in base alle corrispondenze stesse, ma in base alla scienza delle corrispondenze che consentiva ancora un’unione del Cielo con l’uomo: un’unione che però non era più così intima. Questo tempo è chiamato età d’argento. In seguito vennero altri che conoscevano sì le corrispondenze, ma non pensavano in base alla scienza delle corrispondenze perché vivevano nel bene naturale e non nel bene spirituale come i loro predecessori. La loro età fu chiamata età del rame. In seguito l’uomo divenne sempre più dominato dall’esteriorità e infine dalla corporeità. Allora la scienza delle corrispondenze andò interamente perduta, e con essa la conoscenza del Cielo e di un gran numero di cose che di esso fanno parte. E’ ancora in base alle corrispondenze che queste età furono chiamate dell’oro, dell’argento e del rame, perché l’oro significa il bene celeste nel quale vivevano gli antichi, l’argento il bene spirituale nel quale vivevano coloro che vennero dopo di loro; e il rame il bene naturale dei loro successori. Il ferro, che ha dato il nome all’età che è venuta dopo, indica la dura verità senza il bene.
(15)
IL SOLE IN CIELO
(116)
Il sole del mondo è chiamato naturale al pari di tutto ciò che da lui è prodotto. Dato che queste cose sono naturali, non appaiono in Cielo. Lo spirituale che costituisce il Cielo è al di sopra della natura e assolutamente distinto dal naturale. Questi due aspetti comunicano tra di loro soltanto attraverso le corrispondenze.
(117)
Nel Cielo non appare né il sole del mondo né ciò che da lui deriva, tuttavia nel Cielo c’è un sole, una luce e un calore, vi sono tutte le cose che sono nel modo e altre in numero infinito. Il sole del Cielo è il Signore; la luce è il divinamente vero, il calore è il bene divino, ed entrambi procedono dal Signore come sole. Da questa origine provengono tutte le cose che esistono e appaiono in Cielo. In seguito tratteremo della luce e del calore e delle cose che esistono nel Cielo grazie a loro. Ora tratteremo soltanto del sole. Il Signore nel Cielo appare come sole essendo Egli il divino amore per il quale esistono tutte le cose spirituali e anche tutte le cose naturali per mezzo del sole del mondo. E’ l’amore che brilla in Cielo sotto forma di sole.
(118)
Mi è stato detto dagli angeli che il Signore appare nel Cielo come sole, e qualche volta mi è stato anche concesso di vederlo. Ora dunque descriverò quello che ho saputo e visto a questo proposito. Il Signore appare come sole non in Cielo ma in alto, al di sopra dei Cieli; non sopra la testa o allo zenith, ma davanti al volto degli angeli a un’altezza media tra lo zenith e l’orizzonte.
Appare in due punti diversi: davanti all’occhio destro, come un sole di fuoco molto simile al fuoco del sole del mondo e di una grandezza analoga; e appare davanti all’occhio sinistro non come sole ma come luna, di un chiarore simile a quello della luna della nostra terra, ma più brillante e di una grandezza simile; questa luna però appare contornata di parecchie piccole lune, tutte luminose e risplendenti. Il Signore appare in queste due forme in quanto si manifesta a seconda della ricezione che ciascuno ha di lui, e cioè a seconda che lo si percepisca per il bene dell’amore o per il bene della fede. Appare come un sole di fuoco a chi lo percepisce con l’amore, come una luna bianca e lucente a chi lo percepisce con la fede. E’ così perché il bene dell’amore corrisponde al fuoco, che in senso spirituale è l’amore; mentre il bene della fede corrisponde alla luce, la quale in senso spirituale è la fede. La visione appare agli occhi perché anche il mentale vede attraverso gli occhi: in base all’amore con l’occhio destro, in base alla fede con l’occhio sinistro. Tutte le cose che negli angeli e negli uomini sono sul lato destro corrispondono al bene da cui procede il vero; tutte quelle che sono a sinistra corrispondono al vero che procede dal bene.
(119)
E’ per questo che il Signore nella Scrittura è paragonato al sole per quello che si riferisce all’amore, alla luna per quello che si riferisce alla fede; ciò risulta chiaramente dai passaggi seguenti:
La luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più, come la luce di sette giorni (Isaia XXX, 26).
Quando cadrò estinto, coprirò il cielo e oscurerò le sue stelle; velerò il sole di nubi e la luna non brillerà. Oscurerò tutti gli astri del cielo su di te e stenderò sulla tua terra le tenebre (Ezechiele XXXII, 7-8).
Il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce (Isaia XIII, 10).
Il sole e la luna si oscureranno e le stelle cesseranno di brillare; il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue (Gioele II, 10-32).
Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra (Apocalisse VI, 12).
Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo (Matteo XXIV, 29).
In questi passaggi il sole rappresenta l’amore, la luna la fede e le stelle la conoscenza del bene e del vero. Viene detto che questi astri divengono scuri, perdono la loro luce e cadono dal Cielo quando non c’è più amore, né fede, né conoscenza del bene e del vero. Che il Signore appaia come sole, lo si vede anche dalla sua trasfigurazione davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, quando è detto che il suo volto risplendeva come il sole (Matteo, XVII, 2). Il Signore fu visto anche dai discepoli quando questi furono sollevati dai loro corpi e trasportati nella luce del Cielo. Gli antichi che conoscevano questi significati volgevano il viso verso il sole ad Oriente quando celebravano un culto divino. La consuetudine di volgere i templi verso Oriente trae qui la sua origine.
(120)
Facendo un confronto col sole del mondo, si può valutare quanto è grande l’amore del divino e che cosa esso è. Questo amore è ardente, molto più del sole del mondo; così il Signore come sole non influisce immediatamente nei Cieli, ma l’ardore del Suo amore è temperato e si manifesta per gradi. Le attenuazioni appaiono come cinture radiose intorno al sole, e gli angeli sono velati da una leggera nube protettrice al fine di non essere feriti dall’influsso. Per questo i Cieli sono distinti a seconda della ricezione; i Cieli superiori, essendo nel bene dell’amore, sono i più vicini al Signore come sole; i Cieli inferiori, essendo nel bene della fede, sono più lontani da Lui; e quelli che non sono in nessun bene, come coloro che sono all’inferno, sono i più lontani; e la distanza è maggiore più essi sono contrari al bene.
(121)
Quando il Signore appare in Cielo, cosa che capita sovente, non è visto circondato da sole, ma in forma angelica; si distingue dagli angeli per la divinità che brilla sul Suo volto. Egli non è lì di persona, perché il Signore in persona è sempre circonfuso di sole, ma è presente per l’Aspetto. Questa presenza è chiamata presenza della vista interiore, e se ne parlerà successivamente. Il Signore mi è apparso così fuori dal sole, in forma angelica, un po’ al di sotto del sole. Io l’ho visto da vicino in questa forma angelica, il volto risplendente; una volta l’ho visto anche in mezzo agli angeli, e brillava come la luce della fiamma.
(122)
Il sole del mondo appare agli angeli come una cosa scura diametricalmente opposta al sole del Cielo. E’ così perché il fuoco del mondo corrisponde all’amore per se stessi, e la luce che ne deriva corrisponde all’errore di questo amore. L’amore per se stessi è assolutamente opposto all’amore divino e alla divina verità, e ciò che è opposto al divino amore e alla divina verità è per gli angeli oscurità. Nella Scrittura, adorare il sole del mondo e la luna, e prosternarsi davanti a loro, significa amare se stessi e amare l’errore che proviene dall’amore per se stessi. Coloro che agiscono così saranno sterminati (Deut. IV, 19; XVII, 3-4-5; Geremia VIII, 1-2; Ezechiele VIII, 15-16-18; Apocalisse XVI, 8; Matteo XIII, 6-8).
(123)
Poiché il Signore appare in Cielo come sole in base all’amore divino che è in Lui e da Lui procede, tutti coloro che sono nei Cieli si volgono costantemente a Lui; quelli del regno celeste verso Lui come sole, quelli del regno spirituale verso Lui come luna. Coloro invece che sono all’inferno si volgono verso le tenebre e l’oscurità che sono diametricalmente opposte a Lui, e così facendo Gli volgono le spalle, poiché tutti quelli che sono all’inferno sono nell’amore di sé e del mondo, e di conseguenza sono opposti al Signore. E’ per questo che si dice che gli abitanti dell’inferno sono nelle tenebre e quelli dei Cieli nella luce; le tenebre significano l’errore e il male, la luce il vero e il bene.
(124)
Poiché il Signore è il sole del cielo, tutte le cose che da Lui procedono sono rivolte verso di Lui e Lui quindi è il centro comune da cui provengono tutte le tendenze e le decisioni. E questo vale sia per le cose dei Cieli che per quelle della terra.
(125)
Queste spiegazioni illustrano più chiaramente quanto è stato precedentemente detto del Signore: il Signore è il Dio del Cielo; la sua divinità costituisce il Cielo; il divino del Signore nel Cielo è l’amore per lui e la carità verso il prossimo; vi è corrispondenza di tutte le cose del mondo col Cielo, e attraverso il Cielo col Signore; il sole del mondo e la luna sono delle corrispondenze.
(16)
LA LUCE E IL CALORE NEL CIELO
(126)
Coloro che pensano soltanto in base alla natura non possono capire che ci sia una luce nei Cieli. Tuttavia questa luce è così grande che supera di molto la luce di mezzogiorno nel mondo; io ho avuto spesso occasione di vederla anche di sera e di notte. All’inizio ero sorpreso nel sentire gli angeli dire che la luce del mondo non è che un’ombra in confronto a quella del Cielo, ma ora avendola vista posso farne testimonianza. Il suo candore e la sua luminosità sono tali che è impossibile descriverli. Le cose che ho visto nei Cieli le ho viste in questa luce, ben più chiaramente e distintamente di quelle che sono in questo mondo.
(127)
La luce del cielo non è naturale come quella del mondo, ma è spirituale perché procede dal Signore come sole, e questo sole è il divino amore e la divina verità, che vengono percepiti dagli angeli come luce e calore. Avendo la luce e il calore del Cielo una tale origine, essi sono spirituali e non naturali.
(128)
La divina verità è per gli angeli la luce da cui deriva il loro intelletto. Questo intelletto è la loro vista interiore che influisce nella loro vista esteriore e la produce. Tale essendo l’origine della luce nel Cielo, questa luce varia a seconda della percezione della divina verità, oppure il che è la stessa cosa a seconda dell’intelligenza e della saggezza in cui si trovano gli angeli; di conseguenza essa è diversa nel regno celeste, nel regno spirituale e anche in ogni società. Nel regno celeste la luce sembra di fiamma, perché gli angeli percepiscono la luce dal Signore sotto forma di sole. Nel regno spirituale la luce è di un bianco splendente perché gli angeli la ricevono dal Signore sotto forma di luna. La luce non è la stessa in tutte le società, anzi differisce da una all’altra; coloro che sono al centro hanno una luce maggiore di coloro che sono intorno. In una parola, gli angeli hanno la luce nella misura in cui essi ricevono la divina verità, cioè al loro livello di ricezione dell’intelligenza e della saggezza che procedono dal Signore. Per questo gli angeli del Cielo sono chiamati angeli di luce.
(129)
Essendo il Signore nei Cieli la divina verità ed essendo questa la luce, il Signore nella Scrittura è chiamato la luce, come nel passaggio seguente:
Di nuovo Gesù parlò loro: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giovanni VIII, 12).
E in questo:
«Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (Giovanni IX, 5).
Gesù poi dice ancora:
«Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce credete nella luce per diventare figli della luce» (Giovanni XII, 35-36).
In Matteo XVII, 2, leggiamo ancora che Gesù fu trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni:
Il suo viso brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
Bisogna anche sapere che le vesti nella Scrittura significano anche la verità, come è detto in Davide:
Signore, tu mi rivesti di luce come di un abito (Salmi, CIV, 2).
(130)
Da tutto questo si può concludere che nei Cieli la luce è spirituale ed è la divina verità. Coloro che pensano solo al mondo e attribuiscono tutto alla natura, pensano naturalmente, ma coloro che guardano verso il Cielo e attribuiscono tutto al divino pensano spiritualmente. Mi è stato più volte concesso di percepire, e anche di vedere, che esiste una luce che illumina la mente, del tutto distinta da quella che è chiamata luce naturale. Io sono stato interiormente elevato per gradi in questa luce, e via via che venivo elevato la mia mente era illuminata al punto che percepivo cose che prima non percepivo e cose che non potrebbero essere percepite in base alla luce naturale.
(131)
Dato che la luce del Cielo è la divina verità, questa luce è anche la divina saggezza e la divina intelligenza. Essere innalzati nella luce del Cielo è la stessa cosa che essere innalzati nell’intelligenza e nella saggezza. Di conseguenza ogni cosa in questa luce viene conosciuta per quello che è: l’interiorità di ognuno si rivela dalla luce del volto e nulla resta nascosto. Gli angeli del terzo Cielo desiderano che tutto in loro sia rivelato, perché non vogliono altro che il bene; invece coloro che sono al di sotto del Cielo temono alquanto di essere guardati nella luce celeste. Coloro che sono all’inferno appaiono tra di loro come uomini, ma nella luce del Cielo come dei mostri con un volto e un corpo orribili, corrispondenti nella forma al loro animo malvagio. Allo stesso modo l’uomo, quando è guardato dagli angeli, appare in base al suo spirito. Se è buono, appare come un uomo la cui beltà è in rapporto col suo bene interiore, se è cattivo appare come un mostro la cui bruttura è in rapporto con la sua malvagità interiore. E quindi evidente che tutte le cose si manifestano nella luce del Cielo, e ciò avviene perché la luce del Cielo è la divina verità.
(132)
Dato che la divina verità è la luce del Cielo, tutto ciò che è vero, sia negli angeli che al di fuori di loro, brilla di luce. Tuttavia la verità al di fuori del Cielo brilla di una luce fredda senza calore, bianca come la neve, e questo avviene perché tale verità non deriva dal bene come la verità in Cielo. Al confronto della luce del Cielo, questa luce può essere paragonata alle tenebre.
(133)
Nella sua essenza il calore del Cielo è amore, dato che deriva dal sole divino che è il Signore stesso che si manifesta nell’amore. E’ evidente che il calore del Cielo è spirituale come lo è la sua luce, poiché hanno la stessa origine.
(134)
Il calore del Cielo varia come varia la sua luce. Esso è diverso nel regno celeste, nel regno spirituale e in ogni società di questi regni. Esso differisce non soltanto per il grado ma anche per la qualità; è più intenso e più puro nel regno celeste del Signore, perché gli angeli ricevono il divino bene in misura maggiore. E’ meno intenso e meno puro nel regno spirituale del Signore, perché gli angeli ricevono maggiormente la divina verità; inoltre differisce secondo la ricezione in ogni società. Vi è un calore anche all’inferno, ma è immondo. Il calore del cielo è fuoco sacro e celeste, quello dell’inferno è fuoco profano e infernale; entrambi i fuochi rappresentano l’amore, l’amore celeste, l’amore per il Signore, per il prossimo e per tutto ciò che rientra in questo tipo di amore. Il fuoco infernale è invece l’amore per se stessi e l’amore del mondo, e ogni concupiscenza che procede da questi amori.
(135)
L’amore che procede dal Signore sotto forma di sole è sentito dagli angeli come calore, perché l’interiorità degli angeli è fatta d’amore e di conseguenza la loro esteriorità si riscalda. In Cielo, calore e amore si corrispondono perfettamente e ciascuno è nel calore in proporzione al suo amore. Il calore del mondo non entra affatto nei Cieli, essendo troppo grossolano, naturale e non spirituale. Diversamente avviene per gli uomini, perché essi sono sia nel mondo spirituale che nel mondo naturale. Il loro spirito si riscalda in base all’amore divino, ma il loro corpo si riscalda sia per il calore dello spirito che per quello del mondo.
(136)
Poiché la luce del Cielo è la divina verità e di conseguenza la divina saggezza, essa costituisce la loro vita stessa. Sulla terra tutto è vivificato dal calore e dalla luce: questa congiunzione di luce e calore avviene in primavera e in estate, ma se la luce è separata dal calore nulla è vivificato, nulla fiorisce, tutto appassisce e muore. Tale congiunzione cessa d’inverno, quando il calore è assente e la luce resta. E’ in base a questa corrispondenza che il Cielo è chiamato Paradiso, perché la verità è qui congiunta al bene e la fede all’amore, come sulla terra la luce è congiunta al calore nella stagione primaverile.
(137)
Leggiamo in Giovanni:
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio; tutto era fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria (Giovanni I, 1-3, 14).
Poiché il Verbo si è fatto carne, è evidente che il Verbo è il Signore. Però non si sa ancora che cosa si intende esattamente con Verbo, e quindi bisogna dirlo. In questi versetti di Giovanni il Verbo è la divina verità che è nel Signore e da lui procede. Come spiegherò ora, tutte le cose sono state fatte e create dalla divina verità, poiché in Cielo ogni potenza appartiene alla divina verità, al di fuori della quale non esiste assolutamente niente. In base a questo, gli angeli sono chiamati potenze, e lo sono nella misura in cui sono ricettacolo della verità. Per questa verità essi hanno il potere sull’inferno e su tutti coloro che a loro si oppongono; mille nemici non sopportano un sol raggio della luce del cielo che è divina verità. E poiché gli angeli costituiscono il Cielo, ne deriva che tutto il Cielo deriva dalla divina verità. Certuni non riescono a credere che nella divina verità sia insito un potere tanto grande; credono che la verità sia un pensiero, un linguaggio che non ha potere in sé ma solo se altri agiscono in base ad esso. Invece nella divina verità c’è il potere in sé, un tale potere che attraverso lui è stato creato il Cielo, il mondo e tutto ciò che in essi è contenuto. La potenza della verità e del bene nell’uomo, e il potere della luce e del calore che proviene dal sole nell’uomo sono paragonabili fra loro e possono servire a far capire il potere della divina verità. Infatti tutte le cose che crescono nel mondo, gli alberi, i fiori, le erbe, i frutti, i semi esistono in quanto c’è la luce e il calore del sole. E’ evidente quindi il potere di questo calore e di questa luce. Quale maggiore potenza deve essere insita nella divina luce che è divina verità, e nel divino calore che è divino bene ! Infatti il Cielo esiste in base a questi, ed è dal Cielo che trae origine il mondo, come abbiamo precedentemente detto e dimostrato. Ciò consente di capire che tutte le cose sono state fatte dal Verbo. Nel libro della Genesi si parla infatti prima di luce e in seguito delle cose che procedono dalla luce (Genesi I, 3-4).
(139)
Bisogna sapere che il divino bene e la divina verità che sono nei Cieli e derivano dal Signore come sole, non sono in lui, ma procedono da lui. Nel Signore vi è soltanto il divino amore, che è l’essere grazie al quale esistono questo bene e questa verità. Ciò può essere illustrato anche attraverso un paragone col sole del mondo: il calore e la luce che sono nel mondo non sono nel sole, ma procedono dal sole; nel sole vi è soltanto il fuoco, ed è grazie a questo fuoco che esistono e procedono questo calore e questa luce.
(140)
Dato che il Signore come sole è il divino amore e il divino amore è il divino bene stesso, il divino che procede dal Signore è chiamato divina verità, sebbene sia il divino bene unito alla divina verità. E’ questa divina verità che è chiamata la santità che procede dal Signore.
(17)
LE QUATTRO REGIONI NEL CIELO
(141)
Nel cielo come nel mondo ci sono quattro regioni, l’oriente, il mezzogiorno, l’occidente e il settentrione, determinate in entrambi i mondi dal rispettivo sole: nel Cielo dal sole del Cielo che è il Signore, nel mondo dal sole del mondo. Tuttavia tra le regioni del Cielo e le regioni del mondo ci sono parecchie differenze. Prima di tutto, nel mondo si chiama mezzogiorno il punto in cui il sole è alla massima altezza al di sopra della terra, e settentrione la posizione opposta; oriente il punto in cui sorge agli equinozi, e occidente quello in cui tramonta nelle stesse epoche. Nel mondo tutte le regioni sono determinate dal mezzogiorno. In Cielo si chiama oriente il punto in cui il Signore appare come sole; al punto diametricalmente opposto è l’occidente; a destra nel Cielo c’è il mezzogiorno e a sinistra il settentrione. In Cielo tutte le regioni sono determinate dall’oriente. Si chiama oriente il punto in cui il Signore appare come sole, perché ogni origine della vita viene da lui come sole. Nella misura in cui gli angeli ricevono calore e luce, o amore e intelligenza dal Signore, si dice che il Signore sorge presso di loro. Nella scrittura il Signore è chiamato anche Oriente.
(142)
In secondo luogo, gli angeli hanno in faccia l’oriente, dietro di loro c’è l’occidente, a destra il mezzogiorno e a sinistra il settentrione. Ciò può difficilmente essere capito nel mondo in cui l’uomo si può voltare in tutte le direzioni, e quindi si rende necessaria una spiegazione. Tutto il Cielo si volge verso il Signore come verso il suo centro comune, e quindi tutti gli angeli si volgono verso il centro. Ogni direzione, anche sulla terra, tende verso un centro comune, e questo è noto. Però la direzione in Cielo differisce da quella nel mondo; nel Cielo la direzione viene espressa dall’interiorità degli angeli, la quale si esprime sul loro volto. Ne risulta perciò che è il loro volto che determina le regioni.
(143)
In qualunque maniera voltino la loro faccia e il loro corpo, gli angeli guardano verso oriente; ciò può difficilmente essere capito nel mondo, perché l’uomo ha sempre in faccia la regione verso la quale si volta. Gli angeli come gli uomini voltano i loro visi e i loro corpi come desiderano, tuttavia gli angeli hanno sempre l’oriente davanti agli occhi. Negli angeli i movimenti della faccia e del corpo non sono come presso gli uomini, perché hanno una diversa origine; sembrano simili ma non lo sono, perché essi derivano dall’amore che regna sovrano. Da questo amore vengono tutte le determinazioni negli angeli e negli spiriti. Avendo avuto un gran numero di esperienze, mi è stato concesso di sapere e di rendermi conto che gli angeli hanno costantemente il Signore davanti alla faccia. Tutte le volte che mi sono trovato in società con gli angeli, ho notato davanti al mio viso la presenza del Signore, che sebbene non fosse visto veniva tuttavia percepito nella luce; gli angeli più volte mi hanno confermato che è così. Dato che il Signore è costantemente davanti alla faccia degli angeli, nel mondo si dice che coloro che credono in Lui e L’amano hanno Dio davanti agli occhi e davanti alla faccia, Lo guardano e Lo vedono. L’uomo si esprime così in base al mondo spirituale, perché nel linguaggio umano molte espressioni vengono di là, anche se l’uomo non lo sa.
(144)
Questo orientamento del volto e del corpo verso il Signore è una delle meraviglie del Cielo; là molti possono essere in uno stesso luogo e volgere la faccia e il corpo uno da una parte e uno dall’altra, e tuttavia tutti vedono il Signore davanti a loro, e ognuno ha il mezzogiorno alla sua destra, il settentrione alla sua sinistra e l’occidente dietro. Al numero delle meraviglie va aggiunta anche questa: sebbene tutti gli sguardi degli angeli siano rivolti verso oriente, ciò nonostante hanno la visione anche delle altre tre regioni, che guardano con la vista interiore che appartiene al pensiero. Ecco un’altra meraviglia: non è mai permesso a nessuno, in Cielo, di stare dietro a un altro e di guardare verso il suo occipite: questo infatti turberebbe l’influsso del bene e del vero che proviene dal Signore.
(145)
Gli angeli guardano il Signore in una maniera e il Signore guarda gli angeli in un’altra maniera. Gli angeli guardano il Signore con gli occhi, ma il Signore guarda gli angeli con la fronte. Li guarda così perché la fronte corrisponde all’amore, e il Signore influisce attraverso l’amore sulla loro volontà e fa in modo di esser visto con gli occhi perché questi corrispondono all’intelletto.
(146)
Le regioni nel Cielo che costituiscono il regno celeste del Signore differiscono da quelle che costituiscono il suo regno spirituale, perché il Signore appare come sole agli angeli che sono nel regno celeste, ma appare come luna a quelli che sono nel regno spirituale, e l’oriente è il punto in cui il Signore appare. La distanza tra il sole e la luna è di trenta gradi; di conseguenza c’è questa stessa distanza tra le stesse regioni dei due regni.
(147)
Quanto fin qui detto mostra quale sia la presenza del Signore nei Cieli, egli è ovunque e presso ciascuno nel bene e nel vero che procedono dal Signore. La percezione della presenza del Signore è nell’interiorità degli angeli, così che essi sono nel Signore e il Signore in loro. Sta scritto infatti nel Vangelo: Rimanete in me e io in voi (Giovanni XV, 4) - Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui (Giovanni VI, 56). La carne del Signore significa il divino bene e il sangue la divina verità.
(148)
Nei Cieli tutti gli abitanti sono distinti a seconda delle regioni; a oriente e occidente abitano coloro che sono nel bene dell’amore: a oriente coloro che di questo bene hanno una percezione chiara, a occidente coloro che ne hanno una percezione oscura. A mezzogiorno e settentrione coloro che sono nella saggezza di questo bene: a mezzogiorno coloro che sono nella luce chiara della saggezza, a settentrione coloro che sono nella percezione oscura della saggezza. Gli angeli che sono nel mondo spirituale del Signore vivono allo stesso modo di quelli che sono nel regno celeste, con la differenza però che gli uni vivono secondo il bene dell’amore e gli altri secondo la luce del vero. L’amore nel regno celeste è l’amore per il Signore, e la luce del vero che da esso procede è la saggezza; mentre l’amore nel regno spirituale è l’amore verso il prossimo, e questo amore è chiamato carità, e la luce del vero che ne deriva è l’intelligenza che è chiamata anche fede. Gli angeli differiscono anche quanto alle regioni, perché queste nell’uno e nell’altro regno si trovano ad una distanza di trenta gradi, come è stato detto al numero 146.
(149)
In ogni società del Cielo gli angeli sono disposti tra di loro alla stessa maniera: a oriente sono coloro che si trovano a un più alto grado di amore e carità, a occidente quelli che sono a un grado minore; a mezzogiorno coloro che sono in una più grande luce di saggezza e intelligenza, a settentrione coloro che sono in una luce minore. Hanno diversa collocazione perché ogni società rappresenta il Cielo ed è il Cielo in una forma più piccola. Il Signore provvede a far sì che in ogni società ci siano angeli di tutti i generi, affinché il Cielo sia, quanto alla forma, simile a lui in ogni sua parte. Va detto inoltre che le società che si trovano ad oriente superano in eccellenza le società dell’occidente, e quelle del mezzogiorno superano quelle del settentrione.
(150)
Le regioni nei Cieli sono conformi alle qualità dei loro abitanti, cioè l’oriente rappresenta l’amore e il bene dell’amore in una percezione nitida e chiara; l’occidente le stesse qualità in percezione meno chiara; il mezzogiorno la saggezza e l’intelligenza in una luce chiara; il settentrione le stesse cose in una luce oscura.
(151)
Il contrario avviene per coloro che sono all’inferno: essi non guardano verso il Signore come sole o luna, ma guardano dal lato opposto verso le tenebre fitte che sostituiscono il sole del mondo, e verso un’altra cosa oscura che è il posto della luna della terra. Ne deriva che queste regioni sono opposte alle regioni del Cielo: il loro oriente è là dove si trovano le tenebre e l’oscurità; il loro occidente è là dove c’è il sole del Cielo; il loro mezzogiorno a destra e il loro settentrione a sinistra; e questo in qualunque modo rivolgano il loro corpo. E non può essere diversamente perché tutto in loro gravita nella direzione opposta al Signore. In Cielo tutto è orientato in base all’amore, invece all’inferno regna l’amore per se stessi e per il mondo, e questi amori sono opposti all’amore verso il Signore e all’amore verso il prossimo; ne deriva che chi è all’inferno si volge verso l’oscurità che è diametricalmente opposta al Signore.
(152)
Quando uno spirito malvagio viene tra i buoni, le regioni sono confuse al punto che i buoni sanno appena dove si trova il loro oriente. Qualche volta me ne sono reso conto io stesso, e ne ho sentito parlare dagli spiriti che se ne lamentavano.
(153)
A volte gli spiriti malvagi appaiono rivolti verso le regioni del Cielo; essi hanno allora la comprensione e la percezione del vero, ma non hanno alcuna affezione per il bene; così quando tornano nelle loro regioni non hanno più alcuna intelligenza né alcuna percezione del vero e dicono che le verità che hanno sentito e percepito non sono verità ma falsità; e pretendono addirittura che ciò che è falso diventi vero.
(18)
IL CAMBIAMENTO
DI STATO DEGLI ANGELI NEL CIELO
(154)
Con cambiamento dello stato degli angeli si intende il loro cambiamento quanto all’amore e alla fede e di conseguenza quanto alla saggezza e all’intelligenza: quindi lo stato generale della loro vita. Dato che la vita angelica è la vita dell’amore e della fede e di conseguenza della saggezza e dell’intelligenza, il loro stato dipende da queste cose. Vedremo ora come avvengono negli angeli i cambiamenti di stato.
(155)
Gli angeli non sono costantemente nello stesso stato per quanto si riferisce all’amore e di conseguenza per quanto si riferisce alla saggezza, perché tutta la loro saggezza viene dall’amore e in base all’amore. A volte sono in uno stato di amore intenso, a volte in uno stato di amore meno intenso. Questo amore decresce per gradi da un massimo a un minimo. Quando gli angeli sono al più alto grado di amore, sono nella luce e nel calore della loro vita, sono nella luce e nella gioia. Quando sono al livello minimo d’amore sono nell’ombra e nel freddo, nell’oscurità e nel dolore. Da questo ultimo stato ritornano di nuovo al primo, e così via di seguito; questi ritorni hanno luogo successivamente e con grande varietà. Si succedono come i cambiamenti di stato della luce e dell’ombra, del calore e del freddo, o come il mattino, il mezzogiorno, la sera e la notte si succedono ogni giorno nel mondo in perpetua varietà durante l’anno. Si corrispondono anche: il mattino corrisponde allo stato del loro amore nella luce; il mezzogiorno allo stato della loro saggezza nella luce, la sera allo stato della loro saggezza nell’oscurità e la notte allo stato di assenza di amore e di saggezza. Bisogna però sapere che non c’è corrispondenza della notte vera e propria con lo stato di coloro che sono nel Cielo, bensì col momento del giorno che precede il mattino: la notte corrisponde allo stato di coloro che sono all’inferno. E’ in base a questa corrispondenza che nella Scrittura il giorno e l’anno significano gli stati di vita in generale. Il calore e la luce significano l’amore e la saggezza; il mattino è il primo e supremo grado d’amore; il mezzogiorno la saggezza nella luce; la sera la saggezza nell’ombra; la notte la privazione totale dell’amore e della saggezza.
(156)
Insieme allo stato interiore d’amore e di saggezza degli angeli, cambia lo stato delle diverse cose che sono al di fuori di loro e che appaiono davanti ai loro occhi, perché le cose che sono fuori di loro dipendono da quelle che sono dentro di loro. Ciò sarà meglio spiegato negli articoli seguenti.
(157)
Ogni angelo e ogni società subiscono cambiamenti e attraverso questi cambiamenti di stato, ognuno però in modo diverso dall’altro perché tutti sono diversi in amore e saggezza. Coloro che sono al centro, sono in uno stato più perfetto di coloro che sono intorno e ai confini. Specificare queste differenze richiederebbe troppo tempo. Ognuno subisce dei cambiamenti secondo la qualità del suo amore e della sua fede; al tempo stesso all’interno della medesima società avviene che uno si trova nella luce e nella gioia mentre un altro è nel buio e nel dolore; e questo in maniera diversa a seconda delle società; nelle società del regno celeste in maniera differente che nelle società del regno spirituale. Le differenze dei cambiamenti del loro stato in generale sono come le variazioni di stato dei giorni nelle diverse parti della terra; infatti sulla terra in certi luoghi è mattina mentre in altri è sera, e certuni vivono nel calore mentre altri vivono al freddo.
(158)
Dal Cielo sono stato informato del perché esistono tali cambiamenti di stato: gli angeli mi hanno detto che questo fatto ha diverse ragioni. In primo luogo: il piacere della vita celeste di cui gioiscono in base all’amore e alla saggezza che procedono dal Signore diventerebbe gradualmente insipido se rimanesse eternamente uguale a se stesso, come capita a coloro che vivono nelle delizie e nei divertimenti senza provare mai alcuna varietà. In secondo luogo: gli angeli come gli uomini hanno una propria individualità che fa sì che amino se stessi. Tutti coloro che sono in Cielo sono distolti da se stessi e tanto più lo sono quanto più sono rivolti al Signore e quindi all’amore e alla saggezza; però quando non sono rivolti al Signore, sono nell’amore per se stessi. Dato che ciascuno ama se stesso ed è da se stesso attirato, ne consegue che ci sono dei cambiamenti di stato successivi e ricorrenti. In terzo luogo: gli angeli acquisiscono la loro perfezione perché sono abituati ad essere tenuti nell’amore del Signore e ad essere distolti dall’amore per se stessi. In più, l’alternarsi di piacere e dolore aumenta la percezione e la sensazione del bene. Gli angeli hanno aggiunto altresì che non è il Signore che produce i cambiamenti del loro stato, perché il Signore come sole influisce sempre con calore e luce, cioè con amore e saggezza; loro stessi sono la causa di ciò perché amano la propria individualità che li attira continuamente. Essi mi hanno spiegato questa situazione attraverso un confronto col sole del mondo: non è lui la causa dei cambiamenti di stato del calore e del freddo, della luce e dell’ombra, che si ripetono ogni anno e ogni giorno. Il sole infatti resta immobile, è la terra che gira e quindi è lei la causa dei cambiamenti.
(159)
Mi è stato mostrato in che modo il Signore, manifestandosi come sole, appare agli angeli del regno celeste quando si trovano nel primo, nel secondo e nel terzo stato. Ho visto il Signore come sole ardente e splendente, di una luminosità tale che è impossibile a descriversi; mi fu detto che il Signore come sole appare così agli angeli nel loro primo stato. In seguito ho visto intorno al sole una grande cintura scura che indebolisce il primo ardore e la prima luminosità; e mi fu detto che il sole appare così agli angeli nel loro secondo stato. Poi ho visto la cintura oscurarsi ulteriormente, e il sole apparire meno luminoso, fino a diventare di un bianco lucente; e mi fu detto che il sole appare così agli angeli nel loro terzo stato. Subito dopo ho visto questo bianco lucente muoversi a sinistra verso la luna del cielo e unirsi alla sua luce, il che produsse un grande aumento di luminosità della luna stessa; e mi fu detto che questo era il quarto stato per coloro che sono nel regno celeste, e il primo per coloro che sono nel regno spirituale. Questi cambiamenti di stato nell’uno e nell’altro regno si alternano tra di loro non nell’insieme, ma nelle varie società una dopo l’altra; questi ritorni non sono regolari, ma avvengono più lentamente o più velocemente all’insaputa degli angeli. Mi è stato anche ripetuto che il sole in se stesso non cambia, ma appare diverso a seconda degli stati successivi degli angeli. Il Signore appare a ciascuno secondo la qualità del suo stato, di conseguenza appare ardente a coloro che sono nell’intensità dell’amore, meno ardente e infine bianco lucente nella misura in cui l’amore diminuisce. La qualità dello stato degli angeli è rappresentata da quella cintura scura che dava al sole le sue variazioni apparenti nella fiamma e nella luce.
(160)
Quando gli angeli sono nel loro ultimo stato, cioè quando pensano soprattutto a se stessi, cominciano a diventare tristi. Io ho conversato con loro mentre si trovavano in questo stato, e ho visto la loro tristezza. Essi mi dicevano allora che speravano di ritornare presto al loro primo stato e di essere distolti dalla propria individualità.
(161)
Anche all’inferno ci sono dei cambiamenti di stato, ma ne parleremo più avanti, quando tratteremo dell’inferno.
(19)
IL TEMPO NEL CIELO
(162)
Sebbene le cose si succedano e progrediscano in Cielo come nel mondo, pur tuttavia gli angeli non hanno alcuna nozione né alcuna idea del tempo e dello spazio; al punto che ignorano assolutamente che cosa sono il tempo e lo spazio. Prima parleremo del tempo nel Cielo, più avanti dello spazio.
(163)
Gli angeli non sanno che cos’è il tempo, sebbene tutte le cose presso di loro siano in progressione successiva come nel mondo, con tante somiglianze che non c’è alcuna differenza, in quanto in Cielo non ci sono anni, giorni e mesi, ma cambiamenti di stato. Là dove ci sono gli anni e i giorni, c’è il tempo; dove ci sono dei cambiamenti di stato, ci sono gli stati.
(164)
Nel mondo c’è il tempo perché il sole in apparenza avanza da un grado all’altro e produce il tempo che viene chiamato tempo dell’anno e stagione. Inoltre il sole ruota in apparenza intorno alla terra e produce quelle che chiamiamo parti del giorno; sia gli uni che gli altri si ripetono regolarmente. Diversamente avviene col sole del Cielo che non produce né anni né giorni, ma in apparenza dei cambiamenti di stato. Questi cambiamenti non avvengono a intervalli regolari, come è stato mostrato negli articoli precedenti. Gli angeli quindi non possono avere alcuna idea del tempo, ma hanno invece il concetto di stato.
(165)
Poiché gli angeli non hanno alcuna idea del tempo, come l’hanno invece gli uomini nel mondo, non hanno di conseguenza alcuna idea relativa alle cose che appartengono al tempo. Essi non conoscono l’anno, il mese, la settimana, il giorno, l’ora, oggi, ieri e domani. Quando gli angeli ne sentono parlare presso gli uomini - vi sono infatti sempre degli angeli uniti agli uomini dal Signore - invece di queste divisioni del tempo percepiscono degli stati e delle cose che concernono questi stati stessi; in questo modo l’idea naturale dell’uomo è trasformata presso gli angeli in idea spirituale. Nella Scrittura il tempo corrisponde allo stato e le cose che si riferiscono al tempo, come le divisioni sopra citate, significano le situazioni spirituali che ad esse corrispondono.
(166)
Lo stesso avviene con tutte le cose che esistono grazie al tempo; le quattro stagioni dell’anno, primavera, estate autunno e inverno; le quattro parti del giorno, mattino, mezzogiorno, sera e notte; le quattro età dell’uomo, infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia. L’uomo pensa in base al tempo quando pensa alle cose che esistono o si succedono secondo il tempo, ma l’angelo pensa in base allo stato. La primavera e il mattino divengono per lui uno stato di amore e di saggezza come quelli che caratterizzano il primo stato degli angeli. L’estate è il mezzogiorno corrispondono all’amore e alla saggezza del secondo stato; l’autunno e la sera al terzo. La notte e l’inverno corrispondono allo stato che esiste all’inferno. E’ quindi evidente come le cose naturali che sono nella mente dell’uomo divengono cose spirituali presso gli angeli che vivono accanto agli uomini.
(167)
Non avendo gli angeli alcuna nozione del tempo, hanno dell’eternità un’idea diversa da quella degli uomini della terra. Per eternità essi intendono uno stato infinito, e non un tempo infinito. Un giorno che meditavo sull’eternità in base all’idea del tempo, riuscivo a percepire che cosa significasse per l’eternità cioè per un tempo infinito, ma non che cosa significasse da tutta l’eternità, cioè ciò che Dio aveva fatto in tutta l’eternità precedente la creazione. Mi trovai quindi in uno stato di ansietà e allora fui elevato nelle sfere celesti e di conseguenza partecipai della comprensione che gli angeli hanno dell’eternità. Vidi allora chiaramente che bisogna pensare all’eternità non in base al tempo ma allo stato. Solo così si può capire cosa significa da tutta l’eternità.
(168)
Gli angeli che s’intrattengono con gli uomini non parlano mai in base alle cose naturali proprie dell’uomo, le quali derivano tutte dal tempo, dallo spazio, dalle cose materiali e così via, ma si esprimono in base a idee spirituali che derivano tutte dagli stati e dai diversi cambiamenti di stato degli angeli. Tuttavia quando le idee angeliche che sono spirituali influiscono sugli uomini, vengono trasformate all’istante e naturalmente in idee naturali proprie dell’uomo, del tutto corrispondenti a quelle spirituali. Gli angeli e gli uomini non sanno che questo avviene. Ogni influsso del Cielo sull’uomo avviene in questo modo.
(169)
L’uomo naturale può credere che non avrebbe alcun pensiero se le idee di tempo, di spazio e delle cose materiali non esistessero più per lui, perché tutti i pensieri dell’uomo sono fondati su queste idee. E’ bene però che egli sappia che i pensieri sono tanto più finiti e ristretti quanto più dipendono da spazio, tempo e cose materiali, mentre sono tanto più infiniti e estesi quanto più se ne liberano, perché allora il mentale si eleva al di sopra delle cose mondane e corporali. E’ di qui che deriva la saggezza degli angeli, una saggezza tale che è detta incomprensibile in quanto non si adatta alle concezioni legate unicamente alle cose mondane e materiali.
(20)
LE IMMAGINI
E LE APPARENZE IN CIELO
(170)
L’uomo che pensa col solo lume naturale, non può capire che in Cielo esiste qualcosa di simile a ciò che esiste nel mondo. Egli si è confermato nel concetto che gli angeli siano esseri soltanto mentali e cioè soffi eterei, e non abbiano i sensi che possiede l’uomo e quindi non abbiano occhi - e non avendo occhi, che non vedano. Gli angeli invece hanno tutti i sensi che ha l’uomo, e persino molto più sviluppati. La luce in base alla quale essi vedono è molto più brillante di quella in base alla quale vede l’uomo. Come abbiamo detto negli articoli 73 e 77, gli angeli sono uomini nella forma più perfetta; gioiscono di tutti i sensi e godono di una luce molto più brillante di quella del mondo.
(171)
E’ impossibile descrivere in poche parole le cose che appaiono agli angeli nei Cieli; esse sono per la maggior parte simili a quelle che sono sulla terra, ma più perfette quanto alla forma e in più gran numero. Ciò che videro i profeti ci dà un’idea delle cose che sono in Cielo; per esempio quello che vide Ezechiele a proposito del Nuovo Tempio e della Nuova Terra, la cui descrizione si trova dal XL al XLVIII capitolo; quello che vide Daniele, descritto dal capitolo VII al XII; quello che vide Giovanni, descritto dal primo all’ultimo capitolo dell’Apocalisse, e quello che videro altri, la cui descrizione si trova nei libri storici e profetici della Bibbia. Tutti costoro hanno visto tali cose quando il Cielo fu loro aperto, e si dice che il Cielo è aperto quando è aperta la vista interiore che è la vista spirituale dell’uomo. Le cose che sono nei Cieli non possono essere viste con gli occhi del corpo dell’uomo, ma possono essere viste con gli occhi del suo spirito. Quando piace al Signore, gli occhi dello spirito si aprono e allora l’uomo si sottrae alla luce naturale ed è elevato alla luce spirituale. E’ in questa luce che anch’io ho visto le cose che si trovano nel Cielo.
(172)
Sebbene le cose che appaiono in Cielo siano per la maggior parte simili a quelle che sono sulla terra, non sono tuttavia ad esse simili per l’essenza. Quelle che sono nei Cieli esistono grazie al sole del Cielo, e sono dette spirituali; quelle che sono sulla terra esistono in base al sole del mondo, e sono dette naturali.
(173)
Le cose che sono nei Cieli non esistono alla stessa maniera di quelle della terra. Nei Cieli tutte le cose esistono grazie al Signore secondo le corrispondenze con l’interiorità degli angeli. Gli angeli in effetti hanno un’interiorità e un’esteriorità; le cose che sono nella loro interiorità si riferiscono tutte all’amore e alla fede, e quindi alla volontà e all’intelletto che ne sono i ricettacoli. Ciò può essere capito in base a ciò che è detto sul calore e la luce del Cielo; gli angeli hanno il calore secondo la qualità del loro amore, e la luce secondo la qualità della loro saggezza. Lo stesso avviene con tutte le altre cose che appaiono ai sensi degli angeli.
(174)
Quando mi è stato concesso di essere in società con gli angeli, le cose del Cielo mi sono apparse come quelle del mondo; e così chiaramente che mi sarei creduto nel mondo e addirittura alla corte di un re. Mi sono quindi intrattenuto con gli angeli come da uomo a uomo.
(175)
Tutte le cose che corrispondono all’interiorità la rappresentano, e per questo sono definite immagini o rappresentazioni. Poiché variano in base allo stato dell’interiorità degli angeli, sono state chiamate apparenze. Le cose che appaiono davanti agli occhi degli angeli nei Cieli e sono percepite dai loro sensi, lo sono in maniera così viva come quelle che sono viste e percepite dagli uomini sulla terra, e addirittura molto più chiaramente, distintamente e percettibilmente. Le apparenze che in Cielo procedono da questa fonte sono dette apparenze reali perché esistono realmente. Ci sono anche delle apparenze che non sono reali; sono cose che appaiono, è vero, ma non corrispondono all’interiorità. Ne parleremo in seguito.
(176)
Ecco un esempio che mostrerà più chiaramente quali sono le cose che appaiono agli angeli secondo le corrispondenze. A coloro che sono nell’intelligenza, appaiono dei giardini e dei paradisi pieni di alberi e di fiori di tutti i tipi. Gli alberi sono disposti in un bellissimo ordine, uniti due a due da rami trasversali che formano viali bordati d’erba e passeggiate coperte, di una bellezza indescrivibile. Coloro che sono nell’intelligenza vi passeggiano, colgono fiori e ne fanno delle ghirlande con le quali ornano i bambini. In questi giardini ci sono dei tipi di piante e di fiori che non esistono sulla terra. Gli alberi hanno dei frutti secondo i beni dell’amore nel quale si trovano gli spiriti intelligenti; essi vedono queste cose perché il giardino e il paradiso, e anche gli alberi da frutto e i fiori, corrispondono all’intelligenza e alla saggezza. E’ noto sulla terra che tali cose esistono in Cielo; le sanno però solamente coloro che vivono nel bene e che non hanno estinto in sé la luce celeste a causa della luce naturale e delle sue illusioni. Essi pensano e dicono che il Cielo racchiude cose «che giammai orecchio ha udito né occhio ha visto».
(21)
LE VESTI DI CUI GLI
ANGELI APPAIONO VESTITI
(177)
Poiché gli angeli sono uomini e vivono tra loro come gli uomini della terra, hanno anche delle vesti, dei domicili e altre cose simili, con la differenza però che presso di loro tutto è più perfetto perché essi sono in uno stato più perfetto. In effetti, come la saggezza angelica supera quella umana a un tal livello che è detta ineffabile, lo stesso avviene di tutte le cose che sono percepite dagli angeli e a loro appaiono, perché tutte corrispondono alla loro saggezza.
(178)
Le vesti di cui gli angeli sono rivestiti sono, come tutto il resto, delle corrispondenze, e in quanto tali esistono realmente. Le loro vesti corrispondono alla loro intelligenza, e questo avviene in quanto nei Cieli tutto appare vestito secondo l’intelligenza. Dato che uno supera l’altro in intelligenza (vedi gli articoli 43 e 128), ne risulta che le vesti dell’uno sono più belle di quelle dell’altro. I più intelligenti hanno vesti splendenti come la fiamma, altre le hanno lucenti come la luce. I meno intelligenti hanno vesti bianche senza splendore, e quelli che sono ancora meno intelligenti hanno vesti di diversi colori. Però gli angeli del Cielo intimo sono nudi.
(179)
Dato che le vesti degli angeli corrispondono alla loro intelligenza, corrispondono anche alla verità, perché ogni intelligenza procede dalla divina verità. Dire che gli angeli sono vestiti secondo l’intelligenza, o dire che lo sono secondo la divina verità, è la stessa cosa. Se le vesti degli uni risplendono come la fiamma, e quelle di certi altri risplendono come la luce, è perché la fiamma corrisponde al bene e la luce corrisponde al vero che deriva dal bene. Se altri hanno vesti bianche senza splendore e certi altri le hanno di colori diversi, è perché il bene divino e la divina verità brillano meno e sono ricevuti in maniera diversa da coloro che sono meno intelligenti. Il bianco corrisponde anch’esso alla verità e i colori alle varietà di ciò che è vero. Se nel Cielo intimo gli angeli sono nudi, è perché essi sono nell’innocenza - e l’innocenza corrisponde alla nudità.
(180)
Dato che gli angeli indossano delle vesti, quelli di loro che sono stati visti nel mondo sono apparsi vestiti, per esempio quelli che apparvero ai profeti e quelli che furono visti al sepolcro del Signore:
Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. (Matteo XXVIII, 5; Luca XXIV, 4; Giovanni XX, 12).
Gli angeli che Giovanni vide in Cielo avevano vesti bianche di lino fine (Apocalisse IV, 4 XIX, 11-13).
Di colui che non è nel vero, vien detto che non è rivestito di un abito nuziale, come in Matteo:
Il re entrò per vedere i commensali e scorto un tale che non indossava l’abito nuziale gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senza abito nuziale ? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre (Matteo XXII, 11-13).
(181)
Le vesti degli angeli non appaiono soltanto come vesti, ma lo sono realmente; infatti non solo vengono viste, ma anche sentite e toccate. Gli angeli hanno parecchie vesti, le tolgono e le mettono, ripongono quelle di cui non fanno uso e le riprendono quando ne hanno bisogno; io ho visto mille volte che si rivestivano di vesti diverse. Ho chiesto loro da dove venivano le vesti, e loro mi hanno risposto che venivano dal Signore; le vesti vengono loro donate e a volte ne sono rivestiti a loro insaputa. Mi hanno detto anche che le loro vesti cambiano secondo il loro cambiamento di stato; nel primo e nel secondo stato le loro vesti sono luminose e risplendenti, nel terzo e nel quarto lo sono un po’ meno, e questo in base alle corrispondenze.
(182)
Come ognuno, nel mondo spirituale, ha vesti che corrispondono all’intelligenza, e quindi alla verità da cui viene l’intelligenza, coloro che sono all’inferno, non essendo nel vero, appaiono coperti di vesti strappate, sporche e nerastre, ognuno secondo la propria follia. Essi non possono rivestirne altre; il Signore concede loro di essere vestiti per non apparire nudi.
(22)
LE ABITAZIONI
E LE DIMORE DEGLI ANGELI
(183)
Dato che in Cielo ci sono delle società e gli angeli vivono come gli uomini, essi hanno anche delle abitazioni che, anch’esse, sono diverse a seconda dello stato di vita di ciascuno, magnifiche per coloro che sono in uno stato più alto, meno splendide per chi si trova in uno stato meno elevato. Qualche volta ho parlato con gli angeli delle abitazioni che ci sono in Cielo, e loro mi hanno detto che al giorno d’oggi non c’è quasi più nessuno che crede che in Cielo ci siano abitazioni e dimore, gli uni perché non le vedono, gli altri perché non sanno che gli angeli sono uomini, altri ancora perché credono che il Cielo angelico sia quello che vedono coi loro occhi intorno a loro. Dato che questo cielo appare vuoto ed essi immaginano che gli angeli siano forme eteree, ne concludono che gli angeli vivono nell’etere. Inoltre non riescono a concepire che nel mondo spirituale ci siano cose simili a quelle del mondo naturale, perché non hanno alcuna nozione di ciò che è spirituale. Gli angeli mi hanno detto che sanno che oggi nel mondo regna una tale ignoranza, e si stupivano di trovarla soprattutto all’interno della Chiesa, e più presso coloro che sono definiti intelligenti che presso i semplici. Hanno aggiunto che basterebbe leggere la Scrittura per sapere che gli angeli sono uomini, perché quelli di loro che sono stati visti erano come uomini. Lo stesso è avvenuto col Signore, che ha portato con sé tutta la sua umanità. Poiché dunque gli angeli sono uomini, essi hanno dimore e abitazioni. Contrariamente all’opinione ignorante di qualche uomo, opinione che gli angeli chiamano follia, essi non volano nell’aria e non sono dei soffi, sebbene vengano chiamati spiriti.
(184)
Gioverà presentare a questo proposito le mie esperienze. Ogni volta che ho parlato con gli angeli, faccia a faccia, mi sono trovato con loro nelle loro dimore. Le loro abitazioni sono come quelle della terra, ma più belle. Vi si trova un gran numero di camere e stanze da letto; ci sono dei cortili circondati di giardini, prati e campi. Là dove gli angeli sono consociati, le abitazioni sono contigue, una accanto all’altra, disposte in forma di città, con delle piazze, delle strade e dei mercati, in tutto simili alle città della nostra terra. Mi è stato concesso di percorrerle, di esaminarle in tutti i sensi, e a volte anche di entrare nelle case. Questo mi è stato concesso in perfetto stato di veglia, mentre la mia vista interiore era aperta.
(185)
Ho visto dei palazzi in Cielo così magnifici che non possono essere descritti; in alto brillavano come se fossero stati di oro puro, in basso sembravano di pietre preziose. Questi palazzi erano uno più splendido dell’altro, dentro come fuori. Gli appartamenti erano decorati in una maniera che non ci sono parole per descriverli: sul lato rivolto a mezzogiorno c’erano dei giardini paradisiaci dove tutto era risplendente, e in certi punti le foglie erano come d’argento e i frutti come d’oro. I fiori nei giardini formavano coi loro colori delle specie di arcobaleni. Alle estremità di questi giardini si vedevano altri palazzi che chiudevano la visuale. I monumenti architettonici del Cielo sono tali che si potrebbe dire che l’arte ha raggiunto in essi la sua perfezione, il che non deve stupire perché è un’arte celeste. Gli angeli dicevano che queste cose, ed altre in numero infinito ancora più perfette, sono poste dal Signore davanti ai loro occhi, ma esse allietano più la loro mente che la loro vista, perché in ognuna essi vedono le corrispondenze e attraverso queste le cose divine.
(186)
Gli angeli mi hanno anche detto che non soltanto i palazzi e le case, ma anche tutte le cose in generale e in particolare che si trovano dentro e fuori di questi sono corrispondenze date dal Signore. La casa in generale corrisponde al loro bene. Tutte le cose che sono dentro la casa corrispondono alle cose diverse di cui si compone il bene, e tutto ciò che è fuori al vero che deriva dal bene, e anche alle percezioni e alle conoscenze. Poiché la casa e le sue dipendenze corrispondono al bene e al vero, corrispondono anche al loro amore e di conseguenza alla loro saggezza e intelligenza, poiché l’amore fa parte del bene, la saggezza fa parte del bene e del vero, e l’intelligenza fa parte del vero che procede dal bene. Tali sono le cose che gli angeli percepiscono quando considerano questi oggetti, ed è per questo che gli oggetti allietano più la loro mente che i loro occhi.
(187)
Vedendo queste cose ho capito chiaramente perché il Signore è chiamato il Tempio di Gerusalemme (Giovanni II, 19 e 21); e perché la Nuova Gerusalemme appare d’oro puro, con le porte di perle e le fondamenta di pietre preziose (Apocalisse XXI). Il tempio rappresenta la natura divina e umana del Signore; la Nuova Gerusalemme significa la Chiesa che deve essere fondata. Le dodici porte rappresentano le verità che conducono al bene, e le fondamenta le verità su cui la Chiesa sarà fondata.
(188)
Gli angeli che costituiscono il regno celeste del Signore abitano di solito in luoghi molto alti, che appaiono come montagne coperte di terra erbosa. Gli angeli del regno spirituale abitano in luoghi meno elevati, che appaiono come colline. Ma gli angeli che sono nelle parti più basse del Cielo abitano in luoghi che appaiono come rocce. Tutto questo ha un significato in base alle corrispondenze; per questo nella Scrittura le montagne significano l’amore celeste, le colline l’amore spirituale e le rocce la fede.
(189)
Ci sono anche degli angeli che non vivono consociati, ma isolati, casa per casa. Essi abitano al centro del Cielo perché sono i migliori tra gli angeli.
(190)
Le case in cui abitano gli angeli non sono costruite come quelle del mondo; esse sono donate gratuitamente dal Signore, a ciascuno secondo la ricezione del bene e del vero. Queste case cambiano anch’esse un po’ a seconda dello stato interiore degli angeli. Gli angeli dicono di aver ricevuto dal Signore tutto ciò che possiedono, e tutto ciò di cui hanno bisogno è loro donato gratuitamente.
(23)
LO SPAZIO IN CIELO
(191)
Sebbene tutto in Cielo appaia assolutamente come nel mondo, cioè delimitato e definito dallo spazio e dal luogo, pur tuttavia gli angeli non hanno alcuna nozione né alcuna idea del luogo e dello spazio. Dato che ciò sembrerà paradossale, spiegherò meglio questo argomento che è di grande importanza.
(192)
Tutti gli spostamenti nel mondo spirituale avvengono attraverso dei cambiamenti dello stato interiore, per cui gli spostamenti sono in realtà cambiamenti di stato. E in questo modo che sono stato condotto dal Signore nei Cieli e anche verso le terre che sono nell’universo. Questo è avvenuto nello spirito, mentre il corpo restava nello stesso luogo. Allo stesso modo si muovono gli angeli, per cui per loro non esistono distanze né spazi, ma solo stati e cambiamenti di stato.
(193)
Dato che gli spostamenti avvengono in questo modo, è evidente che gli avvicinamenti sono somiglianze dello stato interiore, e gli allontanamenti differenze. Ne deriva che coloro che sono in uno stato simile sono gli uni vicini agli altri, e coloro che sono in uno stato diverso sono lontani. Gli spazi in Cielo non sono che stati esterni che corrispondono a stati interni. E’ per questa ragione che i Cieli sono distinti tra di loro, al pari delle società di ogni Cielo e gli angeli nella loro società. Ne deriva anche che l’inferno è totalmente separato dai Cieli, perché si trova nello stato opposto.
(194)
E’ per questa stessa ragione che nel mondo spirituale uno si trova davanti a un altro se lo desidera intensamente: infatti lo vede col pensiero e si mette nel suo stato. Viceversa l’avversione fa sì che ci si mantenga lontani. Dato che ogni avversione deriva dalla differenza degli affetti e dei pensieri, ne risulta che molti che si trovano nello stesso luogo sono visibili gli uni agli altri finché sono d’accordo, ma non si vedono più dal momento in cui nutrono sentimenti opposti.
(195)
Quando un angelo si trasferisce da un luogo all’altro, sia nella sua città che nei giardini e nelle corti o anche al di fuori della sua società, arriva più o meno presto a seconda del suo desiderio. Il cammino, pur essendo lo stesso, si accorcia o si allunga secondo il desiderio; questa è una cosa che ho visto spesso e che mi ha sorpreso. E’ dunque evidente che la distanza, e di conseguenza gli spazi, dipendono assolutamente dagli stati interiori degli angeli. Così stando le cose, nella loro mente non può entrare il concetto e l’idea di spazio come lo intendiamo noi, sebbene presso di loro ci siano degli spazi come nel mondo.
(196)
Questo può essere capito riflettendo sui pensieri dell’uomo, i quali non hanno spazio in quanto le cose su cui l’uomo porta con intensità il suo pensiero gli sono come presenti. A maggior ragione ciò avviene negli angeli, perché in loro vista, pensiero, affetti sono una cosa sola, e gli oggetti vicini e lontani appaiono e variano secondo il loro stato interiore.
(197)
Anche nella Scrittura i luoghi e gli spazi e tutto ciò che in qualche modo dipende dallo spazio significano cose analoghe che appartengono allo stato. Questo vale per esempio per le distanze, il vicino e il lontano, il cammino, i viaggi, le campagne e i giardini, le città e le piazze, i movimenti, le misure di tutti i tipi, e una quantità innumerevole di altre cose, perché tutte queste cose derivano in qualche modo da spazio e tempo. Spiegherò solamente che cosa significano nella Scrittura lunghezza, larghezza e altezza. In tutto il mondo queste misure sono fatti spaziali; ma in Cielo, dove non si pensa in questi termini, con lunghezza si intende lo stato del bene, con larghezza lo stato del vero e con altezza la differenza di questi stati a seconda del grado (vedi il numero 38). Questo avviene perché la lunghezza va in Cielo da oriente a occidente, e là risiedono coloro che sono nel bene dell’amore; la larghezza in Cielo va da mezzogiorno a settentrione, e là risiedono coloro che sono nel vero secondo il bene; l’altezza in Cielo è l’uno e l’altro in base al grado. In Ezechiele, dal capitolo XL al capitolo XLVIII, sono descritti con misurazioni di lunghezza, larghezza e altezza il Nuovo Tempio e la Nuova Terra, con le stanze, le porte, le entrate, le finestre e le dipendenze, che rappresentano la Nuova Chiesa e i beni e le verità che essa racchiude. Altrimenti a che servirebbero tutte queste misure ? La Nuova Gerusalemme è parimenti descritta nell’Apocalisse con queste parole:
La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali (Apocalisse XXI, 16).
In questo passaggio la Nuova Gerusalemme significa la Nuova Chiesa e di conseguenza le sue misure rappresentano le cose che appartengono alla Chiesa. La lunghezza, il bene del suo amore; la larghezza, il vero che deriva dal bene; l’altezza, il bene e il vero secondo il grado; i dodicimila stadi sono tutto il bene e tutto il vero nel loro complesso. Altrimenti che cosa potrebbe significare un’altezza di dodicimila stadi uguale alla lunghezza e alla larghezza ?
Che nella Scrittura la larghezza significhi il vero, risulta evidente in Davide:
Tu Signore non mi hai consegnato nelle mani del nemico, hai guidato al largo i miei passi (Salmo XXX, 9)
Si veda anche Isaia VIII, 8 e Abacuc I, 6.
(198)
Da tutto questo si può vedere che in Cielo, sebbene ci siano degli spazi come nel mondo, nulla è valutato secondo gli spazi, ma tutto è considerato secondo gli stati. Di conseguenza gli spazi non possono essere misurati come nel mondo, ma sono visti soltanto secondo lo stato interiore.
(199)
La causa prima ed essenziale è che il Signore è presente in ognuno secondo l’amore e la fede, e tutte le cose appaiono vicine o lontane secondo la sua presenza, perché è in base a questa che sono determinate tutte le cose che esistono nei Cieli. Questa è anche l’origine della saggezza degli angeli, da cui deriva la vastità del loro pensiero, e allo stesso modo c’è comunicazione fra tutte le cose che sono nei Cieli. In una parola, è così che essi hanno la facoltà di pensare spiritualmente, e non naturalmente come gli uomini.
(24)
LA FORMA DEL CIELO
DETERMINA LE CONSOCIAZIONI
E LE COMUNICAZIONI
(200)
Dalle spiegazioni date negli articoli precedenti, si può in qualche modo vedere quale è la forma del Cielo. Per esempio, il Cielo è simile a se stesso nel tutto e nella parte; ogni società è il Cielo in una forma più piccola, e ogni angelo nella forma minima; tutto il Cielo rappresenta un uomo, e ogni società del Cielo rappresenta un uomo in forma più piccola, e ogni angelo nella forma minima. Al centro abitano coloro che sono più saggi, e tutto intorno fino ai confini coloro che sono meno saggi, e lo stesso vale per ogni società; da oriente a occidente del Cielo abitano coloro che sono nel bene dell’amore, e da mezzogiorno a settentrione coloro che sono nel vero che deriva dal bene, e lo stesso vale per ogni società. Da tutte queste cose si può capire qual è la forma del Cielo.
(201)
E’ importante sapere qual è la forma del Cielo perché tutti gli angeli sono stati consociati in base ad essa e ogni comunicazione avviene parimenti in base ad essa. Di conseguenza da questa dipende anche ogni pensiero e affetto, ogni intelligenza e saggezza degli angeli. Nella misura quindi in cui uno è nella forma del Cielo e rappresenta una forma del Cielo, altrettanto è saggio. Dire nella forma del Cielo o nell’ordine del Cielo, è la stessa cosa, poiché la forma di ogni cosa deriva dall’ordine e avviene secondo l’ordine.
(202)
Prima di tutto occorre dire che cosa significa essere nella forma del Cielo. L’uomo è stato creato a immagine del Cielo e a immagine del mondo; la sua interiorità ad immagine del Cielo, la sua esteriorità a immagine del mondo, come è stato detto al n. 57. Dire a immagine, o dire secondo la forma, è la stessa cosa. Ma dato che l’uomo a causa della sua carente volontà e dei suoi pensieri sbagliati ha distrutto in se stesso l’immagine del Cielo, e di conseguenza la forma del Cielo, ha messo al posto di questa l’immagine e la forma dell’inferno; ne risulta quindi che la sua interiorità è bloccata fin dalla nascita. Per questo motivo l’uomo, a differenza degli animali, nasce nella completa ignoranza. Per far sì che l’immagine o la forma del Cielo siano ristabilite in lui, bisogna che egli sia istruito nelle cose che appartengono all’ordine; infatti, come è stato detto sopra, la forma si comporta in base all’ordine. La Scrittura contiene tutte le leggi dell’ordine divino, perché le leggi dell’ordine divino sono i precetti insiti in esso. Se quindi l’uomo conosce questi precetti e vive in base ad essi, la sua interiorità è aperta; e l’ordine, o l’immagine, del Cielo si ricrea. Essere quindi nella forma del Cielo significa vivere secondo i precetti che sono nella Scrittura.
(203)
Certuni pensano che i pensieri e i sentimenti non provengano da fuori, ma si creino dentro di loro, in quanto li percepiscono in sé e non fuori di sé; però si sbagliano di molto. L’uomo pensa in questo modo perché non sa che esiste una luce che rischiara l’intelletto, e tuttavia senza questa luce è impossibile per l’uomo formulare alcun pensiero. E lo stesso vale anche per tutto ciò che egli può pensare e sentire, o in altre parole di ciò che può capire e volere.
(204)
Occorre sapere che per ciascuno l’intelligenza e la saggezza variano a seconda della comunicazione. Coloro la cui intelligenza è stata formata in base al vero e al bene, comunicano con le società in base alla forma del Cielo. Coloro la cui intelligenza e saggezza sono state formate non in base al vero e al bene, hanno una comunicazione interrotta e poco coerente. Coloro infine che non sono né nell’intelligenza né nella saggezza essendo essi nel male e nell’errore, comunicano con le società che si trovano all’inferno.
(205)
In Cielo tutti sono stati riuniti in base alle affinità spirituali che rientrano - a vari livelli- nel bene e nel vero. Questo avviene in tutto il Cielo, in ogni società, in ogni casa. E’ in base a questo che gli angeli che sono nello stesso bene e nella stessa verità si conoscono, come sulla terra si conoscono i consanguinei e gli alleati, e si conoscono come se fossero cresciuti insieme fin dall’infanzia. E’ grazie a questa conoscenza che si sono uniti e consociati.
(206)
Gli angeli del Cielo comunicano dunque in base ai loro pensieri e al loro sentire interiore. Esiste però un’altra comunicazione, quella dei Cieli tra di loro, cioè del terzo Cielo col secondo, e di entrambi con il primo. Tuttavia la comunicazione tra i Cieli deve essere chiamata non comunicazione ma influsso; e di questo tratteremo qui di seguito.
(207)
E’ la situazione dei Cieli tra di loro che fa sì che non ci sia comunicazione tra un Cielo e l’altro, ma influsso. Il terzo Cielo è in alto, il secondo è al di sotto di questo e il primo Cielo, o Cielo ultimo, è ancora più in basso. Tutte le società di ogni Cielo sono disposte in questo ordine; per esempio quelle che si trovano su luoghi elevati sembrano essere su delle montagne (n. 188); sulle loro cime abitano coloro che sono nel Cielo intimo, o terzo Cielo; al di sotto le società del secondo Cielo, o Cielo intermedio, e ancora al di sotto di queste le società dell’ultimo Cielo. Questo avviene ovunque, sia nei luoghi elevati che in quelli meno elevati. Una società di un Cielo superiore comunica con una società di un Cielo inferiore attraverso le corrispondenze (vedi n. 100); e la comunicazione attraverso le corrispondenze è ciò che viene chiamato influsso.
(208)
Un Cielo è congiunto a un altro Cielo, o una società di un Cielo con quella di un altro Cielo, attraverso il Signore che opera per mezzo dell’influsso, immediato o mediato; immediato direttamente attraverso il Signore, e mediato attraverso i Cieli superiori che influiscono sui Cieli inferiori.
(209)
Non esiste un influsso dei Cieli inferiori sui Cieli superiori, perché questo è contro l’ordine; esiste soltanto un influsso dei Cieli superiori sui Cieli inferiori. La saggezza degli angeli di un Cielo superiore supera quella degli angeli di un Cielo inferiore così come la miriade supera l’unità; ed è per questo che gli angeli di un Cielo inferiore non possono parlare con gli angeli di un Cielo superiore. Inoltre quando essi alzano lo sguardo verso questo Cielo, non vedono gli angeli, e il Cielo stesso appare loro coperto di nubi sopra la loro testa. Però gli angeli di un Cielo superiore possono vedere quelli che sono nel Cielo inferiore; tuttavia non possono parlare con loro, perché rischierebbero di perdere la loro saggezza. Come è stato detto sopra, la comunicazione avviene attraverso l’influsso del Signore.
(210)
I pensieri, i sentimenti e le conversazioni degli angeli del Cielo intimo, o terzo Cielo, non sono mai percepiti nel Cielo intermedio perché sono troppo trascendenti. Ma quando piace al Signore, essi appaiono nei Cieli inferiori come una fiamma. I pensieri, i sentimenti e le conversazioni del Cielo intermedio appaiono all’ultimo Cielo come qualcosa di luminoso, e talvolta come una nube di un bianco risplendente o di diversi colori. La forma, la salita e la discesa di questa nube consente di intuire fino a un certo punto l’oggetto dei pensieri e delle conversazioni.
(211)
In questo modo si può vedere qual è la forma del Cielo: nel Cielo intimo è la più perfetta, nel Cielo intermedio è perfetta, ma a un grado minore, e nell’ultimo Cielo lo è a un grado minore ancora. La forma di un Cielo dipende dalla forma dell’altro attraverso l’influsso che procede dal Signore. Non si può però capire cos’è la comunicazione attraverso l’influsso se non si conoscono i gradi di altezza, di larghezza e lunghezza (n. 38).
(212)
Neppure gli angeli possono comprendere la forma del Cielo nei particolari, e come essa è costituita e si diffonde. Se ne può però avere un’idea considerando la forma di tutte le cose che sono nel corpo umano, scrutate ed esaminate da un uomo saggio e perspicace. E’ stato mostrato nei capitoli precedenti che tutto il Cielo rappresenta un uomo e che tutte le cose che sono nell’uomo corrispondono ai Cieli. Si può vedere fino a che punto questa forma è incomprensibile e inspiegabile anche nelle linee generali considerando le fibre nervose che collegano tutte le parti del corpo. L’occhio non può vedere quali siano queste fibre, né come esse si diffondono nel cervello, perché esse sono innumerevoli e talmente complesse che nell’insieme si presentano come una massa molle e continua, mentre invece attraverso queste fibre tutto ciò che fa parte dell’intelletto e della volontà si trasforma e diviene atto. Chi, con occhio sapiente, esamina queste fibre e le altre meraviglie del corpo, ne sarà sorpreso. Tuttavia l’occhio non vede che una minima parte di tutto ciò, e ciò che non vede è più meraviglioso ancora. Tutto ciò che l’uomo pensa percorre queste fibre dall’inizio alla fine, e il risultato sono i sensi. Dato che questa forma è quella del pensiero e della volontà, è anche la forma dell’intelligenza e della saggezza. E’ questa forma che corrisponde a quella del Cielo. Ho dato questi particolari per far capire che la forma del Cielo è tale che non pub essere mai compresa, neppure nelle sue linee generali, ed è incomprensibile anche per gli angeli, come è stato detto precedentemente.
(25)
I GOVERNI NEL CIELO
(213)
Il fatto che il Cielo è diviso in società, le più grandi delle quali consistono di centinaia di migliaia di angeli, che sono tutti allo stesso livello di bontà ma non allo stesso livello di saggezza, fa sì che siano necessari dei governi. Infatti deve regnare l’ordine, e affinché l’ordine non venga a mancare bisogna sorvegliare. I governi dei Cieli sono però di tipo diverso. Nelle società che formano il regno celeste del Signore sono diversi da come sono in quelle che appartengono al regno spirituale del Signore. Essi differiscono anche secondo le funzioni che ogni società svolge. Nei Cieli però non esiste altra forma di governo che quella del reciproco amore, che è la forma celeste di governo.
(214)
Nel regno celeste del Signore il governo viene definito giustizia, perché tutti in questo regno sono nel bene dell’amore del Signore e perché tutto ciò che avviene per questo bene è giusto. Il governo in questo Cielo compete soltanto al Signore; egli guida gli angeli e insegna loro tutto quanto attiene alla vita. Le verità sono iscritte nel loro cuore. Ognuno le conosce, le percepisce e le vede. Gli angeli meno sapienti interrogano quelli più sapienti, e questi si rivolgono al Signore e ricevono risposte. Il loro Cielo, la loro più intima gioia consiste nel vivere nella giustizia del Signore.
(215)
Il governo nel regno spirituale del Signore viene chiamato il diritto, poiché coloro che si trovano in questo regno sono nel bene spirituale, cioè nel bene della carità verso il prossimo, e questo bene nella sua essenza è il vero, perché il vero appartiene al diritto e il bene alla giustizia. Costoro sono guidati dal Signore, ma per via mediata; hanno dei preposti a seconda dei bisogni della loro società e delle leggi in base alle quali devono vivere tra di loro. I preposti amministrano tutto secondo le leggi, le comprendono perché sono saggi e illuminati dal Signore nelle cose dubbiose.
(216)
Dato che il governo del regno celeste del Signore è chiamato giustizia, ed è il governo del bene, e il governo del regno spirituale, che è il governo del vero, è chiamato diritto, nella Scrittura si parla di giustizia e di diritto quando si tratta del Cielo e della Chiesa. Con giustizia si intende il bene celeste, e con diritto il bene spirituale, il quale nella sua essenza è verità, come nel passaggio seguente:
La pace non avrà fine sul regno di Davide e sul regno che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre (Isaia IX, 6).
Qui con Davide si intende il Signore e il suo regno è il Cielo, come si vede chiaramente anche nei passaggi seguenti:
Eccelso è il Signore poiché dimora lassù; egli riempie Sion di diritto e di giustizia (Isaia XXXIII, 5).
Susciterò a Davide un germoglio giusto che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra (Geremia XXIII, 5).
Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto (Osea II, 21).
Io sono il Signore che agisce con misericordia, con diritto e con giustizia sulla terra; di queste cose mi compiaccio (Geremia, IX, 23).
e altro ancora.
(217)
Nel regno spirituale del Signore il governo prende diverse forme, una per ogni società. La diversità deriva dal diverso servizio che le società svolgono. Le loro funzioni sono in rapporto alle funzioni di tutte le parti del corpo umano alle quali corrispondono, e che - come è noto - sono molto varie.
Il cuore infatti ha compiti diversi dai polmoni, dal fegato, dal pancreas e dalla milza, e lo stesso vale per i vari organi dei sensi. Come sono diverse le funzioni di queste parti del corpo, così lo sono le funzioni delle società nell’uomo immenso, cioè nel Cielo, perché le società corrispondono a queste parti. Vi è infatti corrispondenza fra tutte le cose del Cielo e tutte quelle dell’uomo (si veda dal n. 87 al 102).
Però tutte le forme di governo concordano nel considerare il bene di tutti come il loro fine e nel vedere in questo bene il bene di ciascuno. Questo avviene in quanto tutti gli angeli, in tutto il Cielo, sono sotto la protezione del Signore che li ama tutti, e che in base al divino amore stabilisce un ordine sì fatto che tutti ricevono il loro bene dal bene comune. Nella misura in cui uno ama la comunità, ama anche coloro che la compongono; e dato che questo amore appartiene al Signore, è altrettanto amato da Lui e ne riceve il bene.
(218)
Da quanto fin qui detto si può capire chi sono i preposti agli altri: sono coloro che più degli altri sono nell’amore e nella saggezza, coloro che vogliono il bene per tutti e che sono tanto saggi da far sì che questo bene avvenga. Coloro che sono così, non dominano né comandano, ma amministrano e servono, perché fare del bene agli altri in base all’amore è servire, e provvedere affinché questo bene si realizzi, è amministrare. Essi non vogliono mostrarsi più grandi degli altri, ma più piccoli, perché mettono al primo posto il bene della società e del prossimo, e il loro all’ultimo.
Comunque essi sono onorati e glorificati; abitano al centro della società in un luogo più elevato degli altri, in magnifici palazzi. Accettano questa gloria e questo onore non per se stessi, ma perché ci sia obbedienza; infatti sanno che questo onore e questa gloria vengono loro dal Signore e per questo devono essere obbediti. E’ questo infatti ciò che è inteso nelle parole del Signore ai suoi discepoli:
Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire (Matteo 20, 26-27-28).
Chi è più grande fra voi diventi come il più piccolo, e chi governa come colui che serve (Luca 22, 26)
(219)
Un governo analogo, ma in forma più piccola, esiste anche in ogni casa, dove c’è un padrone e dei servitori. Il padrone ama i servitori e costoro amano il padrone, e da ciò deriva che per amore essi si servono mutualmente. Il padrone insegna come si deve vivere e dice ciò che bisogna fare, i servitori obbediscono e adempiono alle loro funzioni. Per tutti, il piacere della vita consiste nel fare cose utili. E’ dunque evidente che il regno del Signore è il regno delle azioni utili.
(220)
Anche all’inferno ci sono dei governi, perché altrimenti non sarebbe governabile. Contrariamente però a quanto avviene nei governi dei Cieli, tutto avviene in base all’amore per se stessi. Là ognuno vuole comandare agli altri e avere la supremazia. Ognuno odia chi non gli è favorevole, si vendica contro di lui e lo tratta con crudeltà: questi sono gli effetti dell’egoismo. E’ per questo che i capi sono i più malvagi, e sono obbediti per paura. Ma di ciò tratteremo più ampiamente quando parleremo dell’inferno.
(26)
IL CULTO DIVINO IN CIELO
(221)
Il culto divino nei Cieli assomiglia al culto divino sulla terra dal punto di vista esteriore, ma ne differisce dal punto di vista interiore. Anche gli angeli hanno delle dottrine, delle predicazioni e dei templi; le dottrine sono simili nei dati essenziali, ma nei Cieli superiori possiedono una saggezza più profonda che nei Cieli inferiori. Le predicazioni sono conformi alle dottrine, e come gli angeli hanno case e palazzi per abitare, così hanno anche dei templi per predicare. Tali cose esistono in Cielo perché gli angeli vengono continuamente perfezionati in saggezza e amore. Come gli uomini, essi hanno un intelletto e una volontà. L’intelletto, per sua natura, può essere continuamente perfezionato attraverso il vero che appartiene all’intelligenza, e la volontà attraverso il bene che appartiene all’amore.
(222)
Tuttavia il culto divino nei Cieli non consiste nel frequentare i templi e ascoltare le prediche, ma nel vivere nell’amore, nella carità e nella fede secondo le dottrine. Le prediche nei templi sono soltanto dei mezzi per istruirsi nelle cose della vita. Io mi sono trattenuto su questo soggetto con gli angeli e ho detto loro che nel mondo si crede che il culto divino consista solamente nel frequentare i templi, ascoltare le prediche, partecipare tre o quattro volte l’anno al sacramento della Cena, osservare le altre cerimonie del culto secondo gli statuti della Chiesa, pregare e comportarsi devotamente. Gli angeli mi hanno risposto che queste sono cose esteriori che devono essere praticate, che però non producono alcun effetto se non procedono dall’intimo; e questo intimo è sostanzialmente una vita vissuta secondo i precetti insegnati dalla dottrina.
(223)
Per conoscere quali sono le loro assemblee nei templi, mi è stato accordato qualche volta di entrarvi e di sentire delle predicazioni. Il predicatore sta a Oriente, su un seggio; davanti a lui sono seduti coloro che più degli altri godono della luce della saggezza; vicino a loro, a destra e a sinistra, coloro che godono di una luce minore. Tutti sono disposti a semicerchio, così che il predicatore li abbia sotto gli occhi; infatti ai lati dove la sua vista non può giungere non c’è nessuno. Alla porta che si trova a Oriente del tempio, quindi a sinistra del seggio, stanno coloro che sono iniziati. Non è permesso a nessuno di stare dietro il seggio: se qualcuno si colloca lì, il predicatore rimane turbato. Lo stesso avviene se qualcuno nell’assemblea è di un sentimento opposto. Le predicazioni sono fatte con una tale saggezza che non possono in alcun modo essere paragonate a quelle del mondo, perché nei Cieli si vive nella luce interiore. I templi nel regno spirituale sembrano costruiti in pietra, perché la pietra corrisponde al vero nel quale si trovano gli angeli del regno spirituale, e in legno nel regno celeste perché il legno corrisponde al bene nel quale sono gli angeli del regno celeste. Gli edifici religiosi nel regno celeste non sono chiamati templi, ma case di Dio, e non sono ornati con magnificenza; nel regno spirituale invece sono maggiormente ornati.
(224)
Con un predicatore mi sono anche intrattenuto sul tema della santità di coloro che ascoltano le predicazioni nei templi. Egli mi disse che ognuno ha pietà, devozione e santità in base alla propria interiorità, all’amore e alla fede; costoro partecipano certamente della santità stessa, che è il divino del Signore. Mentre invece la santità esterna senza partecipazione interiore è qualcosa di artificiale e ipocrita che suscita un fuoco impuro proveniente dall’amore di sé e del mondo.
(225)
Tutti i predicatori appartengono al regno spirituale del Signore, non al regno celeste. Appartengono a questo regno perché gli angeli di questo regno sono nel vero che procede dal bene, ed è in base a questo che bisogna fare ogni predicazione. Nessun predicatore è del regno celeste perché gli angeli di questo regno sono nel bene dell’amore, vedono e comprendono il vero che procede dal bene, ma non sono in grado di parlarne. Sebbene gli angeli del regno celeste vedano e capiscano il vero, devono ascoltare delle prediche perché attraverso queste vengono perfezionati nelle verità che già conoscono e istruiti in quelle che ancora non conoscono. Sentendole illustrare, le riconoscono, le amano e imparano a vivere in base ad esse. Vivere secondo queste verità, significa amare Dio: questo è quanto essi dicono.
(226)
Tutti i predicatori sono indicati dal Signore e per questo hanno il dono della predicazione; soltanto loro hanno il permesso di insegnare nei templi. (Sono chiamati predicatori e non preti perché il sacerdozio del Cielo è il regno celeste, in quanto sacerdozio significa il bene dell’amore verso il Signore).
(227)
Le dottrine in base alle quali vengono fatte le prediche insegnano tutte che la vita è lo scopo finale, e nessuna insegna la fede senza la vita. Le dottrine del Cielo intimo sono più dense e sagge di quelle del Cielo intermedio, e quelle del Cielo intermedio sono più sagge delle dottrine dell’ultimo Cielo; infatti le dottrine sono adeguate alla percezione degli angeli in ciascun Cielo. L’aspetto essenziale di tutte le dottrine è riconoscere la Divina Umanità del Signore.
(27)
IL POTERE DEGLI ANGELI DEL CIELO
(228)
Coloro che non hanno alcuna conoscenza del mondo spirituale e del suo influsso sul mondo naturale, non possono concepire il fatto che gli angeli abbiano un potere. Pensano che gli angeli siano spirituali e siano talmente puri ed eterei da non poter nemmeno essere visti con gli occhi. Però coloro che esaminano le cause delle cose più profondamente, pensano in maniera diversa; essi sanno che tutto il potere dell’uomo deriva dal suo intelletto e dalla sua volontà, perché senza l’uno e l’altro non può neppure muovere un dito. L’intelletto e la volontà costituiscono l’uomo spirituale, il quale mette in azione il corpo e le membra a suo piacimento: infatti la bocca e la lingua pronunciano quello che egli pensa e il corpo esegue quello che egli vuole. La volontà e l’intelletto dell’uomo sono governati dal Signore per mezzo degli angeli e degli spiriti, e lo stesso avviene di tutte le parti del corpo, perché esse dipendono da quelli. Se volete crederlo, l’uomo non può fare neppure un passo senza l’influsso del Cielo. Questo mi è stato mostrato da numerose esperienze: è stato dato agli angeli di dirigere i miei passi, le mie azioni, la mia lingua e le mie parole, influendo nella mia volontà e nel mio pensiero; e io mi sono reso conto che da solo non potevo far nulla. In seguito mi è stato detto che ogni uomo è diretto in questo modo, e può saperlo in base alla dottrina della Chiesa e alla Scrittura, in quanto egli prega Dio di inviare i suoi angeli a guidarlo, per dirigere i suoi passi, istruirlo e ispirarlo nei suoi pensieri e nelle sue parole; e quando parla e crede in modo diverso, ciò avviene perché pensa solo, senza la dottrina celeste. Queste cose mi sono state dette affinché si sappia qual è la potenza degli angeli presso l’uomo.
(229)
Non mi si crederebbe se raccontassi tutto quello che ho visto della grande potenza degli angeli nel mondo spirituale. Là, se qualche cosa va respinta perché è contraria all’ordine divino, essi la rovesciano e la distruggono soltanto con un atto di volontà e con lo sguardo. Ho visto migliaia di spiriti malvagi gettati all’inferno dagli angeli. Contro di loro non c’è nulla che resista, né le folle, né artifici di alcun genere, né l’astuzia o la ribellione. Ho visto distruggere montagne invase da moltitudini di spiriti malvagi. Gli angeli vedono tutto e dissipano ogni cosa in un istante. Il Vangelo ci dice che gli angeli hanno potere anche nel mondo naturale, quando questo potere è loro accordato. Si legge infatti che hanno mandato a morte intere armate e che un solo angelo diffuse la peste e fece morire settantamila uomini. Di questo angelo vien detto anche:
E quando l’angelo ebbe stesa la mano su Gerusalemme per distruggerla, il Signore si pentì di quel male e disse all’angelo che distruggeva il popolo: Basta, ritira ora la tua mano !... E Davide vide l’angelo che colpiva il popolo (II Samuele, 24, 15-16-17).
(230)
Bisogna comunque sapere che gli angeli non hanno assolutamente alcun potere per se stessi, ma ogni potere viene loro dal Signore, e non hanno potere finché non riconoscono questo stato di cose. Se uno di loro crede di avere potere per se stesso, diviene subito così debole da non essere più in grado di opporsi neppure a uno spirito malvagio. Di conseguenza gli angeli non si attribuiscono alcun merito, detestano le lodi e la gloria derivanti da una qualunque azione e attribuiscono ogni lode e gloria al Signore.
(231)
Nella misura in cui sono ricettacoli delle divine verità che procedono dal Signore, gli angeli sono potenti. Dato che due angeli non sono mai in un bene uguale o simile, o in un vero uguale o simile poiché nel Cielo come nel mondo c’è una perpetua varietà, ne risulta che non hanno mai il medesimo potere.
(232)
Mi è stata mostrata la grandezza del potere che gli angeli possiedono in base al vero che procede dal bene: quando uno spirito malvagio è guardato dagli angeli, cade privo di sensi e tale rimane finché l’angelo non distoglie lo sguardo. Lo sguardo degli angeli produce un tale effetto perché la vista degli angeli deriva dalla luce del Cielo che è la divina verità. Gli occhi corrispondono poi al vero che deriva dal bene.
(233)
Dato che ogni potere appartiene al vero che deriva dal bene, ne risulta che il falso che procede dal male non ha alcun potere. Nell’inferno tutti sono nel falso che procede dal male, e non hanno alcun potere contro il vero e il bene. In seguito sarà spiegato qual è il potere tra di loro e qual è il potere degli spiriti malvagi prima di venir gettati all’inferno.
(28)
IL LINGUAGGIO DEGLI ANGELI
(234)
Gli angeli tra di loro parlano in tutto e per tutto come gli uomini nel mondo e si intrattengono su soggetti diversi: domestici, civili, morali e spirituali. La sola differenza è che essi parlano con maggiore intelligenza degli uomini, perché parlano con più profondità, in base al pensiero. Mi è stato sovente concesso di essere in loro compagnia e di parlare come tra amici e a volte anche come tra sconosciuti. E dato che in quei momenti mi trovavo nella loro stessa condizione, avevo la certezza di parlare con uomini della terra.
(235)
Il linguaggio angelico è fatto di parole come quello umano, e ha caratteristiche sonore in quanto gli angeli hanno una bocca, una lingua e delle orecchie. Hanno anche un’atmosfera nella quale viene articolato il suono della loro lingua, ma questa atmosfera è spirituale e adatta agli angeli che sono spirituali. Gli angeli respirano nella loro atmosfera, e grazie alla respirazione producono delle parole, come gli uomini nella loro atmosfera.
(236)
In tutto il Cielo c’è un’unica lingua per tutti. Tutti si capiscono, a qualunque società appartengano, vicina o lontana. La lingua non viene appresa, è innata in ognuno perché deriva direttamente dal loro amore e dal loro pensiero. Il suono della lingua corrisponde al loro affetto e le articolazioni del suono, che sono le parole, corrispondono alle idee del pensiero che proviene da tale affetto. Senza affetto non esiste pensiero o idea. Gli angeli si riconoscono tra loro dal linguaggio: dal suono, che corrisponde all’affetto, dalle articolazioni del suono o dalle parole che corrispondono al mentale. Gli angeli che possiedono una maggiore saggezza, sanno dopo una sola frase qual è l’affetto dominante: gioia o dolore, clemenza o misericordia, sincerità e verità, collera, falsità e furberia, desiderio di onore e gloria, e così via. Dal linguaggio essi individuano tutta intera la personalità di colui che parla. Mi è stato concesso di saper questo in base a un gran numero di esperienze: ho sentito gli angeli svelare la vita di un altro soltanto sentendolo parlare. Mi hanno anche detto di saper tutto ciò che si riferisce alla vita di un altro in base a qualche idea del suo pensiero che rivela il suo amore dominante, il quale a sua volta cela in sé ogni cosa. Mi hanno detto anche che il «libro della vita» dell’uomo è essenzialmente questo.
(237)
Il linguaggio angelico non ha niente in comune con le lingue umane ad eccezione di alcune parole il cui suono esprime un determinato sentimento. In realtà la somiglianza non consiste nelle parole in se stesse, ma nella loro intonazione. Di questo dirò di più successivamente. La mancanza di somiglianza tra la lingua degli angeli e quella degli uomini si rivela anche dal fatto che per gli angeli è impossibile pronunciare anche una sola parola di una lingua umana. Essi infatti possono esprimere soltanto ciò che corrisponde in pieno al loro affetto. Ciò che non corrisponde, risulta per loro ripugnante e non esprimibile. Mi è stato detto che la prima lingua degli uomini sulla terra era analoga alla lingua degli angeli, perché veniva dal Cielo, e che la lingua degli Ebrei aveva con essa qualche somiglianza.
(238)
Si può ben capire fino a che punto la lingua degli angeli sia elegante e gradevole considerando che essa corrisponde ai loro affetti che derivano dall’amore, e l’amore del Cielo è l’amore per il Signore e l’amore verso il prossimo. Questa lingua penetra non soltanto nelle orecchie, ma anche nella mente di coloro che l’ascoltano. Un angelo una volta parlava a uno spirito che aveva il cuore duro e che fu alla fine talmente commosso dalle sue parole che si sciolse in lacrime dicendo che non poteva resistere, perché era l’amore stesso che parlava. Prima di quel momento non aveva pianto mai.
(239)
Il linguaggio degli angeli è così pieno di saggezza perché procede dal loro pensiero interiore che è saggezza, così come la loro affezione interiore è amore; il loro amore e la loro saggezza si congiungono nel loro linguaggio, che è così perfetto che una sola parola può esprimere quello che l’uomo non riesce a esprimere con mille. Inoltre le idee formulate dal loro intelletto abbracciano cose che l’uomo non riesce a cogliere e che di conseguenza non può esprimere. Per questo le cose che sono state udite e viste in Cielo sono definite ineffabili, e sono tali che nessun orecchio umano ha mai udito e nessun occhio ha mai visto. Io ho avuto modo di rendermene conto per esperienza diretta. Infatti, temporaneamente, sono stato trasportato dove vivono gli angeli e mi sono intrattenuto con loro comprendendo ogni cosa. Quando però sono stato riportato nel mio stato precedente, e di conseguenza nel pensiero naturale proprio dell’uomo, non riuscivo ad esprimere ciò che avevo udito perché un’infinità di cose non aveva alcun rapporto con le idee del pensiero naturale, e non poteva essere espressa che attraverso variazioni della luce del Cielo e non con le parole umane. Le idee e i pensieri degli angeli, da cui derivano le loro parole, sono modificazioni della luce del Cielo, e i loro affetti da cui risultano i suoni delle parole sono variazioni del calore del Cielo, perché la luce del Cielo è la divina verità o saggezza, e il calore del Cielo è il divino bene o l’amore. Gli angeli ricevono il loro affetto dal divino amore e il loro pensiero dalla divina saggezza.
(240)
Gli angeli possono esprimere in un minuto ciò che gli uomini non possono esprimere in mezz’ora, e possono inoltre rappresentare con poche parole ciò che è stato scritto in molte pagine. Di questo ho avuto più volte esperienza diretta. Il linguaggio degli angeli è come un’onda leggera o un’atmosfera che si diffonde da ogni lato. In questa onda sono comprese innumerevoli cose che entrano nel pensiero altrui e lo influenzano.
(241)
Gli angeli del regno celeste del Signore parlano allo stesso modo di quelli del regno spirituale, ma in base a un pensiero più intimo e profondo. Gli angeli celesti, essendo nel bene dell’amore verso il Signore, si esprimono in base alla saggezza; gli angeli spirituali, essendo nel bene della carità verso il prossimo, si esprimono in base all’intelligenza. Di conseguenza il linguaggio degli angeli celesti è come un fiume calmo, dolce e continuo, mentre il linguaggio degli angeli spirituali è più vibrato e discontinuo. Il linguaggio angelico è più simile alla musica che al linguaggio umano; ed è per questo che l’arte musicale eccelle nell’esprimere i più diversi tipi di affetti.
(242)
Nel linguaggio angelico si riscontra un’indescrivibile armonia, che deriva dal fatto che i pensieri e gli affetti di cui è costituito il linguaggio si diffondono e si esprimono secondo la forma del Cielo e in base alle diverse società angeliche.
(243)
Un linguaggio simile a quello che esiste nel mondo spirituale è connaturato anche all’uomo, nella sua parte intellettuale interiore; l’uomo tuttavia lo ignora perché questo linguaggio non corrisponde presso di lui ad affetti e pensieri analoghi a quelli degli angeli. A causa di ciò tuttavia, quando l’uomo passa all’altra vita, possiede lo stesso linguaggio degli spiriti e degli angeli, e lo parla senza che nessuno glielo insegni. Ne tratteremo più ampiamente in seguito.
(244)
Il linguaggio in Cielo è lo stesso per tutti, però esistono delle variazioni. Il linguaggio dei saggi è più interiore e più ricolmo di variazioni affettive e di idee; il linguaggio di coloro che sono meno saggi è più esteriore e meno colmo di affetti e idee; e quello dei semplici è ancora più esteriore e formato di parole di cui bisogna capire il senso come avviene tra gli uomini che parlano tra di loro. Esiste anche un linguaggio espressivo, tramite i lineamenti del volto, e un linguaggio fatto di gesti.
(245)
Il linguaggio degli spiriti malvagi e degli spiriti infernali è naturale anche per loro perché proviene dalle affezioni, però queste affezioni sono malvage e fatte di idee impure, che gli angeli aborriscono; di conseguenza il linguaggio dell’inferno è opposto a quello del Cielo. I malvagi non sopportano il linguaggio angelico, e gli angeli non sopportano quello infernale che per loro è come un cattivo odore che disturba le narici. Gli ipocriti che fingono di essere angeli di luce hanno un linguaggio simile a quello degli angeli quanto alle parole, ma del tutto diverso quanto agli affetti e alle idee. Quando il loro linguaggio è percepito nel suo significato interiore dagli angeli saggi, fa l’effetto di un digrignare di denti e ispira orrore.
(29)
IL LINGUAGGIO DEGLI ANGELI CON L’UOMO
(246)
Gli angeli che parlano con l’uomo non usano la loro lingua ma quella dell’uomo; l’angelo infatti, quando parla all’uomo, si rivolge a lui, e a lui si congiunge col pensiero, al punto che entra nella sua memoria e quindi anche nel suo modo di esprimersi. La sua unione con l’uomo avviene secondo un pensiero spirituale, che influisce su quello naturale; essendo questo aderente alla memoria, ne risulta che il linguaggio umano diviene proprio anche degli angeli. Lo stesso avviene di tutte le conoscenze dell’uomo: infatti è piaciuto al Signore che avvenisse questa completa unione quando gli angeli si rivolgono agli uomini.
(247)
Gli angeli e gli spiriti si uniscono così intimamente agli uomini che sono convinti che tutto ciò che appartiene all’uomo appartiene a loro; questo avviene perché nell’uomo tra il mondo spirituale il mondo naturale esiste un’unione tale che essi costituiscono una cosa sola. Essendosi l’uomo separato dal Cielo, il Signore ha provveduto a far sì che presso di lui ci siano angeli e spiriti e che grazie alla loro intermediazione l’uomo sia diretto dal Signore; è questa la ragione di una unione così stretta. Diverso sarebbe stato se l’uomo non si fosse separato dal Cielo, perché allora avrebbe potuto essere governato dall’influsso diretto che procede dal Signore, senza angeli e spiriti uniti a lui. Nei capitoli che trattano del mondo degli spiriti vedremo qual è la differenza tra spiriti e angeli.
(248)
Il linguaggio degli angeli o degli spiriti con l’uomo è sentito in maniera sonora come il linguaggio dell’uomo con l’uomo; però è sentito soltanto dall’uomo e non da coloro che sono presenti, perché prima influisce sul pensiero dell’uomo e poi, attraverso il cammino interiore, sul suo organo dell’udito. Invece il linguaggio dell’uomo con l’uomo influisce prima nell’aria e per un cammino esterno arriva all’organo dell’udito. Io stesso ho potuto sperimentare che il linguaggio degli angeli e degli spiriti arriva all’orecchio per una via interiore.
(249)
Oggi è dato raramente di parlare con gli spiriti, perché ciò è pericoloso: gli spiriti malvagi hanno per l’uomo un odio mortale e desiderano ardentemente perderlo nell’anima e nel corpo. Ma di questo tratteremo più diffusamente in seguito.
(250)
Soltanto coloro che sono nel vero che procede dal bene possono parlare con gli angeli del Cielo; e in particolare è concesso a coloro che riconoscono il Signore nella sua divina umanità. Possono parlare con gli angeli del Cielo soltanto coloro che sono aperti interiormente dalla divina verità; il che è possibile in quanto l’uomo è interiormente fatto a immagine del Cielo ed esteriormente a immagine del mondo. L’uomo esteriore è aperto alla divina verità che procede dal Signore.
(251)
L’influsso del Signore stesso presso l’uomo è nella fronte e di lì in tutto il volto, perché la fronte dell’uomo corrisponde all’amore e il volto corrisponde a tutta la sua interiorità. L’influsso degli angeli spirituali presso l’uomo è nella testa, nella parte compresa tra la fronte e le tempie, dove si colloca il cervello, perché questa regione della testa corrisponde all’intelligenza. L’influsso degli angeli celesti è in quella parte della testa dove è il cervelletto, detto occipite, perché questa regione corrisponde alla saggezza. Il linguaggio degli angeli penetra per queste vie nel pensiero dell’uomo: è così che io ho percepito quali erano gli angeli che parlavano.
(252)
Coloro che parlano con gli angeli del Cielo vedono anche le cose che sono nel Cielo, perché vedono grazie alla luce del Cielo nella quale si trova la loro interiorità; anche gli angeli vedono le cose della terra attraverso gli uomini. Per loro il Cielo è unito al mondo e il mondo al Cielo. I nostri più lontani antenati ebbero una tale unione con gli angeli del Cielo che i loro tempi furono chiamati Età dell’Oro. Quegli uomini riconoscevano il divino così che il Cielo e il mondo erano una cosa sola e gli uomini e gli angeli si parlavano reciprocamente. Dopo quel tempo però l’uomo si allontanò sempre più dal Cielo e cominciò ad amare se stesso più del Signore e il mondo più del Cielo. Cominciò a sentire che i piaceri derivanti dall’amore per se stesso e del mondo erano separati dai piaceri del Cielo, e infine la separazione fu tale che egli non conobbe più i piaceri del Cielo. Si chiuse allora la porta interiore verso il Cielo e si aprì quella esteriore verso il mondo. Quando capita questo, l’uomo è nella luce per quello che riguarda il mondo, e nelle tenebre per quello che riguarda il Cielo.
(253)
Da quel tempo, l’uomo ha parlato raramente con gli angeli del Cielo, qualcuno però ha parlato con gli spiriti che non sono nel Cielo. L’uomo tuttavia può elevarsi grazie al Signore, rivolgendosi verso l’amore che opera attraverso il vero in base alla Scrittura.
(254)
Mi è stato mostrato in che maniera il Signore ha parlato ai profeti che hanno trasmesso la Scrittura. Egli non ha parlato loro come gli antichi, cioè attraverso un influsso interiore, ma attraverso l’intermediazione di spiriti che furono inviati a loro, spiriti ai quali il Signore faceva assumere il proprio aspetto e ai quali ispirava le parole che essi dettavano ai profeti: era quindi un dettato, e non un influsso. Dato che le parole provenivano direttamente dal Signore, ogni parola era piena di spirito divino e conteneva un senso interiore percepito dagli angeli, e un senso naturale percepito dagli uomini. In questo modo il Signore ha unito attraverso la Scrittura il Cielo e il mondo. Mi è stato mostrato come il Signore colma di divino gli spiriti: uno spirito così colmato dal Signore sa soltanto di essere lui stesso il Signore e sa che quello che pronuncia è il divino. Solo in seguito si rende conto di essere uno spirito e di aver parlato per il Signore e non per se stesso. Gli spiriti che hanno parlato ai profeti, essendosi trovati in questo stato, dicono nella Scrittura che Jehowa ha parlato, e hanno chiamato se stessi Jehowa. Lo si può constatare nei libri profetici e storici della Scrittura.
(255)
Per spiegare l’unione degli angeli e degli spiriti con l’uomo, mi è stato permesso di riportare alcuni fatti degni di nota: quando gli spiriti e gli angeli si volgono verso un uomo, parlano la lingua dell’uomo e non la loro, che non ricordano affatto. Ma dal momento in cui si allontanano; dall’uomo, ritrovano la loro lingua spirituale e angelica e non ne conoscono altra. Lo stesso è capitato a me: quando mi trovavo in società con gli angeli e in uno stato simile a loro, parlavo la loro lingua e non avevo alcun ricordo della mia; ma dal momento in cui ho smesso di essere in loro compagnia, sapevo di nuovo la mia lingua. Gli angeli e gli spiriti che si volgono a un uomo possono parlargli da qualunque distanza. Sia da lontano che da’ vicino essi mi hanno parlato in maniera sonora. Quando essi distolgono la loro attenzione dall’uomo e parlano tra di loro, l’uomo non sente assolutamente niente di quello che dicono, anche se la loro conversazione ha luogo vicinissimo a lui; e questo mi ha mostrato che nel mondo spirituale l’unione dipende dalla direzione verso la quale intimamente ci si rivolge.
(256)
Non è permesso agli angeli e agli spiriti di parlare a un uomo in base alla propria memoria, ma solo in base alla memoria dell’uomo: infatti gli angeli e gli spiriti hanno una memoria, come l’ha l’uomo. Se uno spirito parlasse all’uomo in base alla propria memoria, l’uomo considererebbe suoi i pensieri che il dialogo susciterebbe in lui e che invece appartengono allo spirito; avrebbe come il ricordo di una cosa che l’uomo invece non ha mai sentito o visto. Per esperienza mi è stato concesso di sapere che le cose stanno proprio così. In base a questo, alcuni ne hanno concluso che quei ricordi appartenevano alle loro vite precedenti o addirittura che erano rinati. Infatti avevano avuto come il ricordo di cose che in realtà non avevano mai visto o sentito, in quanto erano stati gli spiriti che, in base alla propria memoria, avevano influito sulle idee e i pensieri di questi uomini.
(257)
Esistono anche spiriti detti naturali e corporali, che quando si avvicinano all’uomo non si uniscono al suo pensiero come gli altri spiriti, ma entrano nel suo corpo, si impadroniscono di tutti i suoi sensi, parlano per bocca sua e agiscono attraverso le sue membra, ritenendo che tutto ciò che appartiene all’uomo appartiene a loro. Questi sono gli spiriti che possiedono l’uomo; essi vengono precipitati all’inferno dal Signore e allontanati, così che attualmente questi casi di possessione sono piuttosto rari.
(30)
LE SCRITTURE NEL CIELO
(258)
Dato che gli angeli hanno un linguaggio fatto di parole, hanno di conseguenza delle scritture attraverso le quali esprimono i loro sentimenti. Più volte ho visto dei fogli coperti di scrittura, in tutto simili a quelli terreni, scritti a mano o stampati; ho potuto anche leggerli, ma ho avuto il permesso di ricavarne soltanto uno o due pensieri, perché l’ordine divino prevede che noi riceviamo la nostra istruzione dalla Scrittura, e non da altri testi. Solo attraverso la Scrittura avviene la comunione e l’unione del Cielo col mondo e del Signore con l’uomo. In Ezechiele leggiamo che dei fogli scritti in Cielo sono apparsi anche ai profeti:
Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all’interno e all’esterno (Ezechiele 2, 9-10).
E in Giovarmi:
E vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli (Apocalisse 2, 1).
(259)
E’ a motivo della Scrittura che il Signore ha previsto che in Cielo ci siano gli scritti. Nella sua essenza la Scrittura è la divina verità da cui procede tutta la saggezza celeste sia presso gli uomini che presso di lui, in quanto è stata dettata dal Signore, e ciò che è dettato dal Signore attraversa tutti i Cieli e giunge fino all’uomo. Di conseguenza la Scrittura è stata adattata alla saggezza degli angeli e all’intelligenza degli uomini. Ne consegue che anche gli angeli hanno la Scrittura e la leggono come gli uomini; da essa ricavano le loro dottrine e in base ad essa nei Cieli vengono fatte anche le prediche: è la stessa nostra Scrittura. Tuttavia il suo senso naturale e letterale è per noi, mentre gli angeli hanno il senso spirituale, o interiore.
(260)
Un giorno mi fu inviato dal cielo un foglietto sul quale erano state scritte soltanto alcune parole in lettere ebraiche. Mi fu detto che ogni lettera racchiudeva segreti di saggezza e che questi segreti erano celati nelle inflessioni e nelle curvature delle lettere e quindi anche nei suoni. Compresi chiaramente il significato di queste parole del Signore:
In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto (Matteo 5, 18).
- Nella Scrittura infatti cose divine e segrete si celano anche nelle più piccole lettere, negli accenti e nella punteggiatura.
(261)
Nelle scritture che esistono in Cielo si trovano gli arcani che non possono essere espressi col pensiero. Le scritture dei Cieli interiori sono invece simili a quelle del mondo; tuttavia non sono intelleggibili per l’uomo perché sono scritte nella lingua angelica, che non ha niente in comune con le lingue umane. In effetti, con le vocali gli angeli dei Cieli inferiori esprimono le affezioni; con le consonanti le idee e con le parole che ne risultano il senso delle cose. Le scritture che mi sono state mostrate racchiudono in poche parole più cose di quante l’uomo ne possa descrivere in molte pagine. La Scrittura è scritta in questa maniera per gli angeli dei Cieli inferiori, mentre nel Cielo intimo è scritta per mezzo di forme angeliche.
(262)
Va notato che gli scritti nei Cieli derivano naturalmente dai pensieri stessi degli angeli con tanta facilità che sembrano formarsi da soli. La mano non esita nella scelta delle parole, perché le parole che pronunciano come quelle che scrivono corrispondono alle idee che scaturiscono dalla loro mente, e questa corrispondenza è naturale e spontanea.
(263)
Ho visto certi scritti del Cielo composti soltanto di numeri sistemati in ordine e per serie, alla stessa maniera degli scritti formati da lettere e parole. Sono stato informato che questa scrittura proviene dal Cielo intimo e che la scrittura celeste di cui ho parlato ai numeri 260 e 261 assume la forma di numeri per gli angeli del Cielo inferiore. Anche questa scrittura numerale racchiude degli arcani, alcuni dei quali non possono essere colti col pensiero né espressi con le parole. I numeri in effetti, al pari delle parole, hanno un significato in base alla corrispondenza; con questa differenza però, che i numeri nascondono concetti generali e le parole concetti particolari. Dato che un unico concetto generale racchiude innumerevoli concetti particolari, ne deriva che la scrittura numerale racchiude molti più segreti di quella letterale.
(264)
Coloro che non hanno alcuna conoscenza del Cielo e lo vedono come qualcosa di puramente atmosferico dove gli angeli volteggiano come esseri eterei, privi della vista e dell’udito, non possono concepire che esista un linguaggio e una scrittura. Essi in effetti collocano soltanto nel mondo materiale l’esistenza di tutte le cose, mentre invece le cose nel Cielo esistono e sono reali esattamente come quelle del mondo; e in Cielo gli angeli hanno tutto ciò che è utile alla loro vita e alla loro saggezza.
(31)
LA SAGGEZZA DEGLI ANGELI DEL CIELO
(265)
E’ difficile capire qual è la saggezza degli angeli del Cielo, perché essa è infinitamente più elevata di quella degli uomini, al punto che non c’è paragone possibile; infatti ciò che è trascendente sembra inesistente a noi uomini. Per descriverla bisogna far riferimento a cose sconosciute, che in quanto tali sono per noi come ombre che nascondono tutte le cose. Tuttavia queste cose possono essere sapute e comprese, a condizione che l’anima ne ricavi gioia; infatti la gioia deriva dall’amore e porta alla luce. Questa luce risplende dal Cielo per coloro che amano le cose divine e la celeste saggezza, e porta all’illuminazione.
(266)
Si può capire qual è la saggezza degli angeli considerando che essi sono nella luce del Cielo, che nella sua essenza è divina verità e divina saggezza. Essa rischiara al tempo stesso la loro vista interiore, che è quella mentale, e la loro vista esteriore, che è quella degli occhi. Gli angeli sono anche nel calore celeste, che nella sua essenza è divino bene o divino amore, e da questo deriva loro l’affetto e il desiderio di essere saggi. I pensieri degli angeli non sono diretti alle cose terrene e materiali, né intrisi di inquietudini come lo sono i pensieri umani a causa delle necessità della vita; non sono dunque distolti dai piaceri della saggezza come avviene agli uomini. Tutto ciò che serve è dato gratuitamente agli angeli dal Signore, essi sono vestiti, nutriti e alloggiati gratuitamente. In più essi sono gratificati di piaceri e gioie a seconda della ricezione individuale della saggezza divina. Ho scritto queste cose affinché si sappia da dove gli angeli traggono una così grande saggezza.
(267)
Gli angeli possono ricevere una così grande saggezza perché la loro interiorità è stata aperta. Naturalmente ci sono tre gradi di saggezza, in rapporto ai tre diversi Cieli; ne risulta che la saggezza degli angeli del Cielo intimo supera quella degli angeli del Cielo intermedio, e questa quella degli angeli del Cielo ultimo. Tuttavia la saggezza degli angeli dell’ultimo Cielo supera di gran lunga quella dell’uomo, perché l’uomo è legato alla corporeità e alla sensualità del corpo. Gli uomini che pensano e agiscono unicamente in base alla sensualità del corpo, non possiedono alcuna saggezza, ma soltanto un po’ di scienza. Molto diverse sono le cose per quegli uomini i cui pensieri sono stati elevati al di sopra della sensualità, e a maggior ragione per coloro la cui interiorità è aperta alla luce del Cielo.
(268)
La comunione di tutte le cose nei Cieli consente di capire quanto è grande la saggezza degli angeli. Essendo il Cielo una comunione di tutti i beni, l’intelligenza e la saggezza dell’uno sono comunicati all’altro, perché l’amore celeste è tale che ognuno desidera che ciò che possiede sia dato anche all’altro. Infatti nessuno in Cielo concepisce il bene per sé, ma soltanto in rapporto agli altri; ne deriva la felicità del Cielo, che deriva dal divino amore del Signore.
(269)
La saggezza degli angeli non può essere descritta con le parole, ma soltanto illustrata con qualche esempio. Gli angeli possono esprimere con una sola parola quello che gli uomini non possono esprimere in mille parole; inoltre in una sola parola angelica sono celate innumerevoli cose che non possono essere espresse dalle parole di una lingua umana. In ciascuna delle parole pronunciate dagli angeli c’è un concatenamento continuo di segreti di saggezza, cui le scienze umane non avranno mai accesso. Inoltre ciò che gli angeli non possono esprimere con le parole della loro lingua, lo esprimono coi suoni che contengono le affezioni delle cose. Gli angeli possono esprimere in poche parole le cose scritte in un volume; e gli angeli del Cielo capiscono da poche parole la vita intera di colui che parla. Si vede bene dunque che la saggezza degli angeli sta alla saggezza umana come una miriade sta a uno; o come i mille e mille dettagli di un oggetto visto al microscopio stanno all’insieme, che a occhio nudo sembra oscuro. angelo-luce.it
(270)
Dirò ora qualcosa della saggezza degli angeli del terzo Cielo, o Cielo intimo, e mostrerò di quanto essa supera quella degli angeli del primo Cielo. La saggezza degli angeli del terzo Cielo è incomprensibile anche per gli angeli del primo Cielo, in quanto l’interiorità degli angeli del terzo Cielo è stata aperta al terzo grado, mentre quella degli angeli del primo Cielo è stata aperta al primo grado. Di conseguenza le divine verità sono come impresse nell’intimo degli angeli del terzo Cielo. Gli angeli stessi mi hanno detto che la saggezza degli angeli del terzo Cielo e quella degli angeli del primo Cielo sono diverse come la luce è diversa dal buio. Essi hanno paragonato la saggezza degli angeli del terzo Cielo a un magnifico palazzo pieno di tutto ciò che serve e collocato al centro del paradiso, con oggetti magnifici di ogni genere. Questi angeli, essendo nella verità della saggezza, possono entrare nel palazzo e vedere ogni cosa, passeggiare in ogni parte del paradiso e godere di tutto ciò che vi si trova. Chi invece non partecipa di una tale saggezza, non può neppure avvicinarsi all’entrata del palazzo della saggezza, e ancor meno entrarvi e passeggiare nel paradiso. Invece coloro che sono nel vero possono avanzare senza limite, vedere ogni cosa e percorrere spazi sconfinati. Mi è stato detto anche che la saggezza degli angeli del Cielo intimo consiste principalmente nel vedere gli aspetti divini e celesti di ogni cosa, nel percepire l’interiorità di ogni oggetto e le sue corrispondenze.
(271)
Gli angeli del terzo Cielo sono tali perché sono interamente immersi nell’amore per il Signore; essi sono continuamente perfezionati in saggezza, attraverso le predicazioni, e quello che odono giunge direttamente alla loro volontà e diviene parte della loro vita stessa.
(272)
In Cielo, il motivo principale della grande saggezza degli angeli è che essi sono privi di amore per se stessi. Chi invece è ricolmo di amore per se stesso, è nelle tenebre per quello che riguarda le cose del Cielo, mentre possiede una certa luce con riferimento alle cose del mondo. Gli angeli però, non avendo questo amore per se stessi, sono nella luce della saggezza, perché l’amore celeste apre le porte interiori verso le divine verità.
(273)
Gli angeli sono continuamente perfezionati in saggezza, ma possono esserlo per l’eternità perché la saggezza divina è infinita, mentre quella degli angeli è finita. E tra infinito e finito non c’è rapporto.
(274)
Dato che la saggezza perfeziona gli angeli e costituisce la loro vita, ne risulta che gli angeli desiderano e ricercano ardentemente questa saggezza, allo stesso modo che l’uomo affamato desidera e cerca cibo. La scienza, l’intelligenza e la saggezza sono un nutrimento spirituale, come il cibo è un alimento naturale; essi si corrispondono mutualmente.
(275)
In uno stesso Cielo, e anche in una stessa società, gli angeli sono a livelli diversi di saggezza. Coloro che sono nella saggezza maggiore occupano il centro, coloro che possiedono una saggezza minore sono alla periferia.
(32)
LO STATO DI INNOCENZA
DEGLI ANGELI IN CIELO
(276)
Pochi uomini al mondo sanno che cos’è l’innocenza e in che cosa essa consista; coloro che vivono nel male sono nella completa ignoranza a questo riguardo. L’innocenza appare ai loro occhi quella dei bambini piccoli. Si ignora che è appunto nell’innocenza che risiede il Cielo per l’uomo. Per far luce su questo aspetto, procederò con ordine e parlerò prima dell’innocenza dell’infanzia, poi di quella della saggezza e infine dello stato celeste di innocenza.
(277)
L’innocenza dell’infanzia non è innocenza reale, perché è soltanto nella forma esteriore e non in quella interiore. Tuttavia è attraverso questa che l’innocenza può essere capita, perché si manifesta con chiarezza sul volto dei bambini, nei loro gesti, nel loro primo linguaggio, e noi ad essa siamo sensibili. I bambini non sanno nulla del bene e del male, del vero e del falso da cui proviene il pensiero, non possiedono il pensiero interiore né la prudenza che da esso procede. Essi non si propongono niente, non deliberano niente, e quindi non hanno cattive intenzioni. Essi non si attribuiscono alcuna cosa e riferiscono ai genitori tutto quello che ricevono. Non si preoccupano del cibo e delle vesti, non hanno ansie per l’avvenire. Non si occupano del mondo, amano i genitori, obbediscono loro e giocano con innocenza coi loro compagni. Tuttavia questa innocenza è esterna, perché appartiene soltanto al corpo, non alla mente. In effetti la loro mente non è ancora stata formata: il mentale è l’intelletto e la volontà, e di conseguenza il pensiero e l’affetto. Mi è stato detto che in Cielo i bambini piccoli sono particolarmente sotto l’auspicio del Signore, e questo influsso viene loro dal Cielo intimo dove regna lo stato di innocenza. Tale innocenza commuove i genitori e produce in loro amore.
(278)
L’innocenza della saggezza è l’innocenza reale, perché è interiore, appartiene al mentale e di conseguenza alla volontà e all’intelletto. In Cielo si dice che l’innocenza dimora nella saggezza, e che l’angelo ha tanta saggezza quanta innocenza. Gli angeli lo confermano dicendo che coloro che sono nell’innocenza non si attribuiscono niente di bene e rapportano invece tutto al Signore, vogliono essere condotti da lui e non da loro stessi. Amano tutto ciò che è bene e trovano piacere in ciò che è vero, perché sanno che amare il bene, volerlo e farlo è amare il Signore, e amare il vero è amare il prossimo. Vivono contenti di ciò che sono, poco o tanto che sia, perché sanno di ricevere secondo i loro bisogni e solo il Signore sa quello che loro conviene; non sono quindi inquieti sull’avvenire. La sollecitudine per l’avvenire, che essi chiamano ansia per il domani, è per loro la paura di perdere o di non ricevere cose che non sono veramente necessarie alla vita. Non agiscono mai con astuzia e anzi la rifuggono come il veleno del serpente perché è contraria all’innocenza; agiscono invece in base al bene, al giusto, al sincero. Essi appaiono semplici esteriormente, ma sono saggi e prudenti interiormente. Il Signore parla di loro quando dice:
Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (Matteo 10, 16).
L’uomo è stato creato per essere nell’innocenza quando è bambino, ma questa innocenza è esterna, mentre quando diventa vecchio è nell’innocenza interiore, e attraverso questa ritrova quella esteriore. E’ per questo che l’uomo, quando diventa vecchio, diventa di nuovo come un bambino, ma come un bambino saggio, e quindi come un angelo, perché un angelo è il bambino saggio per eccellenza. Di conseguenza nella Scrittura infanzia significa innocenza, e il vecchio rappresenta il saggio nel quale c’è innocenza.
(279)
Lo stesso avviene per la rigenerazione, cioè per la nascita dell’uomo spirituale. Chi è sulla via della rigenerazione, che avviene dopo la morte, è introdotto prima nell’innocenza dell’infanzia; avanzando in età è condotto verso la scienza, poi verso l’intelligenza e infine verso la saggezza, dove si trova sempre l’innocenza. L’innocenza consiste essenzialmente nel conoscere il vero e nel fare il bene non per se stessi, ma per il Signore.
(280)
Dato che l’innocenza consiste nell’essere guidati dal Signore e non da se stessi, tutti coloro che sono in Cielo sono nell’innocenza, perché amano essere guidati dal Signore. Anche lo stato di innocenza ha vari livelli, corrispondenti al Cielo in cui l’angelo si trova. Gli angeli del Cielo intimo, i più saggi, sanno che non avrebbero alcuna saggezza per se stessi e che tutto viene dal Signore. Questi angeli sono anche nudi, perché la nudità corrisponde all’innocenza.
(281)
Io mi sono intrattenuto molto con gli angeli sul tema dell’innocenza e ho appreso che essa è l’essenza del bene. Di conseguenza il bene è tale in quanto contiene l’innocenza, e la saggezza è tale in quanto ha la sua origine nell’innocenza; lo stesso vale per l’amore, la carità e la fede. Ne consegue che non si può entrare in Cielo se non si possiede innocenza; ed è questo che è inteso in queste parole del Signore:
Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso (Marco 10, 14-15).
Sia qui che altrove, nella Scrittura con bambini si intendono gli innocenti.
(282)
Dato che l’innocenza è l’essenza stessa del bene presso gli angeli del Cielo, è evidente che il divino bene che procede dal Signore è l’Innocenza stessa. Questo bene è ciò che influisce presso gli angeli e li dispone a ricevere i beni celesti. Nella Scrittura, il Signore è chiamato agnello, perché agnello significa innocenza.
(283)
Come coloro che sono in Cielo si trovano nell’innocenza, così coloro che sono all’inferno sono interamente contro l’innocenza: non sanno neppure in che cosa essa consista. Più qualcuno è innocente, più coloro che sono all’inferno desiderano arrecargli danno. Essi non sopportano la vista dei bambini piccoli; e quando li vedono, provano il desiderio feroce di nuocere loro in qualche modo. L’amore di sé è contrario all’innocenza; infatti tutti coloro che sono all’inferno sono presi da se stessi e d’altro non si occupano.
(33)
LO STATO DI PACE IN CIELO
(284)
Chi non ha vissuto la pace del Cielo, non può comprendere la pace in cui si trovano gli angeli. Fintanto che l’uomo vive nel corpo, non può capire questa pace, perché la conoscenza umana è legata alle cose naturali. Chi vuole capirla, deve poter elevare il suo pensiero e allontanarlo dal corpo, finché giunge accanto agli angeli. Dato che io appunto in questo modo ho sperimentato la pace del Cielo, posso descriverla – però non come essa è, perché le parole umane non sono sufficienti, ma soltanto attraverso il confronto con la pace spirituale di coloro di cui si dice che sono lieti in Dio -.
(285)
Esistono due condizioni profonde celesti, l’innocenza e la pace: entrambe procedono direttamente dal Signore. Dall’innocenza deriva tutto il bene del Cielo, e dalla pace tutto il piacere insito nel bene. Il bene e il piacere appartengono all’amore, perché ciò che si ama è definito bene ed è percepito come piacere. Queste due condizioni celesti, l’innocenza e la pace, influenzano gli angeli, provenendo dal Signore.
(286)
La divina pace è insita nel Signore e trae la sua esistenza dall’unione della divinità stessa con la divina umanità del Signore. La divina pace del Cielo viene dal Signore e deve la sua esistenza all’unione del Signore con gli angeli del Cielo, e in particolare dall’unione del bene e del vero in ogni angelo; queste sono le origini della Pace. Essa è la fonte di ogni gioia in Cielo, di ogni beatitudine degli angeli, di ogni piacere e di ogni felicità; perciò è chiamata gioia celeste.
(287)
In base a quanto sopra detto, il Signore è chiamato Principe della Pace; egli stesso dice che da lui proviene la pace e che in lui vi è pace. Per questa ragione anche gli angeli sono chiamati angeli di pace, e il Cielo è detto dimora di pace, come nel passaggio seguente:
Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, PRINCIPE DELLA PACE; grande sarà il suo dominio e la PACE non avrà fine (Isaia 9, 5-6).
Gesù disse:
Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò a voi (Giovanni, 14, 27).
E ancora:
Vi ho detto queste cose perché abbiate la pace in me (Giovanni 16, 33).
Da questi e altri passaggi della Scrittura si può vedere che la pace celeste e divina è l’essenza del Cielo e proviene direttamente dal Signore.
(288)
Dato che la pace celeste è il divino stesso, gli angeli la ricevono con grande gioia del cuore e della mente. Questa pace influisce in tutti gli atti e in tutti i pensieri della loro vita. Tuttavia la qualità e la quantità della pace differisce nei Cieli a seconda dell’innocenza di coloro che la provano, perché pace e innocenza vanno di pari passo. E’ quindi evidente che ciò che in precedenza è stato detto dell’innocenza, può essere applicato anche allo stato di pace, poiché pace e innocenza sono congiunte. Così stando le cose, gli angeli del terzo Cielo sono al terzo grado della pace, come sono al terzo grado di innocenza. E gli angeli dei Cieli inferiori sono a gradi inferiori di pace e innocenza. Si può capire questa unione di pace e innocenza considerando i bambini piccoli, che sono nell’innocenza e quindi anche nella pace; e di conseguenza tutto per loro è gioia e divertimento. Però, come è già stato detto, la loro pace è esteriore, mentre la pace interiore, come del resto l’innocenza interiore, esiste soltanto nella saggezza. La pace angelica o celeste esiste anche presso gli uomini che sono nella saggezza; finché vivono nel mondo, questa pace che viene da Dio resta nascosta dentro di loro; si rivela però quando essi lasciano il corpo e entrano in Cielo, perché allora la loro interiorità può aprirsi.
(289)
La pace che l’uomo può gustare in Cielo allorché si apre e viene rigenerato può essere paragonata al mattino o all’aurora o alla primavera, quando dopo la notte, al levare del sole, tutte le creazioni della terra ricominciano a vivere e ovunque si diffonde l’odore della vegetazione per effetto della rugiada che scende dal Cielo. La dolce temperatura primaverile dona fertilità al suolo e riempie di felicità le menti umane, perché il mattino o l’aurora in primavera corrispondono allo stato di pace degli angeli in Cielo.
(290)
Io mi sono intrattenuto con gli angeli anche sul tema della pace, dicendo loro che nel mondo viene chiamata pace la cessazione delle guerre e delle ostilità tra le nazioni, e delle inimicizie e delle discordie tra gli uomini. Si crede inoltre che la pace interiore sia il riposo dello spirito una volta cessate le inquietudini, e che consista essenzialmente nella tranquillità e nel piacere dopo la riuscita degli affari. Gli angeli mi risposero che tutto ciò sembra appartenere alla pace, ma non è così: la pace autentica viene dal Signore, discende nell’intimo e produce il riposo della mente, la tranquillità dello spirito e la gioia. Coloro che sono invece nel male, non hanno la pace. Sembrano avere un riposo, una tranquillità e un piacere quando le cose vanno secondo i loro desideri, ma questo riposo è esteriore, e non interiore. Nell’intimo divampano inimicizie, odi, desideri di vendetta, crudeltà e desideri malvagi. Non c’è quindi pace ma follia. Tra costoro e gli altri c’è la stessa differenza che esiste tra l’inferno e il Cielo.
(34)
L’UNIONE DEL CIELO CON IL GENERE UMANO
(291)
La Chiesa sa che tutto il bene viene da Dio e che nessun bene viene dall’uomo e che di conseguenza nessuno deve attribuirsi alcun bene; si sa anche che il male viene dal diavolo. Quelli dunque che parlano in base alla dottrina della Chiesa dicono che coloro che agiscono bene, parlano e pregano con pietà, sono guidati da Dio, e dicono il contrario di coloro che agiscono male e parlano con empietà. Questo può avvenire soltanto attraverso una unione della volontà e dell’intelletto dell’uomo col Cielo o con l’inferno, perché il corpo agisce e la bocca parla seguendo la volontà e l’intelletto. Questa unione sarà ora descritta.
(292)
Presso ogni uomo ci sono spiriti buoni e spiriti malvagi; attraverso gli spiriti buoni l’uomo è unito al cielo e attraverso gli spiriti malvagi è unito all’inferno. Questi spiriti si trovano nel mondo degli spiriti, che è tra Cielo e inferno: di questo mondo sarà trattato più dettagliatamente in seguito. Quando gli spiriti vengono verso l’uomo, entrano in tutta la sua memoria e di conseguenza in tutto il suo pensiero: gli spiriti malvagi nelle cose che sono malvage, gli spiriti buoni in quelle buone. Gli spiriti non sanno affatto di essere presso l’uomo, ma quando vi si trovano credono che tutte le cose che appartengono alla memoria e al pensiero dell’uomo siano loro. Essi non vedono neppure l’uomo, perché non vedono le cose del nostro mondo solare.
Il Signore veglia con la massima cura per far sì che gli spiriti non sappiano di essere presso l’uomo, perché se lo sapessero parlerebbero con lui, e allora gli spiriti malvagi lo perderebbero. Questi spiriti malvagi, essendo congiunti all’inferno, non hanno desiderio più grande di quello di perdere l’uomo, non solo con riferimento all’anima, cioè alla fede e all’amore, ma anche per quello che riguarda il corpo. Diversamente avviene se non parlano con l’uomo: essi allora credono che ogni cosa dell’uomo appartenga a loro, e siccome ognuno ama e apprezza ciò che gli appartiene, questi spiriti finiscono per amare e apprezzare l’uomo, sebbene non lo sappiano. Un’esperienza continua che dura da molti anni mi ha fatto capire perfettamente che una tale unione degli spiriti con l’uomo è una realtà.
(293)
All’uomo di conseguenza sono uniti anche spiriti che comunicano con l’inferno, perché l’uomo nasce nei mali di ogni genere e quindi la sua prima vita consiste soltanto di questi mali. Se a lui non fossero uniti spiriti simili a lui, egli non potrebbe vivere né essere distolto da questi mali. Per questa ragione viene trattenuto nella sua vita da spiriti malvagi e ne è distolto da spiriti buoni. Attraverso gli uni e gli altri egli è in equilibrio, e di conseguenza nella libertà, e può essere distolto dai mali e rivolto al bene, cosa che non potrebbe avvenire se non fosse nella libertà. L’uomo non può essere costretto al bene, perché ciò che si fa per costrizione non ha valore. Il bene che l’uomo riceve in piena libertà entra a far parte della sua volontà e diviene suo. L’uomo quindi è in comunicazione con l’inferno e col Cielo.
(294)
Tutti gli spiriti che si trovano nel mondo degli spiriti hanno comunicazione col Cielo o con l’inferno, i cattivi con l’inferno, i buoni col Cielo. Cielo e inferno sono entrambi distinti in società. Ogni spirito appartiene a una società, sussiste in base all’influsso che gliene proviene e agisce in conseguenza. Ne risulta che l’uomo, essendo unito agli spiriti, è anche unito al Cielo o all’inferno, e più precisamente a una determinata società del Cielo o dell’inferno. Tutte le società del Cielo sono distinte in base al loro legame col bene e col vero, e tutte quelle dell’inferno in base al loro legame col male e col falso.
(295)
All’uomo sono uniti spiriti che hanno le stesse sue propensioni e affetti; però gli spiriti buoni sono uniti a lui dal Signore, mentre quelli malvagi sono attirati dall’uomo stesso. Tuttavia gli spiriti si alternano presso l’uomo a seconda del suo stato d’animo e dei suoi intendimenti. Nella prima età, l’uomo ha accanto a sé spiriti che sono nell’innocenza, che comunicano cioè col terzo Cielo, quello dell’innocenza. Nella seconda età, il bambino ha presso di sé spiriti sapienti e comunicano col primo Cielo. Nell’adolescenza e la giovinezza ha accanto spiriti che sono nel vero e nel bene, e di conseguenza nell’intelligenza, che comunicano cioè col Cielo intermedio, o secondo Cielo. Nella vecchiaia ha accanto spiriti che sono nella saggezza e nell’innocenza, che comunicano cioè col terzo Cielo. Questa unione tuttavia è fatta dal Signore per coloro che possono essere riformati e rigenerati. Diversamente vanno le cose per coloro che non possono esserlo: a loro sono uniti spiriti buoni affinché siano distolti dal male finché è possibile, ma la loro unione immediata è con gli spiriti malvagi che comunicano con l’inferno e sono simili a loro. Se gli uomini amano se stessi, o amano il lucro, la vendetta o l’adulterio, sono presenti spiriti dello stesso carattere. Se l’uomo non può essere distolto dal male dagli spiriti buoni, gli spiriti malvagi si infiammano, divengono più attivi e non se ne vanno.
(296)
L’uomo è guidato dal Signore per mezzo degli spiriti perché non è nell’ordine del Cielo, nasce nei mali che appartengono all’inferno e sono quindi contro l’ordine divino. Egli deve dunque essere riportato all’ordine, e questo può avvenire solo attraverso la mediazione degli spiriti. Diverso sarebbe se l’uomo nascesse nel bene conseguente all’ordine del Cielo, allora il Signore non guiderebbe attraverso gli spiriti, ma attraverso l’ordine stesso, cioè per l’influsso comune.
(297)
In materia di unione del Cielo col genere umano, bisogna sapere che il Signore influisce su ciascuna persona secondo l’ordine del Cielo; dispone tutti a ricevere il Cielo. Questo influsso del Signore è chiamato influsso immediato; ma l’altro influsso che avviene attraverso gli spiriti è chiamato influsso mediato. L’influsso diretto del Signore agisce sulla volontà dell’uomo e da questa sul suo intelletto; è un influsso perpetuo ed è ricevuto dai buoni, ma non dai malvagi. Da costoro è respinto, soffocato o pervertito, e così essi hanno una vita malvagia che in senso spirituale corrisponde alla morte.
(298)
Gli spiriti che sono presso l’uomo introducono in lui l’attaccamento al bene e al male, ma è l’uomo che ha la scelta, perché ha la libertà. Egli può col suo pensiero ricevere il bene e rifiutare il male, perché grazie alla Scrittura sa qual è il bene e qual è il male.
(299)
Mi è anche stato concesso di sapere da dove vengono all’uomo l’ansia, il dolore spirituale e la tristezza interiore chiamata malinconia. Ci sono degli spiriti che non sono ancora in unione con l’inferno, essendo ancora nel primo stato di cui si parlerà in seguito, quando tratteremo del mondo degli spiriti. Il loro linguaggio influisce sull’uomo, e se esso è contrario alle sue tendenze si trasforma per loro in tristezza e ansietà malinconica; se però c’è accordo con le tendenze dell’uomo, si trasforma in allegrezza e ilarità. Io stesso ne ho fatto esperienza più volte.
(300)
L’unione del Cielo con l’uomo non è come quella di un uomo con un altro uomo, è un’unione tra il Cielo e l’uomo interiore o spirituale. Invece l’unione con l’uomo naturale o esteriore avviene attraverso le corrispondenze. Ne sarà trattato nel capitolo seguente.
(301)
L’unione del Cielo col genere umano, e del genere umano col Cielo è tale che l’uno sussiste grazie all’altro. Anche di questo sarà trattato nel capitolo seguente.
(302)
Ho parlato con gli angeli dell’unione del Cielo col genere umano. Ho detto loro che gli uomini di Chiesa dichiarano che ogni bene viene da Dio e che presso l’uomo ci sono gli angeli, sebbene poche persone credano che gli angeli siano uniti all’uomo, e meno ancora che essi siano nel suo pensiero e nei suoi affetti. Gli angeli mi risposero di sapere che queste sono la fede e il linguaggio del mondo, e si mostrarono stupiti che questa credenza potesse esistere all’interno della Chiesa, che possiede la Scrittura che fornisce insegnamenti sul Cielo e sul suo rapporto con l’uomo. Essi mi dissero tuttavia che il motivo di questa ignoranza deriva dal fatto che l’uomo crede di vivere per se stesso, senza un legame con la causa prima della vita. Se questo legame si rompesse, l’uomo cadrebbe morto all’istante. Se l’uomo credesse che tutto il bene viene dal Signore e il male dall’inferno, non farebbe il bene per il merito e il male non gli sarebbe imputato. Egli guarderebbe verso il Signore per tutto il bene che pensa e fa; e il male sarebbe rigettato verso l’inferno da cui viene. Ma siccome l’uomo non crede a nessun influsso del Cielo né ad alcun influsso dell’inferno, e immagina che tutte le cose che pensa e vuole siano sue e abbiano origine da lui, si appropria del male e insudicia il bene con l’idea del merito.
(35)
L’UNIONE DEL CIELO CON L’UOMO
ATTRAVERSO LA SCRITTURA
(303)
Coloro che ragionano in base all’intelletto interiore, possono vedere che esiste un legame di tutte le cose con l’origine prima e che ciò che non partecipa di questo legame si perde. Essi sanno che nulla può esistere per virtù propria, ma che ogni cosa sussiste grazie a ciò che è precedente ad essa, ovvero una causa prima. Coloro che hanno compreso questa verità, si sono resi conto che si tratta di un’esistenza eterna, come eterna è la causa prima. Non è facile descrivere in poche parole qual è questo legame con la causa prima, perché esso è vario e diverso. Dirò soltanto in termini generali che esiste un legame tra il mondo naturale e il mondo spirituale, e da questo deriva la corrispondenza tra i due mondi. Di queste corrispondenze abbiamo trattato dall’articolo 103 all’articolo 115. Esiste un legame, e di conseguenza una corrispondenza, di tutte le cose dell’uomo con tutte le cose del Cielo: per questo si vedano gli articoli 87/102.
(304)
L’uomo è stato creato per avere un legame e una congiunzione col Signore, e una comunanza con gli angeli del Cielo. Ciò avviene in quanto l’uomo, fin da quando è stato creato, è simile all’angelo per ciò che concerne il mentale: l’uomo infatti ha una volontà e un intelletto come l’angelo. Ne consegue che l’uomo dopo la morte diviene angelo se ha vissuto secondo l’ordine divino; in questo caso la sua saggezza è simile a quella degli angeli. L’uomo però ha qualcosa in più degli angeli, in quanto non soltanto vive nel mondo spirituale con la sua interiorità, ma al tempo stesso vive nel mondo naturale con la sua fisicità, il suo pensiero e la sua immaginazione. Egli può gioire di conoscenze scientifiche affascinanti, può godere dei piaceri del mondo che percepisce attraverso i sensi, la parola e gli atti. Queste cose sono le ultime alle quali giunge l’influsso divino, e ciò consente di vedere che l’ordine divino arriva fino all’uomo, che è la base e il fondamento di tutto ciò che è creato. Per giungere all’uomo l’influsso divino attraversa i Cieli e di conseguenza non esiste nulla che non sia legato: il legame del Cielo col genere umano è tale che l’uno esiste grazie all’altro. La razza umana senza il Cielo sarebbe simile a una catena senza gancio, e il Cielo senza il genere umano sarebbe simile a una casa senza fondamenta.
(305)
L’uomo però ha spezzato questo legame col Cielo distogliendo da esso la sua interiorità e rivolgendola verso il mondo esterno e verso se stesso. Essendosi egli sottratto al punto da non servire più da base e fondamento al Cielo, il Signore ha previsto un intermediario che stabilisce il legame con l’uomo. Questo intermediario è la Scrittura.
(306)
In Cielo sono stato informato che gli antichi avevano una rivelazione immediata e diretta, perché la loro interiorità era rivolta verso il Cielo; il rapporto del Signore col genere umano avveniva in questo modo. Dopo quel tempo, la rivelazione immediata fu sostituita da una rivelazione mediata costituita dalle corrispondenze. Tutto il culto divino consisteva allora di corrispondenze, e le Chiese di quel tempo sono state chiamate chiese rappresentative. Esse ben conoscevano le corrispondenze e le rappresentazioni, sapevano che tutte le cose della terra corrispondono a quelle spirituali che sono in Cielo e nella Chiesa, o le rappresentano - il che è la stessa cosa. Le cose spirituali che costituivano gli elementi esterni del loro culto servivano loro come mezzo per pensare spiritualmente, in unisono con gli angeli. Dopo la perdita della scienza delle corrispondenze e delle rappresentazioni, fu compilata la Scrittura dove tutte le parole e il senso delle parole costituiscono delle corrispondenze e contengono il senso spirituale o interiore nel quale si trovano gli angeli. L’uomo legge la Scrittura o la legge secondo il senso naturale o esteriore, mentre gli angeli colgono il senso interiore o spirituale. Ogni pensiero degli angeli è spirituale, mentre quello degli uomini è naturale; questi pensieri, è vero, appaiono diversi, ma sono in realtà una cosa sola perché si corrispondono. Per questa ragione, quando l’uomo si fu distolto dal Cielo spezzando il legame, il Signore provvide a creare una congiunzione tra l’uomo e il Cielo: e questo intermediario fu la Scrittura.
(307)
Qualche passaggio tratto dalla Scrittura consente di mettere in evidenza questo rapporto del Cielo con l’uomo attraverso, appunto, la Parola di Dio. La Nuova Gerusalemme è descritta in questi termini nell’Apocalisse:
Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo... La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. Ne misurò anche le mura; sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, il quinto di sardonico, il sesto di cornalina, il settimo di crisolito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono le dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. (Apocalisse 21, 1-2-16-17-18- 19-20-21).
Chi legge queste parole, le capisce secondo il senso della lettera, e cioè: il Cielo visibile deve perire con la terra, un nuovo Cielo deve esistere, la città santa, la nuova Gerusalemme, deve scendere su una nuova terra e deve possedere le misure prescritte. Gli angeli però intendono tutto ciò diversamente: essi hanno una comprensione spirituale di ciò di cui gli uomini hanno una comprensione naturale. Con nuovo Cielo e nuova terra essi intendono una nuova Chiesa; con nuova Gerusalemme che scende dal Cielo intendono la dottrina celeste rivelata dal Signore; la lunghezza, la larghezza e l’altezza, che sono uguali e misurano dodicimila stadi, rappresentano per loro tutti i beni e tutte le verità di questa dottrina nel suo complesso; la muraglia è la somma delle verità che la difende; le misure della muraglia sono tutte queste verità nel loro complesso e la loro qualità; le dodici porte fatte di perla sono le verità che vengono introdotte: le perle infatti rappresentano ancora una volta la verità. Le fondamenta delle mura fatte di pietre preziose sono le conoscenze su cui questa dottrina si fonda; l’oro simile a cristallo trasparente della città e della sua piazza è il bene dell’amore che fa brillare la dottrina con le sue verità. Gli angeli quindi intendono tutte queste parole in modo diverso dagli uomini. Le idee naturali dell’uomo si trasmettono alle idee spirituali degli angeli, i quali non sanno nulla del senso letterale della Scrittura; tuttavia i pensieri degli angeli sono una cosa sola coi pensieri degli uomini perché si corrispondono: allo stesso modo di come le parole di chi parla sono una cosa sola col senso di queste parole per chi ascolta, in quanto costui fa attenzione al senso, e non alle parole in se stesse. Ecco dunque come il Cielo è congiunto all’uomo attraverso la Scrittura. Il senso letterale serve da base e fondamento a quello spirituale.
(308)
Vi è unione del Cielo attraverso la Scrittura anche con coloro che sono fuori dalla Chiesa e non hanno la Scrittura, perché la Chiesa del Signore è universale e comprende tutti coloro che riconoscono il divino e vivono nella carità. Costoro vengono istruiti dagli angeli dopo la morte e ricevono le divine verità. Ne sarà trattato più avanti quando si parlerà dei pagani.
(309)
Senza la Scrittura, l’uomo di questa terra sarebbe stato separato dal Cielo, e in questa condizione non sarebbe stato più razionale, perché il razionale umano esiste in base all’influsso della luce del Cielo. L’uomo di questa terra è fatto in modo che non può ricevere una rivelazione immediata come gli abitanti di altre terre di cui ho trattato in un’opera a parte. Egli è più evoluto di questi ultimi nelle cose mondane ed esteriori, e la rivelazione è ricevuta invece attraverso l’interiorità. Anche ricevendo tutte le verità, l’uomo non arriva a comprenderle. Lo si vede chiaramente considerando coloro che sono dentro la chiesa, i quali pur avendo dalla Scrittura la conoscenza del Cielo, dell’inferno e della vita dopo la morte, in Cuor loro negano tutto ciò. Alcuni di questi uomini sono degli eruditi che potrebbero mostrare una maggiore saggezza.
(310)
A volte mi sono intrattenuto con gli angeli sulla Scrittura e ho detto loro che essa a volte è criticata per il suo stile semplice, che il suo senso interiore non è conosciuto, come non sono conosciute le grandi saggezze che essa contiene. Gli angeli mi risposero che sebbene lo stile della Scrittura sembri semplice nel suo significato letterale, nulla raggiunge la sua perfezione perché contiene la divina saggezza, non soltanto nella struttura generale, ma in ogni singola parola, e questa saggezza viene dal Cielo. Mi dissero anche che senza questa Scrittura gli uomini non godrebbero della luce del Cielo e non ci sarebbe l’unione del Cielo con loro. L’uomo non sa che questa unione avviene attraverso il senso spirituale della Scrittura, che corrisponde al suo senso naturale; egli infatti ignora tutto del pensiero e della lingua degli angeli, che differiscono totalmente dal pensiero e dalla lingua naturale degli uomini. Ignorando questo, egli non può sapere qual è il senso interiore e neppure che è attraverso questo senso interiore che avviene una tale unione. Gli angeli mi dissero anche che se l’uomo sapesse che questo senso interiore esiste, interpreterebbero la Scrittura in base ad esso, potrebbero penetrare nella sua sapienza interiore e sarebbero direttamente uniti al Cielo, in quanto le loro idee sarebbero simili a quelle degli angeli.
(36)
CIELO E INFERNO
PROVENGONO DAL GENERE UMANO
(311)
Il mondo cristiano ignora assolutamente che il Cielo e l’inferno provengono dal genere umano. Crede che gli angeli siano stati creati all’inizio e così anche il Cielo. Il diavolo o Satana sarebbe un angelo di luce, che divenuto ribelle sarebbe stato espulso con le sue schiere, dando così origine all’inferno. Gli angeli sono molto stupiti che nel mondo cristiano esista una tale credenza e che non si sappia nulla a proposito del Cielo sebbene questa conoscenza sia un aspetto fondamentale e antichissimo della dottrina della Chiesa. Vista questa ignoranza, essi sono stati felici che al Signore sia piaciuto rivelare ora ai cristiani certe conoscenze sul Cielo e l’inferno. Le tenebre che crescono ogni giorno in quanto la Chiesa non contribuisce a rischiararle, possono così, in certa misura, essere dissipate. Essi desiderano che io affermi da parte loro che in Cielo non c’è un sol angelo che sia stato creato all’inizio, e neppure all’inferno alcun angelo di luce divenuto diavolo, ivi precipitato dal Cielo; ma che tutti, in Cielo come all’inferno, provengono dal genere umano. In Cielo vi sono coloro che hanno vissuto nel mondo un amore e una fede celesti. All’inferno sono coloro che hanno vissuto nel mondo un amore infernale e una fede infernale. L’inferno nel suo complesso è chiamato diavolo o Satana; diavolo è quell’inferno posteriore dove sono coloro che sono chiamati geni malvagi; Satana è l’inferno anteriore dove vivono coloro che sono chiamati spiriti malvagi. Questi due inferni saranno descritti più avanti. Gli angeli mi dissero anche che i cristiani hanno accettato una tal dottrina relativa agli abitanti del Cielo e dell’inferno a causa di certi passaggi della Scrittura presi alla lettera, e non spiegati secondo la vera dottrina (2). Infatti se la vera dottrina non rischiara il senso della lettera della Scrittura, lo spirito si confonde e ne risulta ignoranza, eresia ed errore.
(2) Swedenborg ha spiegato tutto ciò nella sua grande opera Arcana Coelestia, in 10 volumi.
(312)
L’uomo di chiesa crede queste cose perché è convinto che prima del giudizio universale nessuno vada in Cielo o all’inferno. Crede anche che gli angeli siano stati creati all’inizio, perché non può credere che Cielo e inferno provengano dal genere umano. Affinché l’uomo non abbia più questa convinzione, mi è stato concesso di essere in società con gli angeli e di parlare con gli spiriti che sono all’inferno. Ciò avviene da molti anni, talora continuamente, dal mattino fino alla sera, ed è in questo modo che sono stato istruito sulle cose del Cielo e dell’inferno. Questo mi è stato concesso affinché l’uomo di Chiesa non insista più nella sua fede erronea della resurrezione nel giorno del giudizio, dello stato dell’anima fino a quel giorno, degli angeli e dei diavoli. Mi è stato concesso di parlare con persone che avevo conosciuto nella vita del corpo, alcuni erano in Cielo e altri all’inferno. Mi è capitato di parlare con alcuni che erano morti da due giorni e di raccontare loro che in quella stessa ora si stava preparando il loro funerale; essi mi risposero che facevano bene a liberarsi di ciò che era servito loro nel mondo per le funzioni fisiche. Essi mi chiesero di dire che non erano affatto morti, ma continuavano a vivere e a sentirsi uomini come prima. Erano ancora forniti di intelletto e volontà, avevano pensieri e affetti, sensazioni e desideri simili a quelli che avevano quando erano nel mondo. Costoro erano gioiosi di questa nuova vita, così diversa da quella che avevano immaginato. Infatti subito dopo la morte ognuno inizialmente si ritrova nella stessa condizione di vita che possedeva quando viveva nel mondo, però in seguito questa condizione viene cambiata per lui in Cielo o inferno. Essi stessi si meravigliavano della propria ignoranza e del proprio accecamento su ciò che si riferisce alla vita dopo la morte. Soprattutto si stupivano che gli uomini di chiesa fossero nell’ignoranza come gli altri, mentre più degli altri avrebbero dovuto essere nella luce. Per la prima volta si rendevano conto che le cose mondane e corporali avevano invaso e riempito la loro mente al punto da esser divenuti incapaci di elevarsi fino alla luce del Cielo; infatti più si penetra nelle cose corporali e mondane, più le si ama come avviene al giorno d’oggi, e più si viene avvolti da fitte tenebre.
(313)
Molti eruditi del mondo cristiano si stupiscono quando dopo la morte si vedono ancora dentro un corpo, vestiti di abiti e collocati dentro delle case come avveniva nel mondo. Quando ricordano le loro credenze sulla vita dopo la morte, l’anima, gli spiriti, il Cielo e l’inferno, sono pieni di confusione e si rendono conto di aver avuto pensieri folli, mentre i semplici di fede hanno avuto pensieri più saggi di loro. Certi eruditi che si erano confermati in questi errori erano completamente chiusi verso il Cielo e aperti invece verso il mondo, e di conseguenza verso l’inferno. Infatti l’uomo che riceve le cose del mondo senza essere aperto alle cose del Cielo, crea in sé l’inferno.
(314)
Si può dire che l’inferno proviene dal genere umano perché le menti angeliche e le menti umane sono simili. Godono entrambi della capacità di capire, percepire e volere; sono stati formati per ricevere il Cielo, per essere aperti alla saggezza. Durante la vita nel corpo, non hanno acquisito tanta saggezza perché nel corpo la mente spirituale dell’uomo pensa in termini naturali. Diversamente avviene quando si libera dai legami che lo tengono legato al corpo: allora non pensa più in termini naturali, ma spirituali, e quando pensa spiritualmente pensa cose che sono incomprensibili e ineffabili per l’uomo naturale; in questo modo acquisisce la saggezza degli angeli. E’ quindi evidente che l’interiorità dell’uomo, che è chiamata spirito, è nella sua essenza un angelo. Dopo che si è liberato dal corpo terreno, questa interiorità conserva una forma umana come l’angelo. Abbiamo visto dal n. 73 al n. 77 che l’angelo ha una perfetta forma umana. Quando però l’interiorità dell’uomo è stata aperta soltanto verso il basso, e non verso l’alto, dopo la liberazione dal corpo conserva sì una forma umana, ma odiosa e diabolica perché non può guardare verso il Cielo: guarda soltanto verso l’inferno.
(315)
Chi è stato istruito sull’ordine divino, può capire che l’uomo è stato creato per divenire un angelo, perché l’ordine divino si conclude proprio in lui (vedi n. 304). La razza umana è il vivaio del Cielo.
(316)
Il Signore è risuscitato non soltanto con lo spirito ma anche col corpo, perché quando era nel mondo ha glorificato, cioè ha reso divino tutto ciò che in lui era umano. In effetti l’anima che gli veniva dal Padre era la divinità stessa, e il corpo divenne simile all’anima, e quindi divino. Il Signore è quindi risuscitato nello spirito e nel corpo, cosa che non avviene con nessun uomo. Ai suoi discepoli che vedendolo credevano di vedere uno spirito, egli disse:
Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io ! Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne o ossa come vedete che io ho (Luca 24, 36-39).
Con queste parole egli voleva indicare di essere uomo, non soltanto nello spirito ma anche nel corpo.
(317)
Affinché si sappia che l’uomo continua a vivere dopo la morte e secondo la vita che ha condotto nel mondo va in Cielo o all’inferno, mi sono state mostrate molte cose sullo stato dell’uomo dopo la morte. Esse saranno discusse quando si tratterà del mondo degli spiriti.
(37)
I PAGANI, O I POPOLI CHE VIVONO
FUORI DALLA CHIESA, IN CIELO
(318)
Si crede generalmente che coloro che sono nati fuori dalla chiesa e che vengono chiamati pagani o non-cristiani, non possano essere salvati, perché non hanno la Scrittura e non conoscono il Signore, senza il quale non esiste salvezza. Tuttavia e dato sapere che anch’essi sono salvati dalla misericordia del Signore che è universale, cioè si esercita nei confronti di ogni uomo. I pagani nascono uomini, esattamente come coloro che sono dentro la Chiesa; sono anche più numerosi e non è colpa loro se non conoscono il Signore. Chiunque pensi con buon senso; si rende conto che l’uomo non è nato per l’inferno, perché il Signore è l’amore personificato e il suo amore vuole salvare tutti gli uomini. Ha anche provveduto a far sì che tutti abbiano una religione e attraverso questa una conoscenza del divino e una vita interiore; infatti vivere secondo le credenze religiose è vivere interiormente.
(319)
Il punto primo e più importante di tutte le religioni è riconoscere il divino, e una religione che non riconosca questo non è una religione. I precetti di tutte le religioni riguardano il culto, cioè il modo in cui il divino deve essere adorato affinché l’uomo possa essere da lui accettato. Come i cristiani, anche i pagani hanno una vita morale, a volte migliore di quella dei cristiani. L’uomo la cui vita morale è improntata a principi spirituali ha il Cielo in sé. I pagani, anche se non sono nel vero nella loro vita del mondo, ne sono comunque informati nell’altra vita sulla base dell’amore.
(320)
Tra i pagani c’era uno spirito che nel mondo era vissuto nel bene della carità secondo la sua religione. Avendo sentito dei cristiani ragionare su ciò che si deve credere, fu sorpreso dalle loro osservazioni, benché essi ragionassero in modo molto più perfetto e fine degli uomini, specie con riferimento al bene e al vero. Egli disse dunque loro che non gli piaceva sentire quelle discussioni perché essi ragionavano in base alle apparenze e alle illusioni, e li istruì con queste parole: Se io sono buono, in base a questo bene posso sapere quali cose sono vere, e le cose vere che non conosco posso ugualmente capirle e riceverle.
(321)
Ho capito da numerosi esempi che i pagani sono accettati nell’altra vita quando sulla terra hanno avuto una vita morale, sono stati obbedienti e subordinati, sono vissuti nella carità reciproca secondo la loro religiosità e hanno quindi avuto una coscienza. Gli angeli li istruiscono nel vero e nel bene della fede con un’attenzione particolare. Durante questa istruzione essi si comportano con modestia, intelligenza e saggezza, e ricevono facilmente le verità e se ne compenetrano. Essi non hanno in sé alcun principio sbagliato che occorra distruggere né alcuna idea scandalosa contro il Signore, come avviene invece a numerosi cristiani che pensano che il Signore sia un uomo qualunque. Quando i pagani apprendono che il Signore si è fatto uomo e si è manifestato al mondo, lo riconoscono subito e lo adorano perché è il Dio del Cielo e della terra e il genere umano gli appartiene. Nell’universo c’è un gran numero di terre abitate. Solo alcuni dei loro abitanti sanno che il Signore ha rivestito il corpo umano su questa nostra terra, ma dato che essi adorano il divino, sono subito accettati dal Signore.
(322)
Presso i pagani, come presso i cristiani, ci sono dei saggi e dei semplici. Per conoscerli meglio, mi è stato concesso di intrattenermi con loro durante ore e anche giorni interi. Al giorno d’oggi non ci sono dei saggi come ce n’erano nei tempi antichi, specialmente nella chiesa antica, che si era estesa in una gran parte dell’Asia, in molte nazioni. Affinché sapessi che cosa sono stati questi saggi, mi è stato permesso di intrattenermi familiarmente con alcuni di loro. Con uno di questi in particolare ho parlato di diversi argomenti, e ho ragione di credere che egli sia stato Cicerone. Con lui parlai di saggezza, intelligenza, ordine, e anche della Scrittura e infine del Signore. Sulla saggezza, egli mi disse che non esiste altra saggezza che quella relativa alla vita; che l’intelligenza procede dalla saggezza; che l’ordine esiste grazie al Dio supremo e che vivere in questo ordine significa essere saggi e intelligenti. Quanto alla Scrittura, di cui gli lessi qualche passo tratto dai Libri Profetici, egli ne traeva gran diletto, specie perché ogni nome e ogni parola significavano cose interiori. Mi resi conto chiaramente che il suo pensiero interiore era stato aperto. Infine gli parlai del Signore; ed egli mi disse che conosceva molte cose su di lui ed era convinto che il genere umano non potesse essere salvato in altra maniera.
(323)
Mi è stato anche concesso di parlare con altri saggi vissuti nei tempi antichi. Essi erano in grado di leggere i miei pensieri. Anche a loro lessi alcuni passaggi della Scrittura e vidi che ne provavano gran piacere perché ne intendevano i significati celesti e spirituali.
(324)
I pagani che esistono oggi non sono così saggi, ma la maggior parte di loro è semplice di cuore; quelli tra loro che sono vissuti nella carità, ricevono la saggezza nell’altra vita.
(325)
Quando i pagani arrivano nell’altro mondo, vengono istruiti dagli angeli sulla dottrina cristiana, che più di ogni altra sulla terra prescrive l’amore e la carità, anche se pochi vivono conformemente a questa dottrina. Alcuni di loro, quando vivevano nel mondo, avevano saputo che i cristiani conducono una vita malvagia, vivono negli adulteri, negli odi, nei litigi e in altri vizi che i pagani hanno in orrore perché vanno contro le loro religioni. Essi temono quindi di essere istruiti nella religione cristiana. Quando però apprendono dagli angeli che la dottrina cristiana insegna tutt’altre cose, e che quindi solo alcuni cristiani vivono meno moralmente dei pagani, sono pronti ad accogliere la loro fede e in seguito adorano il Signore.
(326)
I pagani che hanno adorato qualche dio sotto forma di immagine o di statua, quando arrivano all’altra vita vengono istruiti affinché si sbarazzino di tali fantasie, e infatti in breve se ne allontanano. In Cielo sono particolarmente amati gli Africani, perché ricevono più facilmente degli altri il bene e il vero del Cielo. Essi desiderano soprattutto essere chiamati obbedienti, e non fedeli. I cristiani, dicono, avendo la dottrina della fede, possono essere chiamati fedeli; ma non loro.
(327)
Mi sono intrattenuto con alcuni spiriti che avevano vissuto nella Chiesa antica, quella che esisteva dopo il diluvio e si estendeva in un gran numero di regni, in Assiria, Mesopotamia, Siria, Etiopia, Arabia, Libia, Egitto, fino a Tiro e Sidone e alla terra di Canaan al di qua e al di là del fiume Giordano. Questi spiriti al tempo loro avevano saputo che il Signore doveva venire, avevano ricevuto il bene della fede, ma se ne erano allontanati per divenire idolatri. Essi si trovavano a sinistra, in un luogo oscuro, ed erano miserabili. Il loro linguaggio era come il suono di un flauto che non emetta che un solo tono. Mi dissero che erano in quel luogo da secoli e ne uscivano solo per compiere vili servizi agli altri. Pensai allora alla sorte riservata nell’altra vita a certi cristiani idolatri – non esteriormente ma interiormente. Essi adorano sé e il mondo, e in Cuor loro negano il Signore.
(328)
La Chiesa del Signore è diffusa in tutto il globo, è universale e in essa sono compresi tutti coloro che sono vissuti nel bene della carità secondo la loro religiosità.
(38)
I BAMBINI IN CIELO
(329)
Certe persone credono che soltanto i bambini nati nella Chiesa volino in Cielo. E lo spiegano dicendo che questi bambini sono stati battezzati e quindi iniziati alla fede della Chiesa. Queste persone però sanno benissimo che col battesimo non si ottiene né il Cielo né la fede. Il battesimo è soltanto un segno e un pro-memoria del fatto che l’uomo deve essere rigenerato. Gli ricorda che, essendo nato all’interno della Chiesa, può essere rigenerato in quanto lì si trova la Scrittura che contiene le divine verità attraverso le quali avviene la rigenerazione; nella Chiesa è inoltre conosciuto il Signore che produce tale rigenerazione. Occorre tuttavia sapere che tutti i bambini, ovunque siano nati, dentro o fuori la Chiesa, da genitori pii o empi, quando muoiono sono ricevuti dal Signore. In Cielo vengono allevati, istruiti secondo l’ordine divino, ricevono dimostrazioni d’amore e imparano a conoscere il vero e il bene. In seguito, a seconda del loro perfezionamento in intelligenza e saggezza, sono introdotti in Cielo e divengono angeli. Usando la ragione, si può facilmente capire che nessuno è stato creato per l’inferno, ma anzi tutti gli uomini sono nati per il Cielo. Se uno va all’inferno, è unicamente per colpa sua, e il bambino non può ancora essere in errore.
(330)
I bambini che muoiono rimangono bambini nell’altra vita, con le stesse caratteristiche infantili, la stessa innocenza nell’ignoranza, la stessa delicatezza in tutto. Essi seguono un apprendistato per divenire angeli, perché i bambini non sono angeli, ma lo divengono. Tutti coloro che lasciano il mondo si ritrovano in uno stato simile a quello in cui erano in vita, bambino, adolescente, uomo adulto o vecchio che siano; in seguito però il loro stato viene cambiato. Tuttavia la condizione dei bambini supera quella degli altri perché essi sono nell’innocenza e il male che deriva da una vita attiva non si è ancora radicato in loro. E l’innocenza è di una tale qualità che tutte le cose del Cielo possono esservi seminate e crescervi, perché l’innocenza è il ricettacolo del vero della fede e del bene dell’amore.
(331)
La condizione dei bambini nell’altra vita è ben superiore a quella dei bambini nel mondo, perché sono rivestiti di un corpo simile a quello degli angeli, e non di un corpo terreno. Il corpo terreno è per se stesso pesante e non riceve le sue prime sensazioni e i suoi primi movimenti dal mondo spirituale, bensì dal mondo naturale. I bambini che vivono nel mondo devono dunque imparare a camminare, a fare dei gesti, a parlare. Inoltre i loro sensi come la vista e l’udito devono aprirsi all’uso. Diversamente avviene coi bambini nell’altra vita; essendo spiriti, essi agiscono in base alla loro interiorità, camminano senza bisogno di imparare a farlo, parlano spontaneamente, si aprono facilmente alle idee perché la loro interiorità e la loro esteriorità non sono divisi. Anche il loro linguaggio divino è subito conforme ai pensieri che in loro provengono dall’amore.
(332)
Appena i bambini, subito dopo la morte, vengono risuscitati, sono subito innalzati al Cielo e consegnati ad angeli di sesso femminile che durante la vita terrena avevano amato teneramente i bambini e al tempo stesso Dio. Esse li ricevono come se fossero figli loro, perché quando erano nel mondo hanno amato tutti i bambini con una tenerezza materna; e anche i bambini le amano come se fossero le loro madri. Ognuna ha tanti bambini quanti ne desidera. Il Cielo dal quale queste mamme e questi bambini ricevono l’influsso è quello dell’innocenza, o terzo Cielo.
(333)
I bambini hanno tendenze diverse: coloro che sono portati verso gli angeli celesti si trovano nel Cielo a destra, quelli invece che tendono verso gli angeli spirituali sono a sinistra. Con riferimento all’Uomo Immenso, essi si trovano nella zona degli occhi, il che significa che essi sono sotto la vista e l’influsso immediato del Signore.
(334)
In poche parole dirò ora come i bambini sono allevati in Cielo: coloro che sono incaricati della loro educazione insegnano loro a parlare. Il loro primo linguaggio è soltanto un suono affettivo, che gradualmente diviene più distinto via via che le idee e i pensieri entrano in loro; poiché le idee e i pensieri provenienti dagli affetti costituiscono il linguaggio degli angeli. Nei loro pensieri, provenienti dall’innocenza, sono inizialmente insinuate le cose che appaiono davanti ai loro occhi e sono gradevoli; essendo queste di origine spirituale, sono aperte all’influsso del Cielo. Così di giorno in giorno essi si perfezionano sempre più. Dopo questa prima età, essi vengono trasferiti in un altro Cielo, dove sono istruiti da dei maestri, e così via di seguito.
(335)
I bambini vengono istruiti principalmente attraverso immagini adatte alla loro mentalità e al loro animo. Non è possibile immaginare fino a che punto queste immagini siano belle e al tempo stesso piene di saggezza interiore. Così a gradi in loro viene sviluppata l’intelligenza che proviene dal bene. Mi è stato concesso di descrivere qui due immagini che ho potuto vedere; da questa si potranno giudicare le altre. Gli angeli rappresentarono prima il Signore che esce dal sepolcro, e al tempo stesso l’unione della Sua umanità con la Sua divinità; questo avveniva in maniera saggia, innocente e infantile, superiore ad ogni saggezza umana. Il sepolcro appariva inizialmente da solo, quindi circondato da una sorta di atmosfera liquida, che ricordava l’idea del battesimo; quindi appariva il Signore che usciva dal sepolcro, si avvicinava a loro e li portava con sé in Cielo: e questo veniva mostrato con una prudenza e una pietà incomparabili. Altre immagini, simili a giochi adatti al carattere dei bambini, aiutano a portarli verso la conoscenza del bene e del vero.
(336)
Mi è anche stato mostrato fino a che punto l’intelletto dei bambini è dolce e tenero e può essere aperto al Signore, il quale influisce sulle loro idee, come del resto fa con gli adulti. Nessun principio sbagliato o malvagio impedisce ai bambini di comprendere la verità, di ricevere il bene e di giungere alla saggezza. E’ quindi evidente che i bambini non pervengono allo stato angelico subito dopo la morte, ma vi sono introdotti successivamente attraverso la conoscenza del bene e del vero secondo l’ordine celeste. Il Signore conosce i minimi dettagli del loro carattere e influisce su ognuno nel modo più appropriato e adatto alle loro inclinazioni.
(337)
Mi è stato anche mostrato come ogni cosa venga loro insinuata attraverso i piaceri e le gioie che convengono al loro carattere. Ho visto bambini vestiti con la più grande eleganza; intorno al petto e alle braccia avevano ghirlande di fiori che brillavano di colori affascinanti e celestiali. Una volta ho visto dei bambini in compagnia delle loro governanti in un giardino paradisiaco ornato di alberi e cespugli di lauro che formavano dei porticati con viali che conducevano verso l’interno. Quando i bambini, elegantemente vestiti, entrarono, i fiori dei porticati risplendettero in maniera affascinante. Attraverso questi piaceri e queste gioie il Signore insinua loro incessantemente i beni dell’innocenza e della carità.
(338)
Mi è stato anche mostrato, attraverso una via di comunicazione molto comune nell’altra vita, quali sono le idee dei bambini quando vedono degli oggetti. Tutti gli oggetti in generale e in particolare sono come vivi per loro: così che in ogni concetto e idea c’è la vita. Mi sono anche reso conto che idee quasi simili esistono presso i bambini della terra quando sono intenti ai loro giochi infantili, perché non possono riflettere come gli adulti per distinguere ciò che è animato da ciò che non lo è.
(339)
I bambini che sono portati verso gli angeli celesti si distinguono facilmente perché agiscono in maniera dolce; quelli invece che hanno una tendenza spirituale non hanno questa dolcezza, ma presentano una sorta di vibrazione leggera in tutto ciò che a loro si riferisce.
(340)
Molte persone immaginano che i bambini restino bambini tra gli angeli del Cielo. Coloro che sono nell’ignoranza circa ciò che è un angelo, si sono potuti confermare in questa opinione attraverso le immagini che hanno visto nelle Chiese, dove gli angeli sono rappresentati come bambini. Le cose però vanno diversamente: dato che sono l’intelligenza e la saggezza a fare l’angelo, e dato che i bambini ancora non possiedono queste qualità, essi sono presso gli angeli, ma non sono ancora angeli; lo divengono soltanto quando hanno acquisito intelligenza e saggezza. Allora - e ciò mi ha stupito - essi non appaiono più come bambini con un carattere infantile, ma come adulti con un carattere angelico adulto: sono l’intelligenza e la saggezza a produrre ciò. Via via che i bambini vengono perfezionati in intelligenza e saggezza, appaiono più adulti, perché l’intelligenza e la saggezza sono il nutrimento spirituale per eccellenza. Le cose che nutrono la loro mente nutrono anche il loro corpo, e questo avviene in base alla corrispondenze, perché la forma del corpo è in tutto e per tutto la forma esterna dell’interiorità. Bisogna sapere che i bambini in Cielo, divenendo adulti, non vanno oltre la prima giovinezza, e vi restano eternamente. Al fine di averne la certezza, mi è stato concesso di parlare con alcuni che erano stati allevati in Cielo ed erano cresciuti. Ho anche parlato con dei bambini, e in seguito ho riparlato con loro dopo che erano cresciuti, e da loro stessi ho appreso tutto il corso della loro vita da una età all’altra.
(341)
L’innocenza è il ricettacolo di tutte le cose del Cielo; essa consiste nel voler essere guidati dal Signore, e non da se stessi. Di conseguenza l’uomo è nell’innocenza nella misura in cui si allontana da sé. In Cielo i bambini sono condotti dalla loro prima innocenza, che è esterna ed è chiamata innocenza dell’infanzia, all’innocenza interiore, che è quella della saggezza. Questa innocenza è lo scopo di tutta l’istruzione che ricevono e di tutti i progressi che fanno.
(342)
Parlando dei bambini con gli angeli, ho chiesto loro se i bambini sono esenti dai mali, dato che non hanno fatto l’esperienza del male come gli adulti. Mi fu risposto che anch’essi sono nel male, ma che, come tutti gli angeli, sono distolti dal male e mantenuti nel bene del Signore, in maniera tale però che a loro sembra di essere nel bene per iniziativa propria. Affinché però i bambini divenuti adulti non credano erroneamente che il bene viene da loro stessi, e non dal Signore, a volte sono riportati nei loro mali ereditari e lì sono lasciati perché sappiano, riconoscano e credano che il bene viene dal Signore e non da loro stessi. Uno spirito, figlio di un re, che era morto bambino ed era cresciuto in Cielo, aveva questa opinione errata. Egli fu dunque riportato nei suoi mali ereditari e io mi resi conto che era portato a comandare gli altri e che non dava alcuna importanza agli adulteri; quando se ne fu reso conto, fu ricevuto di nuovo tra gli angeli coi quali era stato in precedenza. L’uomo nell’altra vita non è mai punito per un male ereditario, perché questo male non gli appartiene e non ne è quindi colpevole. E’ però punito per il male che appartiene a lui e che ha compiuto nella vita che ha vissuto. I bambini divenuti adulti sono rimessi nello stato del loro male ereditario non per essere puniti, ma perché sappiano che per se stessi non sono che male. Devono sapere che sono stati elevati al Cielo per la misericordia del Signore e che non è per loro merito se sono in Cielo; di conseguenza non devono inorgoglirsi davanti agli altri, perché ciò è contro l’amore reciproco, contro la verità e contro la fede.
(343)
Più volte mi è capitato di trovarmi al centro di un coro di bambini; essendo essi ancora nella prima infanzia, li sentivo come qualcosa di tenero, non coordinato, così che non agivano in maniera unitaria, come fanno gli adulti. Gli spiriti che erano insieme a me non potevano trattenersi, con mia grande sorpresa, dal dare loro consigli sul modo in cui dovevano esprimersi: infatti questa tendenza è innata negli spiriti. I bambini resistevano, non volevano parlare in quel modo, ed erano anche un poco indignati. Sono stato poi informato che in ciò consiste la tentazione dei bambini, affinché si abituino non solo a resistere agli errori e al male, ma anche a non pensare, parlare e agire in base agli altri e di conseguenza a non farsi condurre che dal Signore.
(344)
Da quanto fin qui detto, si può vedere che l’educazione dei bambini in Cielo consiste nel farli entrare, attraverso la comprensione del vero e la saggezza del bene, nella vita angelica, che è l’amore per il Signore e l’amore reciproco in cui consiste l’innocenza.
(345)
Ecco la differenza tra coloro che muoiono bambini e coloro che muoiono adulti: coloro che muoiono adulti hanno, e portano con sé, una base che hanno acquisito nel mondo terreno e materiale. Questa base, che è la loro memoria con le sue tendenze naturali, resta invariata dopo la morte e serve al pensiero come piattaforma su cui affluiscono i pensieri. Di conseguenza l’uomo dopo la morte corrisponde a questa base di pensiero. Invece i bambini che sono morti bambini e hanno ricevuto la loro educazione in Cielo, non hanno questa base perché non portano con sé nulla del mondo materiale né del corpo terreno. Inoltre essi ignorano di esser nati nel mondo e credono di essere nati in Cielo. Di conseguenza essi conoscono soltanto la nascita spirituale che avviene attraverso la conoscenza del bene e del vero e attraverso l’intelligenza e la saggezza che rendono l’uomo uomo. Dato che queste cose vengono dal Signore, essi credono e amano credere di essere figli del Signore stesso. Tuttavia lo stato degli uomini che si evolvono sulla terra può divenire più perfetto che quello dei bambini che si evolvono in Cielo se questi uomini rifiutano gli amori corporali e terreni, che sono amori di sé e del mondo, e accolgono al posto loro gli amori spirituali.
(39)
I SAGGI E I SEMPLICI IN CIELO
(346)
Si crede che i saggi debbano avere in Cielo più gloria ed eminenza dei semplici, perché in Daniele è detto:
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre (Daniele XII, 3).
Poche persone però sanno che cosa si intende per saggi che inducono alla giustizia. Si crede infatti generalmente che siano gli eruditi e i sapienti, specie coloro che hanno insegnato nell’ambito della chiesa e hanno superato gli altri in dottrina e in predicazione, e più ancora coloro che hanno compiuto molte conversioni. Costoro passano per saggi nel mondo, ma non sono certo i saggi del Cielo perché la loro saggezza non è quella celeste.
(347)
L’intelligenza celeste è un’intelligenza interiore, che trae la sua origine dall’amore del vero, non in vista di qualche gloria nel mondo o in Cielo, ma in vista della verità stessa di cui si gioisce intimamente.
(348)
In Cielo sono chiamati saggi coloro che sono nel bene; e là sono nel bene coloro che applicano immediatamente le divine verità alla vita. Infatti le divine verità divengono un bene quando sono applicate alla vita. Di conseguenza sono chiamati saggi perché la saggezza appartiene appunto alla vita.
(349)
Tutti coloro che nel mondo hanno acquisito intelligenza e saggezza, sono ricevuti in Cielo e divengono degli angeli a seconda della qualità e della quantità della loro intelligenza e della loro saggezza. In effetti l’uomo conserva e porta con sé dopo la morte tutto ciò che ha acquisito nel mondo, l’aumenta e lo completa in base al suo amore e al suo desiderio di verità e di bene, ma non al di là di questo. Tutti ricevono nei limiti in cui possono ricevere; coloro che hanno avuto molto amore e desiderio ricevono molto, coloro che ne hanno avuto poco ne ricevono poco. Il grado di amore e desiderio è come una misura che può essere riempita fino al culmine: si riceve dunque di più se la misura è grande, e meno se è piccola. Lo dicono queste parole del Signore:
Poiché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza (Matteo XXV, 29).
Una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo (Luca VI, 38).
(350)
Tutti coloro che hanno amato il vero e il bene per il vero e il bene, sono ricevuti in Cielo. Coloro che li hanno molto amati, sono in una grande luce e sono chiamati saggi, coloro che li hanno amati poco sono in una luce minore e sono chiamati semplici; ognuno è nella luce che corrisponde al grado del suo amore del bene e del vero. Amare il vero e il bene per il vero e il bene significa volerlo e farlo. Coloro che non lo vogliono e non lo fanno non l’amano; ma coloro che lo vogliono e lo fanno l’amano, amano il Signore e sono da lui amati, poiché il bene e il vero vengono dal Signore. L’amore infatti è reciproco.
(351)
Nel mondo si crede che coloro che sono maggiormente istruiti nelle dottrine della chiesa e della Scrittura, o nelle scienze, vedano la verità con più penetrazione e profondità degli altri, e siano più intelligenti e saggi; essi stessi si considerano tali. Tratterò ora della vera intelligenza e della vera saggezza, dell’intelligenza bastarda e della saggezza bastarda, della falsa intelligenza e della falsa saggezza. La vera intelligenza e la vera saggezza consistono nel vedere e capire che cosa sono il vero e il bene, e di conseguenza il falso e il male; e nel fare la giusta distinzione tra queste cose in base all’intuizione e alla percezione interiore. I veri saggi e i veri intelligenti sono coloro che apprendono ogni cosa che riguarda il Cielo, sulla base della Scrittura e della Chiesa, e anche ciò che riguarda il mondo, sulla base delle scienze. Chi apprende queste cose e le applica alla vita, diviene intelligente e saggio. I semplici invece sono coloro che sono aperti interiormente, come i saggi, però non hanno coltivato se stessi nelle verità spirituali, morali, civili e naturali; essi vedono il vero, ma non lo vogliono di per se stessi. I saggi al contrario sono aperti interiormente e hanno coltivato se stessi in tutte le verità.
(352)
L’intelligenza e la saggezza bastarde consistono nel non vedere e nel non percepire interiormente il vero e il bene e neppure il falso e il male; ma soltanto nel credere ciò che gli altri definiscono vero e bene, falso e male, e nel confermarlo. La luce attraverso la quale essi vedono non è quindi quella del Cielo, ma quella del mondo, chiamata luce naturale - e in questa luce ciò che è falso può brillare come ciò che è vero. Tra costoro non sono compresi coloro che nell’infanzia hanno accettato come vere cose apprese dai loro maestri, a condizione che in seguito valutino col proprio intelletto, desiderino il bene, lo ricerchino e lo accettino quando l’hanno trovato.
(353)
La falsa intelligenza e la falsa saggezza sono l’intelligenza e la saggezza prive della conoscenza del divino; infatti coloro che non riconoscono il divino, ma lo prendono per natura e pensano unicamente in base al corpo e ai sensi, sono semplicemente dei sensuali anche se il mondo li ritiene sapienti ed eruditi. Però la loro erudizione non va al di là delle cose che si offrono agli occhi nel mondo: essi interpretano la Scrittura come il prodotto di intuizioni razionali e non vedono il divino che è in essa. L’interiorità di queste persone è chiusa ed essi non vedono il vero e il bene, che per loro sono nel buio, mentre il falso e il male sono nella luce. Di costoro il Signore ha detto:
Pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono (Matteo XIII, 13).
(354)
Mi è stato concesso di parlare con parecchi eruditi dopo che avevano lasciato questo mondo, certuni erano stati molto famosi e celebri negli ambienti colti per i loro scritti, e altri erano stati meno celebri; però tutti senza distinzione avevano acquisito una certa saggezza. Essi avevano negato interiormente Dio, ma l’avevano confessato esteriormente, ed erano divenuti talmente ottusi da non riuscire più a vedere alcuna verità. La loro interiorità era talmente chiusa che non riuscivano a sopportare alcuna luce celeste, e di conseguenza non erano sensibili ad alcun influsso del Cielo. Anche nell’altra vita ardevano dal desiderio di essere ammirati e celebrati e desideravano con tutte le loro forze un culto simile a quello reso alle divinità. L’erudizione del mondo fa questa fine quando non ha ricevuto in sé la luce del Cielo attraverso la conoscenza del divino.
(355)
Questa dunque è la condizione degli eruditi nel mondo spirituale dopo che hanno lasciato il mondo. L’uomo in effetti porta con sé la propria memoria naturale, che però non gli consente di produrre nulla nella luce spirituale, perché non appartiene a questa luce.
(356)
Al contrario coloro che hanno applicato ogni conoscenza alla vita, hanno riconosciuto il divino, amato la Scrittura e vissuto una vita spirituale morale, hanno acquisito intelligenza e saggezza. Le scienze sono loro servite per divenire saggi e anche per corroborare le cose che riguardano la fede.
Questi intelligenti e questi saggi risplendono in Cielo come stelle del firmamento. I semplici del Cielo sono invece coloro che hanno riconosciuto il divino, amato la Scrittura e vissuto una vita spirituale morale, ma non hanno coltivato la propria interiorità con le conoscenze e le scienze. La mente umana infatti è come un humus il cui valore dipende dalla cultura.
(40)
I RICCHI E I POVERI IN CIELO
(357)
Sull’ingresso in Cielo esistono opinioni diverse; alcuni sostengono che soltanto i poveri, e non i ricchi possono entrarvi, altri ritengono che vi abbiano accesso sia i ricchi che i poveri. Altri ancora dicono che i ricchi possono esservi ricevuti soltanto se rinunciano ai loro beni e divengono come i poveri. Però coloro che stabiliscono delle differenze tra i ricchi e i poveri con riferimento al Cielo, non comprendono la Scrittura. Coloro che ne intendono solo il significato naturale, ma non vedono quello spirituale, cadono nell’errore nell’interpretazione di diversi passaggi, specialmente per quello che riguarda i ricchi e i poveri. Per esempio, il passaggio che afferma che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri in paradiso; o l’altro che dice che è facile per i poveri entrare in Cielo appunto perché sono poveri:
Beati i poveri perché di loro è il regno dei Cieli (Luca VI, 20).
Coloro che hanno qualche conoscenza del senso spirituale della Scrittura pensano in modo diverso, sanno che il Cielo è per tutti una vita di fede e d’amore, ricchi o poveri che siano. Dirò ora che cosa intende la Scrittura con ricchi e poveri. In base a numerosi incontri con gli angeli, mi è stato concesso di sapere con certezza che i ricchi accedono al Cielo con la stessa facilità dei poveri e che l’uomo non è escluso dal Cielo per il fatto di essere nell’abbondanza, né ricevuto in Cielo perché è nell’indigenza. Là ci sono i ricchi come i poveri, e molti ricchi si trovano in una gloria e in una felicità più grandi di quelle godute dai poveri.
(358)
Prima di tutto mi è permesso di dire che l’uomo può acquisire delle ricchezze e accrescere la propria opulenza se ha occasione di farlo, purché non lo faccia con furberia o cattive azioni. Può mangiare bene e in modo raffinato, purché non ne faccia lo scopo della sua vita. Può abitare in case magnifiche a seconda della sua condizione, conversare con gli amici, frequentare luoghi di divertimento, parlare delle cose del mondo. Non è necessario che cammini in atteggiamento costantemente devoto, con viso triste, gemendo con la testa bassa, ma può essere gaio e gioioso. Non è neppure necessario che regali quello che ha ai poveri, a meno che non ne sia indotto da un sentimento d’amore. In una parola, può vivere nella forma esteriore come un uomo di mondo; e questo non gli impedisce affatto di entrare in Cielo, ammesso che dentro di sé pensi come si conviene con riferimento a Dio, che agisca con sincerità e giustizia verso il prossimo. L’uomo in effetti è come sono i suoi pensieri e i suoi sentimenti, oppure la sua fede e il suo amore; gli atti sono la diretta conseguenza dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. E’ dunque evidente che quello che conta è l’interiorità dell’uomo. Per esempio, chi non inganna nessuno per timore delle leggi, per non perdere il buon nome o per altri motivi simili, è una persona che ingannerebbe certamente se lo potesse. Invece chi agisce sinceramente e non inganna nessuno perché ingannare significa agire contro Dio e contro il prossimo, non saprebbe ingannare nessuno anche se potesse farlo. Gli atti dell’uno e dell’altro sembrano simili nella forma esterna, ma sono del tutto diversi nella forma interiore. Infatti il primo è all’inferno, il secondo in Cielo.
(359)
Dato che l’uomo, nella forma esteriore, può vivere come gli altri, diventare ricco, organizzare delle cene, abitare e vestirsi elegantemente secondo la sua condizione e la sua attività, godere dei piaceri della società, occuparsi di cose mondane e di affari a condizione che dentro di sé riconosca Dio e sia benevolo verso il prossimo, è evidente che entrare in Cielo non è così difficile come si potrebbe pensare. La sola difficoltà è resistere all’amore per se stessi e per il mondo e impedire che prenda il sopravvento, perché è di lì che derivano tutti i mali. Queste parole del Signore mostrano che non è tanto difficile entrare in Cielo:
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristori per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero (Matteo XI, 29-30).
Il giogo del Signore è leggero perché se l’uomo resiste ai mali derivanti dall’amore di sé e del mondo, è condotto dal Signore e non da se stesso; così il Signore l’aiuta a resistere ai mali e a gettarli lontano.
(360)
Ho conversato con alcuni spiriti che durante la loro vita terrena avevano rinunciato al mondo e si erano dedicati a una vita quasi solitaria, allo scopo di occuparsi di pie meditazioni e staccare il loro pensiero dalle cose mondane, nella convinzione di poter così entrare in Cielo. Nell’altra vita essi hanno un carattere triste, disprezzano quelli che non assomigliano a loro, si indignano per il fatto di non godere di più gioie degli altri ritenendo di averle ben meritate. Non si preoccupano degli altri, si astengono dai doveri della carità - che sono in realtà quelli che creano l’unione col Cielo. Questi spiriti desiderano il Cielo più degli altri, ma quando vengono introdotti là dove sono gli angeli, portano con sé delle ansietà che turbano la felicità degli angeli. Sono dunque separati da loro e dopo la separazione si recano in luoghi deserti dove conducono una vita analoga a quella che conducevano nel mondo. L’uomo non può essere formato per il Cielo che attraverso i mezzi offerti dal mondo, e questi mezzi sono in primo luogo quelli della carità verso il prossimo; non esiste infatti una vera vita di pietà senza carità. Così avviene che i gesti di carità di una persona che vive nel mondo e negli affari possono essere più numerosi di quelli di chi vive in isolamento. E in effetti un buon numero di coloro che sono vissuti nel mondo e hanno praticato il commercio diventando ricchi, sono in Cielo. In minor numero invece sono coloro che nel mondo sono pervenuti agli onori e alle ricchezze amministrando la giustizia e la legge: costoro infatti spesso hanno finito per amare se stessi più del Cielo e si sono allontanati col pensiero dal divino.
(361)
I ricchi in Cielo vivono più degli altri nell’opulenza, certuni abitano in palazzi risplendenti d’oro e d’argento. Hanno in abbondanza tutte le cose che servono agli usi della vita, tuttavia il loro cuore aderisce agli usi stessi, e non alle cose. Nel mondo essi hanno amato l’uso che si può fare delle cose, ed è per questo che per loro ora le cose risplendono come oro e argento. Il buon uso delle cose consiste nel provvedere per sé e i propri cari le cose necessarie alla vita, a cercare l’abbondanza in vista della patria e del prossimo, ai quali il ricco - più del povero – può fare del bene. Nella misura in cui le ricchezze sono considerate in vista del bene per il quale possono essere utilizzate, esse sono buone e portano al Cielo.
(362)
Tutta diversa è invece la sorte dei ricchi che non hanno creduto al divino e hanno allontanato dalla propria anima le cose che appartengono al Cielo e alla Chiesa. Essi si trovano all’inferno, dove non trovano che miseria e indigenza. E’ così che vengono trasformate le ricchezze quando se ne fa lo scopo della vita, se ne fa un uso solo personale e terreno, non le si mette al servizio degli altri. Nell’altra vita queste ricchezze marciscono come un corpo senz’anima e come una terra umida senza la luce del Cielo. Tale è la sorte di coloro che amando le ricchezze hanno distolto lo sguardo dal Cielo.
(363)
Ognuno conserva dopo la morte i propri desideri e i propri affetti dominanti; essi gli restano per l’eternità perché lo spirito dell’uomo corrisponde in pieno al suo amore. Con riferimento a ricchi e poveri, le ricchezze di coloro che le hanno usate a buoni fini sono trasformate in cose piacevoli e utili; quelle che sono servite a fini malvagi sono trasformate in sporcizia - che tuttavia conservano per coloro che così hanno agito il fascino delle voluttà impure della terra.
(364)
I poveri entrano in Cielo non a causa della loro povertà, ma della loro vita. Ognuno porta con sé la propria vita, ricca o povera che sia stata. Non c’è misericordia particolare per uno piuttosto che per un altro; chi ha vissuto bene è ricevuto in Cielo, chi ha vissuto male è rifiutato. Inoltre sia la povertà che l’opulenza possono allontanare l’uomo dal Cielo. Molti poveri non sono contenti della loro sorte, hanno grandi ambizioni e credono che le ricchezze siano delle benedizioni; se non riescono a ottenerle si irritano e pensano male della divina provvidenza. Invidiano agli altri tutti i loro beni, li ingannano quando se ne presenta l’occasione e vivono in voluttà impure. Diversamente avviene dei poveri che sono contenti della loro sorte, diligenti nel loro lavoro, preferiscono essere operosi che oziosi e agiscono con sincerità e fedeltà vivendo al tempo stesso una vita cristiana. Mi sono più volte intrattenuto con spiriti che erano stati contadini o comunque gente povera, e che in vita avevano creduto in Dio e avevano agito con giustizia e onestà nel loro lavoro. In Cielo essi conducevano una vita felice ed erano istruiti dagli angeli sulla fede e la carità.
(365)
Da quanto fin qui detto, si vede chiaramente che sia i ricchi che i poveri possono accedere al Cielo, senza differenze di alcun genere. Si crede che i poveri vi pervengano con più facilità perché non è capito il passaggio della Scrittura che li riguarda. Nel senso spirituale, i ricchi sono coloro che hanno in abbondanza la conoscenza del bene e del vero, e coloro che sono all’interno della Chiesa e conoscono la Scrittura. I poveri sono coloro che non possiedono questa conoscenza e che tuttavia la desiderano, e anche coloro che sono fuori dalla Chiesa e non conoscono la Scrittura. Quando Matteo (XIX, 24) dice che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei Cieli, intende colui che lo è nei due sensi, quello naturale e quello spirituale. Nel senso naturale, il ricco abbonda in ricchezza e le ama con tutto il cuore; nel senso spirituale è inteso colui che abbonda di scienza e conoscenza, che sono le ricchezze spirituali, e che attraverso queste vuole entrare in Cielo. Ed è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago prima che questo possa avvenire. Nel senso spirituale il cammello significa la facoltà di apprendere e la conoscenza in generale; la cruna di un ago è la verità spirituale. Oggi nessuno sa che il cammello e la cruna di un ago hanno questi significati, perché fino ad oggi la scienza che insegna il senso spirituale contenuto nella lettera della Scrittura non è stata ancora rivelata. In effetti ogni parola della Scrittura ha un senso naturale e un senso spirituale. La Scrittura è stata infatti composta attraverso le corrispondenze delle cose naturali con le cose spirituali. In Arcana Coelestia sono rivelati molti di questi significati spirituali.
(41)
I MATRIMONI IN CIELO
(366)
Poiché il Cielo è composto dal genere umano, gli angeli sono dei due sessi; poiché fin dall’inizio della creazione la donna è stata fatta per l’uomo e l’uomo per la donna, ed essendo l’amore innato nell’uno e nell’altro, ne consegue che in Cielo ci sono dei matrimoni come sulla terra, che però differiscono molto dai matrimoni terreni. Descriverò ora la differenza tra questi due matrimoni.
(367)
Il matrimonio nei Cieli è l’unione di due anime in una sola. L’anima, o mente, è costituita da due parti, l’intelletto e la volontà; quando queste due parti agiscono all’unisono, formano una sola anima. Il marito ha il ruolo dell’intelletto, la sposa quello della volontà. Quando questa unione che fa parte dell’interiorità discende fino al corpo, è percepita e sentita come amore; questo amore è l’amore coniugale. E’ quindi evidente che l’amore coniugale trae la sua origine dall’unione di due anime in una sola, e ciò è chiamato in Cielo coabitazione. Si dice allora che essi sono uno, e non due, e due sposi in Cielo sono chiamati non due angeli, ma un angelo.
(368)
Tale unione del marito e della sposa risale alla creazione stessa. In effetti l’uomo nasce per essere intellettuale, per pensare in base all’intelletto, e la donna nasce per essere volitiva, per pensare in base alla volontà. Lo si vede chiaramente anche dal carattere, perché l’uomo agisce secondo la ragione e la donna secondo gli affetti. E anche in base alla forma, perché l’uomo ha il volto più rude e meno bello, la parola più grave, il corpo più duro, mentre la donna ha il volto più dolce e più bello, la parola più tenera, il corpo più morbido. Un’analoga differenza esiste tra l’intelletto e la volontà, o tra il pensiero e l’affetto, e anche tra il vero e il bene e tra la fede e l’amore; perché il vero e la fede appartengono all’intelletto e il bene e l’amore appartengono alla volontà. E’ per questo che nella Scrittura il giovanotto e l’uomo rappresentano la verità, e la vergine e la donna rappresentano il bene.
(369)
Ognuno, uomo o donna che sia, gode di un intelletto e di una volontà, ma nell’uomo predomina l’intelletto e nella donna la volontà, e il carattere della persona dipende dall’elemento dominante. Nei Cieli non esiste alcun predominio nei matrimoni perché la volontà della sposa è anche quella del marito, e l’intelletto del marito è anche quello della sposa, perché ciascuno desidera volere e pensare come l’altro, e ciò crea l’unione. Questa unione è reale: in effetti la volontà della sposa entra nell’intelletto del marito, e l’intelletto del marito nella volontà della sposa. Ciò avviene principalmente quando si guardano in volto. In Cielo vi è comunione di affetti, specialmente tra gli sposi che si amano reciprocamente.
(370)
Gli angeli mi hanno detto che nella misura in cui due sposi sono in una tale unione, sono nell’amore coniugale, e al tempo stesso nell’intelligenza, nella saggezza e nella felicità. L’amore coniugale è il piano per eccellenza dell’influsso divino, perché è il matrimonio del vero e del bene.
(371)
Il divino che procede dal Signore influisce principalmente nell’amore coniugale perché l’amore coniugale deriva dall’unione del bene e del vero, che a loro volta procedono da Dio. Per questa ragione l’unione del vero e del bene nel Cielo è paragonato a un matrimonio ed è anche chiamato matrimonio, e il Signore è chiamato fidanzato o marito, e il Cielo con la Chiesa fidanzata o sposa.
(372)
Questa unione è paragonabile a ciò che avviene nell’uomo quando pensa quello che vuole e vuole quello che pensa; allora il pensiero e la volontà divengono una cosa sola. Che due sposi nel Cielo non sono chiamati due angeli, ma uno solo, è espresso anche da queste parole del Signore:
Non avete letto che il Creatore da principio creò maschio e femmina e disse: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola ? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non separi (Matteo XIX, 4-5-6).
Qui è descritto il matrimonio celeste nel quale sono gli angeli, e al tempo stesso il matrimonio del bene e del vero.
(373)
Da quanto procede si può vedere da dove deriva l’amore veramente coniugale; esso si forma dapprima negli animi, e poi discende nei corpi dove è sentito e percepito come amore. L’origine di questo amore è spirituale perché deriva dall’intelletto e dalla volontà.
(374)
Ho sentito un angelo descrivere l’amore veramente coniugale e i suoi piaceri celesti: egli diceva che questo amore è il divino stesso del Signore nei Cieli, cioè il bene divino e la divina verità uniti a tal punto in due esseri che essi non sono due, ma uno solo.
(375)
Tutti sanno che due sposi che si amano sono uniti interiormente, e che la cosa essenziale del matrimonio è l’unione degli spiriti o delle menti. E in quanto tale la loro unione è l’unione del bene e del vero. Anche il falso e il male si amano, ma questo amore è trasformato poi in inferno.
(376)
Da quanto fin qui detto sull’origine dell’amore coniugale, si possono riconoscere coloro che sono davvero in questo amore e coloro che invece non vi sono. Coloro che sono nel vero amore coniugale, sono nella divina verità e nel divino bene; e più autentici sono questa verità e questo bene, più autentico è l’amore coniugale. E poiché il bene congiunto al vero deriva dal Signore, ne consegue che non si può essere nell’amore veramente coniugale senza riconoscere il Signore. himmelens-anglar.se
(377)
E’ dunque evidente che coloro che sono nell’errore e nel male, non sono nel vero amore coniugale. Mi è stato concesso di vedere qual è il matrimonio tra due che sono nell’errore e nel male. Vi sono tra loro degli incontri lascivi e delle unioni lascive, ma interiormente bruciano di un odio mortale uno contro l’altro, e questo odio è così grande che non è possibile descriverlo.
(378)
L’amore coniugale non può esistere tra due persone che non appartengono alla stessa religione, perché il vero dell’uno non concorda col bene dell’altro, e due cose dissimili e discordanti non possono trasformare due animi in uno solo. Per questa ragione l’origine del loro amore non è spirituale, e se essi coabitano e si accordano è soltanto per cause naturali. Allo stesso modo in Cielo i matrimoni avvengono tra persone che appartengono alla stessa società, perché così sono nello stesso bene e nella stessa verità.
(379)
L’amore veramente coniugale non può neppure esistere tra un marito e più mogli, perché questa situazione ne distrugge l’origine spirituale che consiste nel trasformare due anime in una sola. Un matrimonio con più di una sposa è come un intelletto diviso tra parecchie volontà, o come un uomo legato a parecchie Chiese e non a una sola, così che la sua fede e divisa al punto da divenire nulla. Gli angeli dicono che è assolutamente contrario all’ordine divino avere parecchie spose; infatti chi pensa a parecchie spose diviene come ebbro, il suo amore è lascivo e lo distoglie dal cielo. L’uomo fatica a comprendere queste cose, perché ben pochi sulla terra sono nel vero amore coniugale, e quelli che non vi sono non sanno assolutamente niente dei piaceri interiori che esistono in questo amore, conoscono soltanto un piacere lascivo che si trasforma in disgusto dopo un breve periodo di coabitazione. Invece il piacere dell’amore veramente coniugale non soltanto dura fino alla vecchiaia, ma continua in Cielo, dove si riempie di un piacere interiore che si perfeziona durante l’eternità. Essi aggiunsero che le beatitudini dell’amore celeste veramente coniugale si contano a migliaia, ma nessuna è conosciuta dall’uomo né può essere concepita dalla sua mente.
(380)
Il desiderio di dominio di uno sposo sull’altro distrugge completamente l’amore coniugale e il suo piacere celeste. Come è già stato detto, l’amore coniugale e il suo piacere consistono nel far sì che la volontà dell’uno sia quella dell’altro, mutualmente e reciprocamente. Questa condizione è distrutta dal desiderio di dominio, perché chi domina vuole che la sua volontà sia anche nell’altro, il quale deve annullare la propria; di conseguenza non c’è più nulla di reciproco né alcuna unione di amore e di intenti. Mentre invece questa comunione e questa unione dell’intelletto e della volontà costituiscono la beatitudine del matrimonio. Quando c’è dominio, non c’è libertà, i due diventano schiavi, perché anche colui che domina è schiavo della sua brama di dominare. Tutto questo è incomprensibile per chi ignora che cos’è la libertà dell’amore celeste. Gli animi di coloro che vivono un tale matrimonio non sono uniti, ma sono perennemente in collisione; questa situazione si ripresenta dopo la morte, quando i due sono riuniti, e si manifesta anzi con più vigore in quanto i due allora agiscono in base alla loro interiorità. Nell’altra vita infatti l’interiorità è messa in libertà e non ha più alcuna costrizione esterna come avveniva nel mondo.
(381)
In alcuni si constata un’apparenza di amore coniugale, ma non si tratta di vero amore coniugale, perché queste persone non sono nel bene e nel vero. Tale apparenza è dovuta al desiderio di essere serviti, di conservare la propria tranquillità e le proprie comodità, d’essere curati quando non stanno bene e quando invecchiano, oppure all’interesse comune per i figli che entrambi amano; per altri è dovuta al timore di perdere la propria reputazione, altri sono guidati dalla lascivia. L’amore coniugale può anche essere diverso tra gli sposi, uno può averne di più e l’altro meno; per cui per uno c’è il Cielo, per l’altro l’inferno.
(382)
L’amore coniugale vero si trova nel Cielo intimo, perché qui gli angeli sono nel matrimonio del bene e del vero, e anche nell’innocenza. Gli angeli dei Cieli inferiori sono anche loro nell’amore coniugale, ma nei limiti in cui sono nell’innocenza, perché l’amore coniugale considerato in se stesso è uno stato di innocenza. Tra gli sposi che sono nell’amore coniugale vi sono dei piaceri celesti, dei giochi innocenti quasi simili a quelli dei bambini piccoli, perché tutto è piacere per l’animo loro. Dato che il Cielo influisce con la sua gioia in ogni cosa della loro vita, l’amore coniugale è rappresentato nel Cielo nella forma più bella. Mi è stato detto che gli angeli in Cielo traggono tutti la loro bellezza dall’amore coniugale.
(382 bis)
I matrimoni sulla terra sono fatti anche per la procreazione dei bambini, e in questo differiscono da quelli celesti dove questo non avviene. Al posto di questa procreazione, in Cielo vi è una procreazione di bene e di vero. Questa procreazione rimpiazza l’altra, perché in Cielo ciò che viene amato sopra ogni cosa è il bene e il vero. Sono dunque bene e verità i risultati dei matrimoni in Cielo. Per questa ragione nella Scrittura natività e procreazione significano natività e procreazioni spirituali, che sono quelle del vero e del bene. La madre e il padre rappresentano il vero congiunto al bene che procrea; i figli e le figlie, le verità e i beni che vengono procreati; i generi e le nuore, l’unione di queste verità e di questi beni, e così di seguito. Questo fa capire che i matrimoni in cielo differiscono da quelli della terra. Nei Cieli ci sono delle nozze spirituali che non devono essere chiamate nozze, ma unione di anime attraverso il matrimonio del bene e del vero. Sulla terra al contrario ci sono delle nozze che riguardano non solo lo spirito ma anche la carne.
(383)
Mi è stato concesso anche di vedere come in Cielo vengono contratti i matrimoni. In Cielo coloro che sono simili sono uniti, e coloro che non lo sono sono separati; ogni società è dunque composta di angeli che si somigliano. I simili sono portati verso i loro simili dal Signore, non da loro stessi, e questo avviene anche con lo sposo e la sposa il cui mentale può essere fuso in uno solo. Appena si incontrano essi si amano teneramente, si considerano sposi e contraggono matrimonio. Quindi tutti i matrimoni del Cielo provengono dal Signore. Viene celebrata anche una festa, che si svolge durante una riunione numerosa; ogni società ha consuetudini diverse a questo proposito.
(384)
I matrimoni sulla terra sono santi agli occhi del Cielo perché sono i vivai del genere umano e anche degli angeli del Cielo (dato che il Cielo proviene dal genere umano, come è stato spiegato precedentemente) e anche perché la loro origine è spirituale. Al contrario, gli adulteri, che sono contrari all’amore coniugale, sono considerati dagli angeli come profanazioni. Nei matrimoni inquinati da adulterio non c’è verità né bene, e quindi gli angeli distolgono da essi la loro attenzione. Quando l’uomo commette adulterio per il suo piacere, il Cielo si chiude per lui e lui non riconosce più il divino. Il piacere dell’adulterio è infernale ed è diametricalmente opposto a quello del matrimonio, che è un piacere celeste.
(385)
Mi è capitato sovente di parlare con spiriti delle più diverse tendenze, e di vedere confermato tutto quanto qui esposto. himmels-engel.de
(386)
Mi è stato più volte mostrato come i piaceri dell’amore coniugale portano verso il Cielo, e quelli dell’adulterio verso l’inferno. Per chi è in Cielo, ci sono beatitudini e felicità innumerevoli e ineffabili, per chi è all’inferno al contrario ci sono crudeltà e orrori senza fine. Con adulteri si intendono coloro che vedono il piacere nell’adulterio e non ne trovano nessuno nel matrimonio.
(42)
LE FUNZIONI DEGLI ANGELI IN CIELO
(387)
Le funzioni degli angeli nei Cieli non possono essere enumerate né descritte nei particolari, perché sono innumerevoli e molto varie a seconda dei doveri delle società; se ne può parlare solo in termini generali. In effetti, ogni società ha un dovere particolare da compiere e certe funzioni da svolgere, come abbiamo visto precedentemente.
(388)
Nei Cieli come sulla terra c’è un gran numero di amministrazioni; ci sono gli affari ecclesiastici, che si occupano del culto divino (n. 221 fino al 227); gli affari civili che si occupano del governo dei Cieli (n. 213 al 220); gli affari domestici, che si occupano delle abitazioni e delle dimore degli angeli (n. 183 al 190) e dei matrimoni nel Cielo, di cui abbiamo appena trattato. E’ dunque evidente che all’interno di ogni società c’è un gran numero di funzioni e amministrazioni.
(389)
Tutte le cose nei Cieli sono state istituite secondo l’ordine divino, che gli angeli osservano ovunque per mezzo delle amministrazioni. Gli angeli più saggi amministrano le cose di interesse comune o di uso comune, quelli meno saggi amministrano quelle di interesse o uso particolare, e così di seguito. Nessun angelo si inorgoglisce per il fatto di avere un compito più alto, perché ogni compito ha una sua dignità, e tutto viene dal Signore.
(390)
Svolgendo con amore il proprio compito, ogni angelo manifesta il grado del suo amore per il prossimo, e di conseguenza per il Signore, perché è dal Signore che tutto procede.
(391)
Le società in Cielo si distinguono per le attività e gli usi. Vi sono delle società che hanno cura dei bambini piccoli; altre che li istruiscono quando crescono; altre si occupano dei semplici e dei buoni nel mondo cristiano e li conducono verso il Cielo; altre proteggono contro le infestazioni degli spiriti malvagi, che sono spiriti novizi appena arrivati dal mondo terreno. Certi angeli si occupano degli spiriti che vivono ancora sulla terra; altri di quelli che sono all’inferno, e li moderano affinché non si tormentino reciprocamente al di là dei limiti prescritti. In generale gli angeli di ogni società sono inviati agli uomini per salvaguardarli dai pensieri e dai desideri sbagliati. Se costoro li ricevono liberamente, inviano loro buoni sentimenti che li aiutano ad allontanare le intenzioni malvage. Tutte queste funzioni degli angeli sono funzioni del Signore svolte attraverso gli angeli, perché gli angeli le svolgono non per se stessi, ma in base all’ordine divino.
(392)
Queste funzioni degli angeli sono le loro funzioni comuni, però ciascuno ha un suo ruolo particolare, perché ogni uso comune è costituito da innumerevoli usi particolari, che sono coordinati e subordinati secondo l’ordine divino e presi insieme formano il bene comune.
(393)
Le funzioni ecclesiastiche del Cielo sono svolte da coloro che nel mondo hanno amato la Scrittura e si sono consacrati alla ricerca del vero, non per onori e lucro, ma per il bene della loro vita e di quella degli altri. Essi svolgono il ruolo di predicatori e coloro che superano gli altri in saggezza sono collocati a un rango superiore. Le funzioni civili sono svolte da coloro che nel mondo hanno amato la patria e il suo bene comune come il proprio, hanno esercitato la giustizia secondo l’amore e il diritto. In Cielo ci sono tanti uffici, amministrazioni e lavori che non è ammissibile citarli tutti: quelli del mondo sono pochissimi in confronto a quelli del Cielo. Gli angeli che svolgono questi compiti non li svolgono certo per lucro, perché tutto è loro dato gratuitamente in Cielo, ma per amore del bene e del vero.
(394)
Ognuno in Cielo opera in base alle corrispondenze, e di conseguenza molti sono coloro che si trovano in uno stato simile a quello che era loro nel mondo. Infatti lo spirituale e il naturale si corrispondono, con la differenza tuttavia che in Cielo si vive in uno stato di piacere interiore derivante dalla vita spirituale, che è interiore e quindi più sensibile alla ricezione della beatitudine celeste.
(43)
LA GIOIA E LA FELICITÀ CELESTI
(395)
Rarissimi sono coloro che al giorno d’oggi sanno che cos’è il Cielo e in che cosa consistono le gioie celesti. Coloro che vi hanno riflettuto, se ne sono fatti un’idea così comune e grossolana che non si avvicina affatto alla realtà. Essi hanno riflettuto in base alle gioie esterne dell’uomo naturale; siccome l’uomo interiore è loro ignoto, non potevano farsi un’idea dei suoi piaceri e delle sue beatitudini. Se la gioia celeste fosse stata loro spiegata da coloro che la vivono, la spiegazione non sarebbe stata capita, perché sarebbe risultata estranea e ignota. Ognuno tuttavia può sapere che l’uomo, quando lascia il suo uomo esterno o naturale, si trova nel suo uomo interno o spirituale, il che fa capire che il piacere celeste è un piacere interno o spirituale, e non esterno e naturale. In quanto tale, è più puro e squisito e viene avvertito dall’anima e dallo spirito. Ciò che è nello spirito dell’uomo, permane anche dopo la morte, perché allora l’uomo vive come uomo-spirito.
(396)
Tutti i piaceri derivano dall’amore e da nessun’altra cosa; ne risulta quindi che come è l’amore, così è il piacere. I piaceri del corpo o della carne derivano tutti dall’amore di sé e del mondo; da questi derivano le concupiscenze e le voluttà. Invece i piaceri dell’animo o dello spirito derivano tutti dall’amore per il Signore e per il prossimo; da questo amore deriva l’attrazione per il bene e per il vero che produce felicità interiore.
(397)
Il Cielo in se stesso è colmo di piaceri, al punto che consiste soltanto di beatitudini e piacere. E’ così perché il divino amore vuole la salute e la felicità di tutti. Di conseguenza dire Cielo e dire gioia celeste, è la stessa cosa.
(398)
I piaceri del Cielo sono ineffabili e innumerevoli. L’uomo che vive nei piaceri del corpo o della carne non può conoscere uno solo di questi innumerevoli piaceri né crederci, perché la sua anima non guarda il Cielo ma il mondo. Questa persona gioisce soltanto nell’onore, nel lucro e nelle voluttà del corpo e dei sensi. Questi ultimi spengono e soffocano i piaceri interiori che appartengono al Cielo e persino la credenza nella loro realtà. Una simile persona sarebbe molto stupita di sapere che esistono piaceri diversi da quelli terreni, ed è per questo che la gioia celeste non è conosciuta.
(399)
Il maggior piacere del Cielo consiste nel fatto che tutti vogliono comunicare le proprie beatitudini agli altri. Nel Cielo infatti c’è comunicazione di tutti con ciascuno e di ciascuno con tutti, voluta dal Signore per comunicare il reciproco amore. L’amore di se e del mondo è invece ben lontano da questo atteggiamento, essendo un amore distruttivo e opposto agli amori celesti. Se uno spirito che è sempre vissuto nell’amore di sé e del mondo si avvicina alle società celesti, la gioia e il piacere di questa società diminuiscono - mentre lo spirito ne gode.
(400)
E’ bene sapere tuttavia che di rado tali spiriti osano avvicinarsi alle società celesti, e ora dirò qualcosa a questo proposito. Gli spiriti che arrivano nell’altra vita desiderano ardentemente entrare in Cielo. Quasi tutti credono che per vivere in Cielo sia sufficiente esservi introdotti e ricevuti. Avendo questo desiderio, essi vengono indirizzati verso qualche società dell’ultimo Cielo. Ma quando vi giungono, coloro che sono pieni d’amore per sé e per il mondo cominciano a provare angoscia, ad essere tormentati interiormente e sentono in se l’inferno piuttosto che il Cielo. Così finiscono per precipitarsi in basso e non hanno pace finché non sono coi loro simili, all’inferno. Spesso è capitato che tali spiriti abbiano desiderato di conoscere la gioia celeste. Dopo aver sentito dire che essa risiede nell’interiorità degli angeli, hanno chiesto che questa gioia fosse loro comunicata, il che è avvenuto perché ciò che desidera uno spirito che non è ancora entrato in Cielo, gli viene accordato, se ciò può essere utile. Una volta ottenuta questa comunicazione, essi però cominciano a tormentarsi e ad essere tormentati da dolori tali da costringerli a rotolarsi per terra come serpenti. Il piacere celeste produce questo effetto in coloro che sono nei piaceri di sé e del mondo, perché questi amori sono assolutamente opposti a quelli del Cielo, e quando gli opposti si incontrano, ne derivano queste sofferenze. Questo spiega anche la separazione del Cielo e dell’inferno. In effetti coloro che sono all’inferno, in vita hanno nutrito esclusivamente l’amore per sé e il mondo, mentre coloro che sono in Cielo hanno nutrito in vita l’amore per il Signore e per il prossimo. Essendo questi amori opposti, l’inferno e i Cieli sono stati interamente separati, al punto che lo spirito di chi è all’inferno non osa uscirne neppure con un dito, in quanto se lo fa prova dei tormenti e delle torture: cosa di cui sono stato più volte spettatore.
(401)
Chi nella vita terrena vive nell’amore di sé e del mondo, prova dei piaceri derivanti da questi amori e tutte le voluttà che ne provengono. Al contrario, chi nella vita terrena vive nell’amore di Dio e del prossimo, non sente in maniera manifesta il piacere proveniente da questi amori e i buoni effetti che ne derivano. Sente soltanto una beatitudine quasi impercettibile, in quanto essa è nascosta nella sua interiorità e resta come velata dal corpo esteriore e dalle preoccupazioni del mondo. Dopo la morte questo stato viene completamente cambiato, i piaceri di sé e del mondo divengono dolori e tormenti, chiamati fuoco infernale, e a volte sporcizie e orrori che corrispondono alle loro voluttà impure, e che sorprendentemente sono loro gradite. Al contrario il piacere oscuro e la beatitudine quasi impercettibile di cui avevano goduto nel mondo coloro che vivevano nell’amore verso Dio e il prossimo sono allora trasformati in un piacere celeste che diviene percettibile e sensibile in tutte le maniere. Questa beatitudine che nel mondo era nascosta a causa delle sensazioni esterne, si rivela quando l’uomo vive nello spirito.
(402)
Tutti i piaceri del Cielo sono congiunti alle utilizzazioni e in queste consistono, perché sono esse i beni dell’amore e della carità in cui si trovano gli angeli. Un paragone coi cinque sensi del corpo umano mostrerà che i piaceri del Cielo sono quelli degli usi. A ogni senso è stato dato un piacere a seconda dell’uso. Il piacere della vista consiste nella bellezza e nelle forme, quello dell’udito nella armonia, quello dell’odorato negli odori, quello del gusto nei sapori. Il piacere coniugale, che è il piacere più puro e squisito del tatto, è superiore a tutti gli altri a causa appunto dell’uso, che è la procreazione del genere umano e di conseguenza degli angeli del Cielo. Tali piaceri sono insiti negli organi dei sensi per influsso del Cielo, dove ogni piacere consiste nell’uso ed è proporzionato all’uso.
(403)
Qualche spirito, a causa di un’opinione concepita nel mondo, aveva creduto che la felicità celeste consistesse in una vita oziosa, dove si fosse servito degli altri. Fu loro detto che la felicità non consiste mai nel vivere nel riposo e che se così fosse ciascuno vorrebbe avere per sé la felicità degli altri e nessuno ne gioirebbe. Una vita simile non sarebbe attiva, ma oziosa, e senza attività non c’è felicità nella vita. L’arresto della vita attiva è giustificato solo dal vantaggio di dare nuove forze per poi riprendere con più vigore l’attività della vita. Mi fu poi mostrato che la vita angelica consiste nel praticare il bene della carità. Per spiegare a coloro che avevano creduto che la gioia celeste consistesse nel vivere oziosi gustando una gioia eterna nel riposo, fu loro concesso di rendersi conto qual era una tal vita. Essi compresero che ben presto ne sarebbero stati disgustati, perché sarebbe stata una vita senza gioie e molto triste.
(404)
Certi spiriti che si credevano più istruiti degli altri, dicevano che avevano creduto, quando vivevano nel mondo, che la gioia celeste e la vita attiva in Cielo consistessero soltanto nel lodare e celebrare Dio. Fu loro risposto che non è così, Dio non ha bisogno né di lodi né di celebrazioni, ma vuole che si sia operosi nel bene della carità. Questi spiriti però non riuscivano a capire che la gioia celeste risiede nel bene della carità, in quanto loro non vi trovano che l’idea di servizio. Tuttavia gli angeli spiegarono loro che l’esercizio della carità è accompagnato dalla più grande libertà, perché questa libertà proviene dall’amore interiore ed è congiunta ad una ineffabile felicità.
(405)
Quasi tutti quelli che arrivano nell’altra vita si immaginano che l’inferno sia uguale per tutti e che il Cielo sia anch’esso uguale per tutti. Esistono invece varietà e diversità infinite nell’uno e nell’altro, in nessun caso il Cielo e l’inferno di uno sono uguali al Cielo e all’inferno di un altro. Ugualmente mai un uomo, uno spirito o un angelo è simile a un altro, neppure nel volto. Anche le attività del Cielo sono parimenti varie e diversificate. L’utilizzazione dell’una non è mai uguale a quella dell’altra, e lo stesso vale per i piaceri, che sono anch’essi quanto mai diversi. Tuttavia sono uniti in un ordine tale che si completano reciprocamente, così come si completano le varie funzioni del corpo, le vene, le fibre, gli organi e le viscere. Tutti, in generale e in particolare, sono stati talmente consociati che ognuno vede il proprio bene nel bene dell’altro, quindi ognuno si riflette in tutti e tutti si riflettono in uno. Per questa ragione generale e particolare agiscono come se fossero una persona sola.
(406)
Qualche volta mi sono intrattenuto sulle condizioni della vita eterna con spiriti di recente arrivati dall’altro mondo, spiegando loro l’importanza di conoscere chi è il Signore del regno e qual è la forma di governo. Quando, nel mondo, si viaggia da un paese all’altro, ci si preoccupa di informarsi del carattere del suo governo e delle sue particolarità. A maggior ragione si deve fare la stessa cosa, nel regno dove si deve vivere eternamente. Questi spiriti dovevano allora sapere che il Signore è colui che governa il Cielo e anche l’universo, perché chi governa l’uno governa anche l’altro. Essi dovevano allora sapere di trovarsi nel regno del Signore. Le leggi di questo regno sono le verità eterne, tutte fondate su questa legge: bisogna amare il Signore al di sopra di tutte le cose e il prossimo come se stessi. Anzi, se volevano essere come gli angeli, dovevano amare il prossimo più di se stessi. Essi non furono in grado di rispondere nulla perché in terra, sebbene queste cose fossero state loro insegnate, non le avevano credute. Essi si stupivano che in Cielo esistesse un tale amore e che si possa amare il prossimo più di se stessi. Fu loro spiegato che quando si lascia il corpo, l’amore si purifica, diviene angelico e consiste nell’amare il prossimo più di se stessi. In Cielo si gode nel fare del bene agli altri, mentre non se ne prova alcuno nel fare del bene a se stessi, e questo è amare il prossimo più che se stessi. Anche nel mondo un tale amore è possibile: certe persone, per esempio, hanno preferito morire che veder danneggiati i propri congiunti. L’amore materno induce una madre a patire la fame piuttosto che vedere i suoi figli mancare di cibo. L’amicizia fa sì che ci si esponga a dei pericoli per gli amici. Infine è la natura stessa dell’amore che fa sì che si provi gioia nell’adoperarsi per gli altri, non per profitto personale, ma a vantaggio della persona amata. Coloro che amano se stessi più degli altri non possono capire questo, e neppure coloro che nel mondo sono stati avidi di guadagno, in particolare gli avari.
(407)
Uno spirito che nella sua vita terrena aveva esercitato il potere sugli altri, aveva conservato nell’altra vita l’abitudine e la volontà di comandare. Gli fu detto che ora si trovava nel regno eterno, dove non poteva più esercitare alcun potere e dove ognuno è stimato in base al bene e al vero secondo la vita che ha condotto nel mondo. In questo regno, come in quelli della terra, si è apprezzati in ragione delle ricchezze che si possiedono e del favore di cui si gode presso il principe; qui però le ricchezze sono il bene e il vero, e il favore del principe la misericordia del Signore. Questo spirito fu colto da confusione quando apprese che sarebbe stato considerato ribelle se avesse voluto comandare sugli altri, dato che si trovava nel regno di un altro sovrano.
(408)
Ho parlato con spiriti che immaginano che il Cielo e la gioia celeste consistano nell’essere grandi. Fu loro detto che in Cielo il più grande è colui che è più piccolo, perché è chiamato più piccolo colui che non ha per se stesso alcun potere e alcuna saggezza, e non ne vuole avere, ma le riceve dal Signore. Costui gode della più grande felicità e di conseguenza è il più grande perché così, grazie al Signore, ha più potere e saggezza degli altri. Il Cielo consiste nel volere con tutto il cuore il bene degli altri più del proprio e desiderare di essere utile al prossimo per la sua felicità, senza alcuna idea di ricompensa, ma solo per amore.
(409)
La gioia celeste, come è nella sua essenza, non può essere descritta, perché compenetra l’intimità degli angeli, la loro vita, ogni loro pensiero e affetto e di conseguenza il loro linguaggio e le loro azioni. Gli spiriti buoni che non sono ancora stati innalzati al Cielo e non godono ancora di questo piacere, quando lo percepiscono dalla sfera d’amore degli angeli sono pervasi da una tale gioia che cadono in un dolce svenimento. Coloro che desiderano sapere cos’è la gioia celeste, qualche volta l’hanno provata.
(410)
Dato che certi spiriti desideravano sapere in che cosa consiste la gioia celeste, ne poterono avere una certa percezione, ma non furono in grado di sostenerla. La gioia che era stata loro concessa non era che una pallida parvenza della gioia angelica, tanto lieve che sembrava un po’ fredda, e tuttavia la dicevano celeste al massimo grado. Questo dimostra che nella gioia celeste ci sono dei gradi, ognuno riceve gioia per quanta ne può sopportare e non potrebbe ricevere un grado più elevato di gioia perché ne proverebbe dolore.
(411)
Certi spiriti non malvagi ebbero in sorte di cadere in un riposo simile al sonno e di essere trasportati mentalmente in Cielo. Qui furono istruiti sulla felicità che vi godono coloro che vi abitano. Rimasero in questo stato una mezz’ora e poi tornarono al loro stato abituale. Ricordando ciò che avevano visto, dicevano di essere stati tra gli angeli del Cielo e di avere visto e sentito delle cose meravigliose, tutte risplendenti d’oro, d’argento e pietre preziose, di forme ammirevoli e sorprendentemente varie. Dissero che gli angeli ricavavano il loro piacere non da queste cose esteriori, ma da ciò che esse rappresentavano, cioè cose divinamente ineffabili, non descrivibili col linguaggio umano. Dissero anche di aver visto innumerevoli cose di cui sulla terra non si ha alcuna idea, perché non contengono in sé alcunché di materiale.
(412)
Quasi tutti quelli che giungono nell’altra vita sono nella più grande ignoranza sulla beatitudine e la felicità celesti, perché non sanno in che cosa consiste la gioia interiore e la sua autentica qualità. Se ne fanno un’idea solo sulla base delle gioie corporali e mondane. Di conseguenza considerano inesistente ciò che non conoscono. Per far sì che conoscano la gioia celeste, gli spiriti buoni sono dapprima condotti in soggiorni paradisiaci che superano ogni immaginazione. Essi credono allora di trovarsi nel paradiso celeste, però vengono a sapere che non sono ancora nella felicità veramente celeste. In seguito sono posti in uno stato di pace completa, e confessano che niente potrebbe esprimere questo stato né darne un’idea. Infine sono messi in uno stato di innocenza, e così possono sapere in che cosa consiste il bene spirituale e celeste.
(413)
Mi è stato concesso dal Signore di ricercare sovente e a lungo la felicità delle gioie celesti, affinché potessi sapere in che cosa consistono il Cielo e la gioia celeste. Conosco dunque questa felicità per esperienza viva, ma pur conoscendola non posso descriverla. Mi limiterò a dirne qualcosa per darne un’idea. La gioia del Cielo è un insieme di piaceri e gioie innumerevoli, fatto di armonie ineffabili legate da un ordine che non sarei mai capace di descrivere. Tutto deriva da quest’ordine, che giunge fino alle cose più piccole e fa sì che ogni cosa contribuisca a creare un’unità generale. Le gioie e le delizie celesti partono dal cuore e si diffondono in ogni fibra con estrema soavità, così che ogni fibra è fatta solo di gioia e delizia. Tutto sembra fatto di felicità. Le gioie della voluttà del corpo, paragonate alle gioie celesti, sono come una nebbia fitta e opaca paragonata all’aria dolce e pura. Mi sono anche reso conto che questa gioia procede dal Signore.
(414)
Coloro che sono nel Cielo avanzano continuamente verso la primavera della vita; più vivono migliaia di anni, più avanzano verso una primavera gradevole e felice, che si accresce eternamente secondo i progressi e i gradi dell’amore, della carità e della fede. Le persone di sesso femminile che sono morte vecchie e decrepite e che sono vissute nella fede del Signore, nella carità verso il prossimo e nell’amore coniugale felice col proprio marito, ritrovano sempre più il fiore degli anni, e raggiungono una bellezza che supera ogni idea di bellezza percepibile alla vista. Sono la bontà e la carità che costituiscono la forma e la fanno risplendere in maniera incommensurabile. Certi spiriti, avendo visto qualcuno di questi angeli di sesso femminile, sono stati colti da ammirazione. In una parola, invecchiare in Cielo significa ringiovanire. Tutti gli angeli godono di queste felicità, le cui varietà sono innumerevoli.
(44)
L’IMMENSITÀ DEL CIELO
(415)
Si può concludere che il Cielo del Signore è immenso, il che risulta chiaramente da quanto è stato detto precedentemente. E’ immenso perché è composto dal genere umano, e non soltanto dal genere umano che è vissuto all’interno della Chiesa, ma anche da quello che è nato fuori dalla Chiesa; in altre parole, da tutti coloro che sono vissuti sulla terra fin dalla sua prima origine. Chi ha una qualche conoscenza delle diverse regioni della terra, può vedere quanto è grande la moltitudine degli uomini. Ogni giorno ne muoiono a migliaia e ogni anno a milioni, e questo da migliaia d’anni. Tutti questi uomini, dopo la morte, vanno nell’altro mondo, chiamato mondo spirituale. Non è possibile dire quanti di loro sono divenuti e divengono angeli del Cielo. Mi è stato detto che nei tempi antichi il numero di coloro che diventavano angeli era maggiore perché gli uomini vivevano più interiormente e più spiritualmente ed erano di conseguenza più vicini al Cielo. Ma nelle età successive questo numero è diminuito perché l’uomo gradualmente è divenuto più esteriorizzato, ha cominciato a pensare più naturalmente e ad essere di conseguenza più legato alla terra e ai suoi piaceri.
(416)
Si può vedere che il Cielo del Signore è grande e immenso dal fatto che tutti i bambini sono adottati dal Signore e diventano degli angeli, siano nati o no dentro la chiesa; il loro numero sulla terra è un quarto o un quinto di tutto il genere umano. Quando muoiono, i bambini sono accolti in Cielo e qui allevati. Essi vengono istruiti in base all’ordine divino, imbevuti di bene, di conoscenza della verità, e via via che si perfezionano in intelligenza e saggezza, vengono introdotti in Cielo e divengono angeli. Grande è quindi la moltitudine degli angeli del Cielo che un tempo furono bambini sulla terra, dagli inizi della creazione fino al tempo presente.
(417)
Si può vedere quanto è grande il Cielo del Signore dal fatto che tutti i pianeti visibili del nostro mondo solare sono delle terre: essi e altri innumerevoli pianeti dell’universo sono tutti coperti di abitanti. Di questo ho trattato in un opuscolo a parte, dove affermo che anche gli abitanti di questi pianeti divengono spiriti e angeli, se vivono in base all’amore e alla verità. Nell’universo esistono non meno di un milione di terre abitate ognuna da milioni di abitanti, per centinaia e centinaia di generazioni. Tuttavia gli angeli mi hanno detto che tutto questo non è niente in rapporto all’immensità del Signore e alla sua creazione. Queste cose mi sono state dette e mostrate affinché si sappia che il Cielo del Signore è immenso, interamente composto dal genere umano, e che il Signore è ovunque riconosciuto come il Dio del Cielo e della terra.
(418)
Si può dedurre che il Cielo del Signore è immenso anche dal fatto che nel suo complesso il Cielo rappresenta un uomo e corrisponde a tutto ciò che è nell’uomo, in generale e in particolare, come è stato mostrato e spiegato precedentemente dal n. 87 al 102.
(419)
Mi è stato anche concesso di vedere l’estensione del Cielo abitato e quella del Cielo non abitato. L’estensione di quest’ultimo è tale che per l’eternità non potrà essere riempita, neppure se esistessero miriadi di terre tutte abitate come la nostra.
(420)
Certuni credono che il Cielo a un certo punto venga chiuso, una volta che è pieno; essi non sanno che il Cielo non è mai chiuso e che non è previsto alcun tempo né alcun numero. Essi non sanno che coloro che la Scrittura chiama eletti sono coloro che si trovano sulla via del bene e del vero, e continuano a desiderarli, e per questo vengono chiamati affamati. Altri pensano che il Cielo sia concesso a tutti per un atto di misericordia, e non comprendono che il Signore, per misericordia appunto, vi conduce chi lo riceve. Ricevere il Signore è vivere secondo l’ordine divino e le sue leggi, che sono i precetti dell’amore e della fede. Essere condotti dalla misericordia significa essere condotti dal Signore dalla nascita fino all’ultimo momento di vita nel mondo, e poi per l’eternità nell’altra vita. Occorre sapere che ogni uomo nasce per il Cielo e vi è accettato se nel mondo accoglie in sé il Cielo; chi però non l’accoglie, ne è escluso.
(II)
IL MONDO DEGLI SPIRITI
(45)
LO STATO
DELL’UOMO DOPO LA MORTE.
COS’È IL MONDO DEGLI SPIRITI
(421)
Il mondo degli spiriti non è né il Cielo, né l’inferno; è un luogo, uno stato intermedio tra l’uno e l’altro; è lì che l’uomo giunge subito dopo la morte. In seguito, dopo avervi trascorso un determinato tempo che dipende dalla vita che ha condotto nel mondo, è innalzato al Cielo o precipitato all’inferno.
(422)
Il mondo degli spiriti è un luogo intermedio tra Cielo e inferno, ed è anche lo stato intermedio dell’uomo dopo la morte. Mi è stato mostrato che non solo vi è un luogo intermedio al di sotto del quale c’è l’inferno e al di sopra del quale c’è il Cielo, ma anche uno stato intermedio; infatti per tutto il tempo che l’uomo vi si trova, non è né in Cielo né all’inferno. Lo stato del Cielo nell’uomo è l’unione in lui del bene e del vero, lo stato dell’inferno è quello della congiunzione in lui del male e del falso. Quando nello spirito dell’uomo il bene si unisce al vero, egli va in Cielo; invece quando il male si unisce al falso, va all’inferno. Queste unioni avvengono nel mondo degli spiriti, perché qui l’uomo è appunto in uno stato intermedio. L’unione dell’intelletto e della volontà equivale all’unione del vero e del bene.
(423)
Bisogna in primo luogo dire qualcosa dell’unione dell’intelletto e della volontà, e dell’identità di questa unione con quella del bene e del vero, dato che essa ha luogo nel mondo degli spiriti. L’uomo ha un intelletto e una volontà. L’intelletto riceve le verità e si forma in base ad esse; la volontà riceve il bene e si forma in base ad esso. Tutto ciò che l’uomo capisce e pensa in base al suo intelletto, lo chiama vero; tutto ciò che vuole e pensa in base alla sua volontà, lo chiama bene. Grazie all’intelletto l’uomo può pensare e capire che una cosa è vera e buona, e grazie alla volontà crede quella verità e fa quel bene. L’uomo ha però anche la possibilità di pensare in base all’intelletto escludendo la volontà.
(424)
Questa possibilità di pensare in base all’intelletto senza la volontà è concessa all’uomo affinché possa essere trasformato. L’uomo può essere trasformato dalla verità, e la verità appartiene all’intelletto. Però, per quello che riguarda la volontà, l’uomo è nato nel male e desidera fare del bene soltanto a se stesso. Vuole appropriarsi del bene degli altri, dei loro onori e delle loro ricchezze; più riesce a farlo, più ne gioisce. Affinché questa volontà possa essere corretta e trasformata, all’uomo è concesso di comprendere la verità e con questo mezzo di sottomettere le tendenze al male che minano la sua volontà. L’uomo con l’intelletto può pensare la verità, parlarne e metterla in pratica, però la volontà sovente gli impedisce di compiere questi gesti. Quando invece l’uomo riesce a conciliare intendimento e volontà, cioè fede e amore, è pronto per il Cielo.
(425)
Quando dunque l’uomo vuole la verità e la compie, ha in se il Cielo; al contrario quando vuole il male e lo compie, ha in sé l’inferno. Fintanto però che intelletto e volontà non agiscono all’unisono, l’uomo è in uno stato intermedio. Affinché dunque l’uomo abbia in sé il Cielo o l’inferno, subito dopo la morte è condotto nel mondo degli spiriti, dove avviene l’unione del bene e del vero per coloro che devono essere elevati al Cielo, e l’unione del male e del falso per coloro che devono essere precipitati all’inferno. In effetti non è consentito a nessun uomo, né in Cielo né all’inferno, di avere la mente divisa, cioè di capire in un modo e di volere in un altro: quello che vuole lo deve capire, e quello che capisce lo deve volere. Nel mondo degli spiriti i buoni sono messi in compagnia di spiriti buoni e veritieri, e i malvagi in compagnia di loro simili. Vediamo ora che cos’è il mondo degli spiriti.
(426)
Nel mondo degli spiriti c’è un gran numero di persone; tutti arrivano in un primo momento lì, e vengono esaminati e preparati. Il periodo di soggiorno in questo mondo non è fisso: certuni appena entrati vengono elevati al Cielo o precipitati all’inferno, altri vi restano qualche settimana, altri ancora vi restano degli anni, mai però più di trenta. Le diversità di durata dipendono dalla corrispondenza o non-corrispondenza dell’interiorità di queste persone con la loro esteriorità. In seguito sarà detto di più sul modo in cui nel mondo degli spiriti una persona è condotta da uno stato all’altro e preparata.
(427)
Subito dopo la morte gli uomini che giungono nel mondo degli spiriti sono divisi dal Signore in maniera molto precisa: i malvagi sono immediatamente consociati alla società infernale nella quale di preferenza erano stati nel mondo; i buoni sono immediatamente consociati alla società celeste nella quale erano stati nel mondo per amore, carità e fede. Sebbene siano stati separati, tutti quelli che sulla terra sono stati amici e si sono conosciuti, si riuniscono e conversano tra loro tutte le volte che lo desiderano, soprattutto i mariti e le mogli, i fratelli e le sorelle. Ho visto un padre parlare coi suoi sei figli dopo averli riconosciuti, e molti altri parlare coi genitori e gli amici; avendo però mentalità differenti a causa delle loro diverse vite nel mondo, si separano dopo poco tempo. Comunque tutti quelli che dal mondo degli spiriti vanno in Cielo o all’inferno, in seguito non si vedono e non si conoscono più, a meno che non abbiano mentalità simili derivanti da un amore simile. Se si vedono nel mondo degli spiriti, e non in Cielo o all’inferno, è perché coloro che sono nel mondo degli spiriti sono in uno stato simile a quello che avevano quando erano nella vita del corpo; in seguito invece raggiungono uno stato d’animo costante nel quale ci si riconosce in base all’analogia dell’amore. Come è stato spiegato dal n. 41 al 50, la somiglianza unisce e la diversità separa.
(428)
Dato che il mondo degli spiriti è uno stato intermedio tra Cielo e inferno nell’uomo, di conseguenza è anche un luogo intermedio che ha sotto di sé l’inferno e sopra i Cieli. Dal mondo degli spiriti non vi è accesso né all’inferno né al Cielo: tutti gli ingressi all’inferno sono chiusi per questo mondo, e come uniche aperture ci sono dei buchi e delle fenditure tra le rocce, ben sorvegliate affinché nessuno vi passi senza permesso. Allo stesso modo anche il Cielo è stato chiuso da ogni lato, e non vi è altro accesso verso le società celesti che un camminamento stretto, il cui ingresso è ben sorvegliato. Nella Scrittura questi accessi sono chiamati le porte dell’inferno e del Cielo.
(429)
Il mondo degli spiriti appare come una valle tra le montagne e le rocce, con alture e conche. Le porte che danno verso le società celesti sono visibili soltanto a coloro che sono stati preparati per il Cielo e non sono affatto viste dagli altri. Per andare dal mondo degli spiriti verso tutte le società del Cielo vi è un solo cammino, che però salendo si divide in un gran numero di altri cammini. Le porte che danno verso l’inferno sono visibili solo a coloro che vi devono entrare; allora esse vengono loro aperte e consentono di vedere antri cupi e tenebrosi che conducono in basso verso un abisso, il quale a sua volta ha numerose porte. Da questi antri esalano vapori fetidi e nauseabondi, che gli spiriti buoni fuggono mentre gli spiriti malvagi se ne compiacciono. In questo senso gli spiriti malvagi possono essere paragonati agli uccelli e agli animali carnivori, come i corvi, i lupi, i maiali, che accorrono verso i cadaveri e gli escrementi, attirati dagli odori che ne esalano. Mi è capitato di sentire uno di questi spiriti malvagi urlare come se fosse stato sottoposto a una tortura interiore quando avvertì un soffio profumato proveniente dal Cielo, mentre era tranquillo e beato per le esalazioni emananti dall’inferno.
(430)
Anche in ogni uomo ci sono due porte, una che guarda verso l’inferno e aperta ai mali che ne provengono, e l’altra che guarda verso il Cielo ed è aperta ai beni che ne vengono emanati. Nell’uomo infatti esistono due possibili cammini, uno superiore o interno dal quale entrano il bene e il vero che derivano dal Signore, e uno inferiore o esterno dal quale entrano il male e il falso che provengono dall’inferno.
(431)
Da tutto quanto precede è evidente che ogni volta che sono nominati gli spiriti si intendono coloro che sono nel mondo degli spiriti, mentre gli angeli sono coloro che vivono in Cielo.
(46)
OGNI UOMO È UNO SPIRITO,
PER QUELLO CHE RIGUARDA
LA SUA INTERIORITÀ
(432)
Chiunque rifletta con attenzione, si rende conto che non è il corpo che pensa essendo materiale, ma l’anima che è spirituale. L’anima dell’uomo è il suo spirito. Questo spirito in effetti è immortale; è lui che pensa dentro al corpo, che riceve tutto ciò che è spirituale e vive spiritualmente, cioè pensa e vuole. Tutta la vita razionale che si manifesta nel corpo appartiene dunque non al corpo, ma allo spirito. Il corpo serve allo spirito come strumento, esattamente come uno strumento tecnico serve alla forza motrice che lo anima.
(433)
Tutto ciò che vive, agisce e sente nel corpo, appartiene unicamente allo spirito e non al corpo; ne consegue che lo spirito è l’uomo stesso, o in altre parole che l’uomo considerato in se stesso è spirito. Di conseguenza quando il corpo è separato dal suo spirito, cosa che è chiamata morte, l’uomo resta comunque uomo e continua a vivere. Ho saputo in Cielo che tra coloro che muoiono alcuni continuano a credere di essere ancora nel loro corpo freddo steso sul letto, e sanno soltanto che continuano a vivere, con la differenza però che non riescono a muovere alcuna particella materiale che appartiene al loro corpo.
(434)
Dopo essere stati separati dal loro corpo, gli spiriti vedono, sentono e capiscono come gli uomini, però non nel mondo naturale bensì in quello spirituale. Se lo spirito quando vive nel corpo aveva sentito in maniera naturale, ciò avveniva per la sostanza materiale che gli era stata aggiunta; al tempo stesso però sentiva spiritualmente in quanto pensava e voleva.
(435)
Queste cose sono state dette affinché l’uomo razionale sia convinto che l’uomo considerato in se stesso è uno spirito. Il corpo che è stato aggiunto allo spirito a causa delle funzioni che deve compiere nel mondo naturale e materiale, non è l’uomo, è soltanto lo strumento dello spirito. C’è chi crede invece che l’uomo viva e senta in modo parallelo agli animali, e che questi abbiano uno spirito simile a quello dell’uomo, il quale però muore col corpo. In realtà invece la parte spirituale degli animali, quella che capisce e agisce, non è simile a quella dell’uomo, il quale possiede una interiorità nella quale Dio influisce elevando l’uomo fino a unirlo a Sé. Contrariamente alla bestia, l’uomo può così pensare a Dio e alle cose divine che appartengono al Cielo e alla Chiesa, amare Dio ed essere unito a Lui. Ora ciò che può essere congiunto al divino non può essere dissipato, ma ciò che non può essere congiunto al divino può essere dissipato. Di questo abbiamo trattato al n. 39, al quale rimando per approfondire tale aspetto.
(436)
Mi è stato concesso di sapere per esperienza che l’uomo è uno spirito con riferimento alla sua interiorità: se riferissi tutte queste esperienze, dovrei riempire dei volumi. Io ho parlato a degli spiriti come spirito, e ho parlato loro anche come uomo. Quando parlavo con loro come spirito essi ritenevano che anch’io fossi uno spirito, rivestito di una forma umana simile alla loro; essi infatti non vedevano il mio corpo materiale, ma solo la mia interiorità che appariva come uno spirito.
(437)
Il fatto che l’uomo è uno spirito è confermato dal fatto che dopo la morte, dopo la separazione dal corpo, continua a vivere come aveva fatto fino a quel momento. Affinché potessi essere convinto di questo, mi è stato concesso di parlare con quasi tutti quelli che avevo conosciuto in precedenza durante la mia vita terrena; con alcuni ho parlato per delle ore, con altri per settimane e mesi, e con altri ancora per anni interi. E questo mi è stato concesso perché ne fossi sicuro e potessi renderne testimonianza.
(438)
A questo si può aggiungere che ogni uomo durante la sua vita terrena è con lo spirito in compagnia degli spiriti, anche se non lo sa. Attraverso questi spiriti, l’uomo buono è unito a una società angelica, e il cattivo a una società infernale; dopo la morte essi vanno nella rispettiva società, cosa che viene sovente mostrata a coloro che dopo la morte arrivano tra gli spiriti.
(439)
Per far meglio comprendere che l’uomo è uno spirito per quello che si riferisce alla sua interiorità, vorrei riportare quello che capita quando l’uomo è distaccato dal corpo e portato in ispirito in un altro luogo. Parlo qui per esperienza.
(440)
Ecco che cosa capita quando lo spirito è staccato dal corpo: l’uomo viene messo in un certo stato che è tra la veglia e il sonno. In questo stato l’uomo sa solo di essere completamente sveglio. Tutti i suoi sensi sono vigili, come se fosse nello stato di veglia più perfetto del corpo: vista, udito, tatto sono più perfetti che mai. In questo stato io ho realmente visto gli spiriti e gli angeli; li ho anche uditi e, cosa alquanto sorprendente, li ho toccati. Io sono stato messo in questo stato tre o quattro volte, perché potessi sapere che spiriti e angeli godono di tutti i sensi e che anche l’uomo ne gode quando il suo spirito è staccato dal corpo.
(441)
Queste esperienze mi hanno mostrato cosa significa «essere portati in ispirito in un altro luogo». Riferirò una sola esperienza: camminando per le vie di una città e attraverso la campagna ed essendo in conversazione con degli spiriti, io sapevo di essere perfettamente sveglio e di vedere tutto come al solito. Vedevo dei boschi, dei fiumi, dei palazzi, delle case, degli uomini e tante altre cose; mi fermai alcune ore in questo ambiente, poi di colpo mi ritrovai nel corpo e mi resi conto di essere in un altro luogo. Finché dura quello stato non si riflette sul cammino, che può anche essere di parecchi chilometri; e neppure sul tempo, che può essere di ore o di giorni; non si sente alcuna fatica. Inoltre si viene condotti senza errori al luogo designato per strade che si ignorano completamente.
(442)
Dopo parecchi anni di conversazioni con gli spiriti, mi è stato concesso di essere con loro come se fossi stato uno di loro, sebbene il mio corpo fosse desto.
(443)
Dal n. 311 al 317 abbiamo mostrato che l’uomo è uno spirito per quello che riguarda la sua interiorità; lì è stato anche mostrato che il Cielo e l’inferno provengono dal genere umano.
(444)
«L’uomo è uno spirito per quello che riguarda la sua interiorità» significa che egli è uno spirito per le cose che appartengono al suo pensiero e alla sua volontà, perché è grazie a queste che l’uomo è uomo. L’uomo infatti è tale per la sua interiorità.
(47)
LA RESURREZIONE DELL’UOMO
DAI MORTI E IL SUO INGRESSO
NELLA VITA ETERNA
(445)
Quando l’uomo non può più svolgere nel mondo naturale le funzioni corrispondenti ai pensieri e alle affezioni del suo spirito che gli derivano dal mondo spirituale, si dice che muore. Questo avviene quando polmoni e cuore cessano la loro attività. Tuttavia l’uomo in realtà non muore, ma viene soltanto separato dal corpo che gli è servito nel mondo. L’uomo in se stesso continua a vivere. Ho detto «l’uomo in se stesso» perché l’uomo non è tale per il suo corpo, ma per il suo spirito, in quanto è appunto lo spirito che pensa nell’uomo ed è il pensiero insieme all’inclinazione che fa l’uomo. Ne deriva che nella morte l’uomo passa soltanto da un mondo all’altro. Per questo motivo «morte» nel senso interiore del termine significa resurrezione e proseguimento della vita.
(446)
Esiste una comunicazione intima dello spirito con la resurrezione e i battiti del cuore; una comunicazione del pensiero con la respirazione, e delle affezioni che fanno parte dell’amore con il cuore. Di conseguenza, dal momento in cui questi due movimenti cessano nel corpo, vi è subito separazione perché si tratta proprio di legami la cui rottura lascia lo spirito abbandonato a se stesso; il corpo allora, restando privo della vita del suo spirito, diviene freddo e si decompone. Vi è una comunicazione intima dello spirito dell’uomo con la respirazione e col cuore, perché da questi dipendono tutti i movimenti vitali, non soltanto nell’insieme ma in ogni singola parte.
(447)
Dopo la separazione, lo spirito dell’uomo resta un po’ di tempo nel corpo, ma soltanto finché il movimento del cuore non si è spento totalmente; questo varia a seconda della malattia della quale l’uomo muore. Il movimento del cuore dura in alcuni a lungo, in altri meno. Da quando questo movimento cessa, l’uomo è resuscitato, ma questo viene compiuto dal Signore soltanto. Il ritiro dello spirito dell’uomo dal corpo e la sua introduzione nel mondo spirituale sono comunemente chiamati resurrezione.
(448)
Non soltanto mi è stato detto, ma mi è anche stato mostrato come avvenga la resurrezione: questa esperienza è anzi stata fatta su di me, affinché avessi una conoscenza piena di questa operazione.
(449)
Sono stato ridotto a uno stato di insensibilità dei sensi del corpo, e di conseguenza quasi allo stato di moribondo; la vita interiore tuttavia era stata conservata intatta col pensiero, affinché potessi ricevere e trattenere nella memoria quello che sarebbe avvenuto e quello che capita realmente in coloro che sono resuscitati dai morti. Poi mi accorsi che la respirazione del corpo era quasi cessata, e la respirazione interiore che appartiene allo spirito restava unita a una debole e tacita respirazione del corpo. Resomi conto di questo, mi fu subito data la comunicazione dei battiti del cuore col regno celeste, perché questo regno corrisponde al cuore nell’uomo. Ho visto anche gli angeli di questo regno, alcuni da lontano, e due che erano invece accanto alla mia testa. Subito dopo mi fu tolta ogni affezione personale, però mi restavano il pensiero e la percezione; in questo stato rimasi alcune ore. Gli spiriti che erano intorno a me si allontanarono credendomi morto; si fece anche sentire un odore aromatico come quello di un cadavere imbalsamato, perché quando sono presenti gli angeli celesti ciò che è cadaverico si avverte come un odore aromatico. Quando gli spiriti sentono questo odore non possono avvicinarsi e i cattivi spiriti sono allontanati dallo spirito dell’uomo quando questi viene introdotto nella vita eterna. Gli angeli che erano seduti presso di me osservavano in silenzio, solo i loro pensieri comunicavano coi miei. Quando i loro pensieri vengono captati, gli angeli sanno che lo spirito dell’uomo è in uno stato nel quale può essere ritirato dal corpo. La comunicazione dei loro pensieri avviene attraverso lo sguardo rivolto verso il volto: è così infatti che in Cielo avviene la comunicazione del pensiero. Dato che il pensiero e la percezione mi erano stati lasciati affinché io sapessi e ricordassi in che maniera avviene la resurrezione, mi rendevo conto che gli angeli esaminavano prima quali erano i miei pensieri, se erano simili ai pensieri di coloro che muoiono e che sono in genere tesi alla vita eterna. L’uomo che spira è nel suo ultimo pensiero finché non distoglie la sua attenzione da quelli che sono stati i suoi interessi dominanti nel mondo. Poi sentii un’attrazione, come uno sradicamento della mia mente e del mio spirito dal mio corpo; e mi fu detto che questo viene compiuto dal Signore, e in ciò consiste la resurrezione.
(450)
Quando gli angeli celesti sono accanto al resuscitato, non l’abbandonano perché amano tutto l’uomo; ma quando lo spirito è tale da non poter più restare in compagnia di questi angeli e desidera separarsi da loro, allora vengono gli angeli del regno spirituale del Signore. Sono loro che danno al resuscitato l’uso della luce, perché prima egli non vedeva niente, pensava soltanto. Dopo aver dato al nuovo spirito l’uso della luce, gli angeli spirituali gli fanno tutti i servizi che egli può desiderare nel suo stato, e lo istruiscono nelle cose che sono nell’altra vita, sempre nei limiti delle sue capacità di comprensione. Gli angeli amano tutti gli uomini e il loro più grande desiderio è render loro dei servizi, istruirli e condurli al Cielo; in questo consiste il loro piacere supremo.
(451)
Tuttavia questo stato dell’uomo dopo la morte non dura più di qualche giorno. Nelle pagine seguenti vedremo come l’uomo viene condotto da uno stato all’altro, e infine in Cielo o all’inferno. Mi è stato concesso di sapere queste cose in base a un gran numero di esperienze.
(452)
Ho conversato con alcuni resuscitati il terzo giorno dopo il loro decesso, quando le operazioni di cui abbiamo parlato al n. 449 e 450 erano state compiute. Tre di costoro li avevo conosciuti nel mondo, e raccontai loro che in quegli stessi momenti venivano preparate le loro esequie per la sepoltura dei loro corpi. Sentendo la parola «sepoltura» essi furono colti da una specie di stupore, e dissero che erano vivi e che nella tomba veniva messo ciò che era servito loro nel mondo. Erano anche molto stupiti di non aver creduto, finché erano nel mondo, alla vita dopo la morte, e soprattutto si meravigliavano del fatto che anche nella Chiesa i più la pensavano come loro. Coloro che qui in terra non hanno creduto a una vita dell’anima dopo la morte del corpo, sono estremamente confusi di constatare che sono vivi. Certuni tuttavia confermano l’impossibilità della vita dopo la morte, per cui vengono uniti a spiriti simili a loro e separati da coloro che sono stati nella fede. Chi continua a negare la vita eterna della propria anima, si pone contro il Cielo e la Chiesa.
(48)
DOPO LA MORTE L’UOMO
HA UNA PERFETTA FORMA UMANA
(453)
La forma dello spirito dell’uomo è una forma umana; di questo abbiamo discusso precedentemente in più occasioni. L’uomo è uomo in base allo spirito, il quale agisce in ogni parte del corpo, anche nella più piccola, al punto che la parte in cui lo spirito non agisce, non vive. Il pensiero e la volontà appartengono allo spirito dell’uomo e non al suo corpo. Se lo spirito, una volta separato dal corpo, non appare all’uomo nella forma umana, è perché l’organo della vista del corpo, cioè l’occhio, è materiale e non vede che le cose materiali. Quando però l’occhio materiale è velato e non influenza più l’occhio spirituale, gli spiriti appaiono nella forma, che è la forma umana: e non soltanto gli spiriti che sono nel mondo spirituale, ma anche quelli che sono nel mondo naturale e vivono nel corpo materiale.
(454)
La forma dello spirito è la forma umana perché l’uomo, quanto allo spirito, è stato creato secondo la forma del Cielo. Tutte le cose del Cielo sono simili alle cose che fanno parte della mente dell’uomo. Ciò consente all’uomo di ricevere l’intelligenza e la saggezza; dire ricevere l’intelligenza e la saggezza, e dire ricevere il Cielo, è la stessa cosa. Anche di questo abbiamo trattato in più occasioni precedentemente. Tutto ciò deriva dalla divina umanità del Signore da cui deriva il Cielo e ogni sua forma.
(455)
L’uomo razionale può capire ciò che è appena stato detto, che è tutto legato e collegato. L’uomo non razionale invece non lo capisce, e questo per parecchie ragioni, la prima delle quali è che non lo vuole capire, in quanto ciò si oppone al falso che per lui è divenuto verità. Chi per questo motivo non vuole capire, ha chiuso la via del Cielo alla propria razionalità. Tuttavia questa strada può essere aperta a meno che la volontà non le resista. Mi è stato mostrato attraverso un gran numero di esperienze che l’uomo può capire il vero ed essere razionale, ammesso che lo voglia. Molto spesso spiriti malvagi che erano divenuti irrazionali perché nel mondo avevano negato il divino e le verità della Chiesa, sono stati rivolti da una forza divina verso coloro che erano invece nella luce della verità; essi compresero allora tutte le verità come gli angeli e confessarono di capirle e di riconoscerle come autentiche. Quando però furono ritornati in se stessi e ai loro amori dominanti, non capirono più niente e parlarono in maniera ben diversa. Ho anche sentito qualche spirito infernale dire che sa e capisce che quello che fa è male e che quello che pensa è sbagliato, ma che non può resistere al piacere del suo amore, alla sua volontà malvagia, la quale porta i pensieri a vedere il male come se fosse bene e il falso come se fosse vero. Ho così potuto vedere che coloro che sono nel falso e nel male possono capire e di conseguenza essere razionali, però non lo vogliono fare perché amano il falso più del vero e il male più del bene. Amare e volere sono la stessa cosa, perché ciò che l’uomo vuole ama, e ciò che ama vuole. L’uomo quindi può capire il vero purché lo voglia.
(456)
Mi è stato dimostrato da un’esperienza giornaliera durata molti anni che lo spirito dell’uomo dopo la separazione dal corpo è uomo in una forma umana. Ho visto migliaia di spiriti, li ho sentiti parlare, ho conversato con loro, constatando che essi sono dispiaciuti che nel mondo ci sia ancora una tale ignoranza su questo soggetto, specie presso gli eruditi e la Chiesa. In particolare gli eruditi considerano l’anima in base a concetti corporali, sensuali e la concepiscono come un semplice pensiero, qualcosa di volatile, puro etere, che non può far altro che essere dissipato dalla morte. La Chiesa, che in base alla Scrittura crede all’immortalità dell’anima, non ha saputo fare altro che accordare all’anima qualche vitalità simile a quella del pensiero, ma le ha rifiutato l’uso di sensi simili a quelli dell’uomo. Per questo molti pensano all’anima secondo questa dottrina e non riescono a credere che essa sia uno spirito e abbia forma umana. Ne consegue che la maggior parte di coloro che arrivano dal mondo sono grandemente stupiti dopo la propria resurrezione constatando che sono vivi, che sono uomini come prima, che vedono, sentono e parlano, che il loro corpo possiede il tatto, in una parola che non c’è alcuna differenza.
(457)
Appena l’uomo entra nel mondo degli spiriti, dopo la sua resurrezione, il suo spirito ha lo stesso volto, lo stesso suono di voce, in una parola tutto ciò che aveva nel mondo; ciò avviene perché egli è ancora nel suo stato esteriore e la sua interiorità non è ancora stata aperta. Questo è il primo stato degli uomini dopo la morte. In seguito però il viso cambia e diviene tutto diverso. Diviene simile all’amore dominante nel quale si trovava e il suo spirito quando era nel corpo. Il volto dello spirito dell’uomo differisce molto da quello del suo corpo; infatti il volto del corpo dell’uomo deriva dai suoi genitori e quello dello spirito proviene dalle affezioni di cui è l’immagine. E’ questo volto appunto quello che assume lo spirito dopo la vita terrena, quando ogni esteriorità viene scartata e l’interiorità si rivela. Questo è il terzo stato dell’uomo. Se nell’altra vita i volti si trasformano, è perché non è consentito a nessuno di simulare affetti non reali né di conseguenza di presentare un volto non corrispondente a questi affetti. Tutti senza eccezione sono obbligati a parlare come pensano e a mostrare col volto e coi gesti la propria volontà. Ne risulta che i volti di tutti gli spiriti divengono le effigi e le forme dei loro affetti e delle loro tendenze e che tutti coloro che si sono conosciuti nel mondo si conoscono anche nel mondo degli spiriti, ma non in Cielo o all’inferno.
(458)
Le facce degli ipocriti vengono cambiate più lentamente di quelle degli altri, perché essi hanno preso l’abitudine di atteggiare il loro aspetto esteriore ad immagine di sentimenti buoni. Per lungo tempo il loro aspetto resta costante. In seguito però anche loro si modificano come gli altri. Gli ipocriti sono coloro che hanno parlato come angeli, ma dentro di sé non hanno riconosciuto che le cose naturali e hanno negato il divino e le cose che appartengono alla Chiesa e al Cielo.
(459)
La forma umana di ogni uomo dopo la morte è tanto più bella quanto più intimamente egli ha amato le divine verità ed è vissuto in base ad esse. L’interiorità di ognuno è aperta e configurata secondo l’amore e la vita; per questo più l’amore è interiore, più è conforme al Cielo e di conseguenza rende più bello il volto. Gli angeli più belli sono quindi quelli che sono nel Cielo intimo. La loro bellezza è tale che mai nessun pittore con tutta la sua arte potrà riprodurla; invece gli angeli dell’ultimo Cielo possono fino a un certo punto essere imitati con la pittura.
(460)
In conclusione rivelerò un arcano che non è ancora stato rivelato da nessuno: tutto il bene e tutto il vero che procedono dal Signore e costituiscono il Cielo sono in forma umana, sia in generale che nelle parti più minute. Questa forma è anche quella del Cielo, di ogni società e di ogni angelo. Già ne abbiamo trattato dal n. 59 all’86. A questo bisogna aggiungere che la forma umana è anche la forma di ogni cosa del pensiero che deriva dall’amore celeste presso gli angeli. Questo arcano però è difficilmente compreso dall’intelletto umano, mentre è facilmente compreso dagli angeli perché essi sono nella luce del Cielo.
(49)
L’UOMO DOPO
LA MORTE È IN POSSESSO
DI TUTTI I SUOI SENSI,
DELLA MEMORIA, DEL PENSIERO,
DEGLI AFFETTI CHE AVEVA
NEL MONDO: ABBANDONA
SOLTANTO IL SUO CORPO TERRENO
(461)
Ho acquisito la certezza che l’uomo quando passa dal mondo naturale al mondo spirituale, cosa che avviene dopo la sua morte, porta con sé tutto ciò che gli appartiene, eccetto il suo corpo terreno. In effetti, quando l’uomo entra nel mondo spirituale, ha un corpo come l’aveva nel mondo, senza differenza apparente: egli infatti non ne vede e non ne sente nessuna. Tuttavia il suo corpo è spirituale e di conseguenza separato o purificato dalle cose terrene. Lo spirituale vede e tocca lo spirituale, come il naturale vede e tocca il naturale. Ne risulta che l’uomo divenuto spirito sa di essere nel corpo nel quale era anche nel mondo, e di conseguenza non sa di essere morto. L’uomo-spirito gioisce anche di tutti i sensi interiori ed esteriori di cui godeva nel mondo: vede, capisce, parla come prima. Ha anche il gusto e l’odorato, e sente col tatto come prima. Ha delle inclinazioni, dei desideri, pensa, riflette, ama, vuole come prima. Chi ama gli studi, legge e scrive; in una parola, quando l’uomo passa ad un’altra vita non fa che passare da un luogo all’altro, e porta con sé quello che aveva, senza perdere nulla di ciò che gli apparteneva. Tutto quello che ha sentito nel mondo, visto, letto, imparato, pensato dalla prima infanzia all’ultimo momento della sua vita, cioè ciò che fa parte della sua memoria naturale, lo porta con sé. Però gli oggetti naturali che sono nella memoria e che non possono essere riprodotti nel mondo spirituale, restano in riposo, come capita all’uomo quando non pensa a questi oggetti; essi sono però riprodotti quando piace al Signore. Negli articoli che seguiranno parleremo della memoria e del suo stato dopo la morte. L’uomo in genere non può credere queste cose sul suo stato dopo la morte, in quanto egli può pensare solo naturalmente, anche con riferimento alle cose spirituali.
(462)
Vi è comunque una grande differenza tra la vita dell’uomo nel mondo spirituale e la sua vita nel mondo naturale. Coloro che sono nel Cielo sentono, vedono e capiscono in maniera molto più precisa e pensano in maniera molto più saggia di quando erano sulla terra. Essi vedono grazie alla luce del Cielo, che supera di gran lunga quella del mondo e vivono in un’atmosfera spirituale che è anch’essa infinitamente superiore a quella terrena. Un paragone che si potrebbe fare tra i sensi interiori e quelli esteriori è quello tra la luce del mezzogiorno e l’ombra della sera, o tra la luminosità di un giorno sereno e l’oscurità di un cielo tempestoso.
(462 bis)
Mi è stato dimostrato da numerose esperienze che l’uomo uscito dal mondo conserva prima di tutto la sua memoria. A questo proposito ho visto e compreso molte cose ben degne di essere menzionate, e ne riporterò alcune. Certi spiriti negano le infamie e i crimini che avevano commesso nel mondo; tuttavia queste cattive azioni - adulteri e truffe, furti e inganni - vengono svelati e messi in luce in ogni dettaglio, insieme ai pensieri e alle intenzioni, così che non possono essere più negati. L’uomo quindi porta con sé tutta la sua memoria, e al mondo non c’è nulla di così nascosto da non divenire manifesto dopo la morte; e questo in presenza di parecchi testimoni, secondo le parole del Signore:
Non vi è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Pertanto ciò che avete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne, sarà annunciato sui tetti (Luca, XII, 2-3).
(463)
Gli angeli che sono incaricati di svelare le azioni di un uomo dopo la sua morte esaminano in primo luogo il suo volto. Poi l’ispezione prosegue su tutto il corpo, cominciando con le dita dell’una e dell’altra mano e continuando così in tutte le altri parti del corpo. Poiché mi meravigliavo di questa ispezione, mi fu spiegato che ogni cosa che appartiene al pensiero e alla volontà è iscritta nel cervello perché è là appunto che sono i principi di base, però è iscritta anche in tutto il corpo perché tutto ciò che appartiene al pensiero e alla volontà si estende in tutto il corpo e termina in esso. Quindi tutte le cose che sono iscritte nella memoria in base alla volontà si ritrovano non solo nel cervello, ma in tutto l’uomo, secondo l’ordine delle parti del corpo. In altre parole, tutte le azioni dell’uomo e tutti i pensieri sono iscritti nell’uomo tutto intero e risultano quindi come stampate in un libro; e quando uno spirito è visto alla luce del Cielo, le sue azioni e i suoi pensieri vengono visti come in uno specchio.
(464)
La memoria esterna o naturale si conserva nell’uomo dopo la morte; tuttavia le cose puramente naturali che rientrano in questa memoria non vengono riprodotte nell’altra vita. Sulla terra l’uomo pensava naturalmente, cioè intellettualmente e razionalmente. Per questa ragione la memoria esterna o naturale si riposa nell’altra vita con riferimento al suo contenuto materiale, appunto perché queste cose non possono essere riprodotte; infatti angeli e spiriti parlano in base alle tendenze e ai pensieri che fanno parte della loro mente.
(465)
Uno spirito era indignato per il fatto che non riusciva a ricordarsi di parecchie cose che aveva conosciuto durante la sua vita terrena, e rimpiangeva la perdita di piaceri che erano stati molto grandi per lui. Gli fu allora detto che non aveva perduto assolutamente niente e che quello che aveva saputo in generale e in particolare lo sapeva ancora; ma che nel mondo dove si trovava adesso non gli era permesso di rievocare tali conoscenze e che doveva essere contento di pensare e parlare molto meglio, più perfettamente, senza immergere la sua mente in cose materiali e corporali che nel regno in cui ora si trovava non erano di alcuna utilità. Gli spiegarono che ora possedeva tutto ciò che poteva servirgli per la vita eterna, e che solo in questo modo poteva giungere alla beatitudine e alla felicità. Aggiunsero che è un grande errore credere che in questo regno, con l’allontanamento e il riposo delle cose materiali dalla memoria, l’intelligenza perisca; al contrario più la mente è distolta dalle cose sensuali che appartengono all’uomo esteriore o al corpo, più si eleva verso le cose spirituali e celesti.
(466)
A volte, nell’altra vita, la qualità delle memorie è resa visibile da forme che appaiono soltanto là. Là infatti la memoria esteriore prende l’apparenza di un corpo calloso, e la memoria interiore quella di una sostanza midollare, simile a quella del cervello umano; si può in questo modo sapere quali sono queste memorie. Tale callosità appare dura e striata interiormente, formando come dei tendini, in coloro che nella vita terrena hanno sviluppato solo la loro memoria trascurando la loro razionalità. In coloro che hanno riempito la loro memoria di falsità appare stopposa e a forma di chioma disordinata, a causa dell’ammasso confuso di cose che vi si trovano. In coloro che hanno coltivato la loro memoria in vista dell’amore di sé e del mondo, appare come ossificata. In coloro che hanno voluto penetrare i segreti divini con ricerche scientifiche e soprattutto filosofiche, e che non sono stati capaci di credere senza prima acquisire dei precisi e concreti convincimenti, appare tenebrosa, capace di assorbire i raggi della luce e trasformarli in tenebre. Presso i furbi e gli ipocriti appare dura come l’ebano e riflette i raggi della luce. Un tale corpo calloso non appare affatto in coloro che sono vissuti nel bene dell’amore e nel vero della fede, perché la loro memoria interiore trasmette i raggi della luce alla memoria esteriore, agli oggetti, alle idee, trovandoli dei ricettacoli deliziosi; infatti la memoria esteriore è l’ultimo grado dell’ordine nel quale terminano e riposano dolcemente le cose spirituali e celesti, quando si è nel bene e nel vero.
(467)
Gli uomini che sono nell’amore verso il Signore e nella carità nei riguardi del prossimo hanno in sé, durante la loro vita nel mondo, un’intelligenza e una saggezza angelica, che sono celate nel profondo della loro memoria interiore. Questa intelligenza e questa saggezza non possono apparire loro prima che essi si siano spogliati delle cose corporali; allora la memoria si assopisce e questa intelligenza e questa saggezza si ridestano nella memoria interiore, e poi in seguito anche nella memoria angelica stessa.
(468)
Ecco come la razionalità può essere coltivata. La vera razionalità è costituita di verità, che sono di tre generi: verità civili, morali e spirituali. Le verità civili si rapportano alla giustizia e al governo di ogni paese. Le verità morali si rapportano alla vita di ogni uomo e alle sue relazioni con la società; le verità spirituali si rapportano alla vita del Cielo e della Chiesa. La razionalità è aperta al primo grado dalle verità civili, al secondo grado dalle verità morali e al terzo grado dalle verità spirituali.
(469)
Al pari degli uomini, gli spiriti e gli angeli hanno dunque una memoria. In effetti tutto quello che essi capiscono, vogliono, pensano, vedono e vanno resta in loro. E’ così che la loro razionalità è continuamente coltivata durante l’eternità ed essi sono perfezionati in intelligenza e saggezza dalle conoscenze del vero e del bene, come gli uomini.
(50)
L’UOMO, DOPO LA MORTE,
È COSÌ COME È STATA LA SUA
VITA NEL MONDO
(470)
Ogni cristiano sa grazie alla Scrittura che la vita di ognuno resta la stessa dopo la morte. In numerosi passaggi è detto che l’uomo sarà giudicato e premiato secondo le sue azioni e le sue opere. Chi pensa in base al bene e al vero, non può impedirsi di vedere che coloro che vivono bene vanno in Cielo e coloro che vivono male vanno all’inferno. Al contrario, chi vive nel male non vuole credere che il suo stato dopo la morte dipenda dalla sua vita nel mondo. Egli pensa, specie quando è ammalato, che il Cielo sia accordato ad ognuno per pura misericordia, in qualunque modo sia vissuto.
(417)
In un gran numero di passaggi della Scrittura è detto che l’uomo sarà giudicato e premiato a seconda delle sue azioni e delle sue opere;
Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Matteo XVI, 27).
Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono (Apocalisse XIV, 13).
Darò a ciascuno di voi secondo le proprie opere (Apocalisse II, 23).
Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti libri e fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a quello che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere (Apocalisse XX, 12).
Li ripagherà secondo le loro azioni, secondo le opere delle loro mani (Geremia XXV, 14).
In queste affermazioni circa il giudizio ultimo, il Signore non menziona altro che le opere e dice che entreranno nella vita eterna coloro che hanno compiuto opere buone, mentre saranno dannati coloro le cui azioni sono state malvage (Matteo XXV, 32-46). Anche molti altri passi della Scrittura ripetono questi concetti. E’ dunque evidente che le opere e le azioni sono la vita esteriore dell’uomo, e attraverso di loro si manifesta la sua vita interiore.
(472)
Le opere e le azioni manifestano la vita interiore in quanto ogni azione e ogni opera procede dalla volontà e dal pensiero dell’uomo; se così non fosse, l’uomo sarebbe una macchina automatica. Di conseguenza l’azione o l’opera considerata in se stessa è soltanto un effetto che procede dalla volontà e dal pensiero, al punto che la volontà e il pensiero condizionano sia l’effetto che la forma esteriore. Se pensiero e volontà sono buoni, lo sono anche le opere e le azioni; se pensiero e volontà sono cattivi, lo sono anche le opere e le azioni. Mille uomini possono compiere un’azione simile nella forma esteriore, e tuttavia l’azione di ognuno considerata in se stessa è diversa perché procede da una diversa volontà.
(473)
Se l’uomo ama ciò che crede, allora lo vuole, e se può lo fa. E’ evidente e noto ad ognuno che amore e fede sono nella volontà e nel pensiero dell’uomo; infatti è la volontà che viene infiammata dall’amore, mentre il pensiero viene illuminato nelle cose della fede.
(474)
Quando la fede è separata dall’amore, non è affatto una fede, ma soltanto una scienza che non ha in sé alcuna vita spirituale. Lo stesso vale per un’azione o un’opera fatta senza amore; essa allora non è altro che un’opera di morte e non un’opera di vita; e solo l’amore del male e la fede nel falso le danno un’apparenza di vita. Questa apparenza è chiamata morte spirituale.
(475)
L’uomo si ritrova tutto intero nelle azioni e nelle opere; volontà e pensiero, o amore e fede, costituiscono l’interiorità dell’uomo. Pensare e volere senza agire quando lo si può fare, è cosa simile a una fiamma che, chiusa in un vaso, si spegne; o a un seme che viene gettato nella sabbia, dove non germoglia e perisce. Ma pensare, volere e poi agire è cosa simile a una fiamma che effonde da tutte le parti calore e luce; o a un seme che viene gettato in una buona terra, si sviluppa e diviene un albero o un fiore. Volere e non agire quando lo si può fare, non è volere; amare e non fare del bene quando lo si può fare, non è amare; pensare soltanto che si vuole e si ama, è un pensiero separato che svanisce e si dissipa. Il corpo spirituale dell’uomo è formato dalle cose che l’uomo fa in base alla sua volontà o al suo amore.
(476)
Quanto fin qui detto consente di capire che ciò che resta della vita dell’uomo dopo la morte sono l’amore e la fede, non solo in potenza ma anche in atto. Restano cioè le sue azioni e le sue opere, perché esse contengono in se stesse tutto ciò che appartiene all’amore e alla fede dell’uomo.
(477)
L’amore dominante resta nell’uomo dopo la morte, e non cambia mai durante l’eternità. Nell’uomo vi sono parecchi amori, tuttavia essi si rapportano tutti al suo amore dominante e ne fanno una cosa sola con lui. Se l’amore dominante è composto da amori celesti, l’uomo si unisce alle società celesti; se invece è composto di amori infernali, l’uomo si unisce alle società infernali.
(478)
Riassumendo e sintetizzando: in primo luogo, l’uomo dopo la morte è il suo amore o la sua volontà. In secondo luogo, l’uomo resta eternamente quello che è con riferimento alla sua volontà o al suo amore dominante. In terzo luogo, l’uomo il cui amore è celeste o spirituale va in Cielo; l’uomo il cui amore è corporale e mondano va all’inferno. In quarto luogo, se la fede non deriva da un amore celeste, non resta nell’uomo. In quinto luogo, ciò che resta è l’amore in atto, ovvero la vita dell’uomo.
(479)
Numerose esperienze mi hanno mostrato che lo spirito dell’uomo è il suo amore dominante. Per esempio il fatto che ogni spirito coglie e fa suo tutto ciò che conviene al suo amore, e rifiuta e allontana da sé tutto ciò che non gli conviene. L’amore di ciascuno è simile a un bosco dal terreno morbido e poroso, che si imbeve dei liquidi che convengono alla sua vegetazione e rifiuta tutti gli altri; o come gli animali di tutti i tipi che conoscono i loro alimenti, ricercano con avidità le cose che convengono alla loro natura e si distaccano da quelli che non sono adatti a loro. A volte mi è stato concesso di vedere qualche spirito buono e semplice che voleva istruire degli spiriti malvagi nelle verità e nel bene; costoro però rifuggivano questa istruzione e fuggivano lontano, e quando erano giunti presso i loro simili accoglievano con grande piacere le falsità che convenivano al loro amore. (Tutte le tendenze vengono chiamate amore in quanto vengono amate). Mi è anche stato concesso di vedere dei buoni spiriti che si intrattenevano tra loro sulle verità e vi trovavano grande interesse; gli spiriti malvagi invece che erano anch’essi presenti non vi prestavano alcuna attenzione, come se non sentissero neppure. Nel mondo degli spiriti ci sono delle vie, alcune delle quali conducono al Cielo, le altre all’inferno; ogni via conduce a una particolare società. Gli spiriti buoni camminano sulla via che conduce al Cielo, verso la società che è nel bene del loro amore, e non vedono le vie che vanno verso un’altra direzione. Al contrario i cattivi spiriti seguono le vie che conducono all’inferno, verso la società che è nel male del loro amore; essi non vedono le vie che conducono altrove, e se le vedono non vogliono seguirle.
(480)
E’ stato detto che l’uomo dopo la morte resta per l’eternità tale e quale con riferimento alla sua volontà o all’amore dominante: ciò mi è stato confermato da un gran numero di esperienze. Mi è stato concesso di parlare con spiriti che erano vissuti più di mille anni fa, la cui vita è conosciuta e descritta nei libri storici. Questi spiriti erano ancora simili a se stessi, proprio come erano stati descritti, tuttora rivolti alla via che avevano seguito durante la loro vita. Lo stesso avviene in coloro che sono vissuti diciassette secoli or sono, oppure tre o quattro. Gli angeli mi hanno spiegato che durante l’eternità la vita dell’amore dominante non viene mai cambiata in nessuno perché ognuno ha il suo amore. Cambiare tale amore, sarebbe privare lo spirito della sua vita o della possibilità di capirla. Questa vita costituisce infatti il fondamento e la base della vita spirituale. Quindi l’uomo resta legato al suo amore dominante.
(481)
Dopo la morte, gli amori dominanti della vita di tutti coloro che giungono nel mondo degli spiriti sono esaminati in base alla loro qualità; dopo di ché ognuno è unito a coloro che sono in amore analogo: coloro che sono in un amore celeste sono uniti a coloro che sono in Cielo, e quelli che sono in un amore corporale a coloro che sono all’inferno. Ciascuno diviene veramente il proprio amore, non soltanto per quello che riguarda l’interiorità e la mente, ma anche per quello che riguarda l’esteriorità, il volto, il corpo e il linguaggio. Coloro che sono in un amore corporale, divengono pesanti, scuri, neri e malformati; ma coloro che sono nell’amore celeste appaiono vivi, luminosi, belli e di un bianco splendente. Essi differiscono anche nel carattere e nel pensiero: i primi sono torpidi e quasi insensati, gli altri saggi e intelligenti. Coloro che sono nell’amore corporale non riescono neppure a vedere la luce del Cielo, che per loro è tenebra. Per questo la fuggono e si nascondono negli antri e nelle caverne a una profondità che è in rapporto con i loro errori e i loro mali. Però la luce dell’inferno, che è simile a quella emanata dai carboni accesi, è per loro come luce chiara. Al contrario coloro che sono nell’amore celeste, più si addentrano nella luce del Cielo, più questa per loro diviene chiara e splendente e più loro la percepiscono con intelligenza e saggezza.
(482)
Coloro che sono in un amore corporale e mondano, privi di amore celeste e spirituale, non possiedono neppure la fede; anche per costoro la luce del Cielo è come tenebra, e tenebra è in loro stessi.
(483)
Quello che resta dopo la morte è quindi l’amore in atto, cioè la vita stessa dell’uomo. Questa è la conclusione di tutto ciò che è stato appena detto e mostrato circa le azioni e le opere. L’amore in atto è opera e azione.
(484)
Bisogna sapere che tutte le opere e tutte le azioni appartengono alla vita morale e sociale e di conseguenza riguardano ciò che è sincero e giusto, retto e equo. L’amore in base al quale tali azioni e opere vengono compiute è celeste o infernale: celeste se le azioni e le opere sono fatte in base a un amore celeste, infernale se sono fatte in base a un amore infernale, cioè amore di sé e del mondo.
(51)
DOPO LA MORTE,
LE GIOIE DELLA VITA
DI OGNUNO SONO TRASFORMATE
IN GIOIE CORRISPONDENTI
(485)
Nel capitolo precedente è stato mostrato che l’amore dominante resta con l’uomo per l’eternità. Ora sarà mostrato che le gioie di questo amore sono trasformate in gioie corrispondenti, cioè in gioie spirituali che corrispondono alle gioie naturali. E’ evidente che questo avviene perché nel mondo naturale l’uomo ha un corpo terreno che abbandona quando arriva nel mondo spirituale per rivestire un corpo spirituale.
(486)
Tutte le gioie che l’uomo prova appartengono al suo amore dominante, perché l’uomo prova gioia soltanto per ciò che ama e in particolare per ciò che ama sopra ogni cosa. Queste gioie sono varie: ce ne sono tante quanti sono gli amori dominanti, e di conseguenza tante quanti sono gli uomini, gli spiriti e gli angeli, perché l’amore dominante dell’uno non è mai uguale a quello dell’altro. Ne deriva che il volto di uno non è mai del tutto simile a quello di un altro, perché il volto di ognuno è l’immagine del suo spirito, e quindi nel mondo spirituale quella del suo amore dominante. Le gioie di ogni persona in particolare sono di una infinita varietà; tuttavia esse si rapportano tutte all’amore dominante, lo compongono, costituiscono una sola cosa in lui. In Cielo, tutte le gioie si rapportano all’amore universalmente dominante, cioè all’amore verso il Signore, e all’inferno all’amore per se stessi.
(487)
Solo la scienza delle corrispondenze può far capire quali siano le gioie spirituali nelle quali sono trasformate le gioie naturali di ognuno dopo la morte, e qual è la loro qualità. Questa scienza insegna in generale che non esiste niente di naturale a cui non corrisponda qualcosa di spirituale. Essa insegna anche in particolare quali sono le corrispondenze e di quale qualità sono. Chi possiede questa scienza può informarsi del suo stato dopo la morte e sapere ciò che sarà, ammesso che conosca il proprio amore e il suo rapporto con l’amore universale. Però conoscere il proprio amore dominante è impossibile a coloro che vivono nell’amore di sé, perché essi amano ciò che loro appartiene, chiamano bene i mali e verità le cose sbagliate che favoriscono i loro mali e li confermano. Tuttavia, se lo vogliono, possono avere questa conoscenza grazie ad altri che sono saggi e che vedono ciò che loro non vedono. Chi però è totalmente preso dall’amore di se stesso, rifiuta con disprezzo ogni insegnamento saggio. Gli spiriti non possono vedere da soli i loro mali e i loro errori e quelli che sono tutti presi dall’amore di sé e del mondo non possono essere condotti verso il Signore: per loro sincerità, giustizia e amore celeste non esistono e sono incomprensibili. Queste cose vengono dette affinché l’uomo esamini se stesso, conosca il proprio amore in base alle proprie gioie e conosca di conseguenza lo stato della sua vita dopo la morte in base alla scienza delle corrispondenze.
(488)
La scienza delle corrispondenze può far conoscere in che modo le gioie della vita di ognuno sono cambiate in gioie corrispondenti dopo la morte. Dato però che questa scienza non è ancora stata divulgata, farò un po’ di luce su questo argomento riferendo qualche esempio fornito dall’esperienza. Tutti coloro che sono nel male, specie quelli che hanno rifiutato la Scrittura, fuggono la luce del Cielo. Si ritirano in caverne oscure e in buchi della roccia e vi si nascondono, perché hanno amato il falso e odiato il vero. Caverne, buchi nella roccia e tenebre corrispondono al falso così come la luce corrisponde al vero. Essi godono ad abitare lì, mentre soffrono se si trovano in campagna alla luce del giorno. Coloro che si sono compiaciuti di tendere inganni e macchinare furberie, si comportano in questo modo. Stanno dentro le caverne, entrano in volte così oscure che non si vedono neppure tra loro e si parlano a bassa voce nelle orecchie: la gioia del loro amore si trasforma in questa maniera. Coloro che hanno coltivato le scienze al solo scopo di passare per eruditi, godendo della propria memoria che suscitava in loro gran vanità, amano i luoghi sabbiosi e li scelgono piuttosto che le fertili campagne e i giardini, perché i luoghi sabbiosi corrispondono ai loro studi. Coloro che sono stati nelle dottrine delle rispettive chiese senza mai applicarle alla loro vita, scelgono luoghi pietrosi e abitano in mezzo a mucchi di massi; fuggono i luoghi coltivati perché li hanno in avversione. Coloro che hanno attribuito tutto alla natura o alla propria prudenza, e che con diversi artifici si sono innalzati a degli onori e hanno conquistato ricchezze, si dedicano nell’altra vita ad arti magiche che sono abusi dell’ordine divino, e in esse trovano il massimo piacere della loro vita. Coloro che hanno applicato le divine verità ai propri amori e in questo modo le hanno falsificate, amano i luoghi sporchi e pieni di urina, perché tali luoghi corrispondono ai piaceri di un tale amore. Coloro che sono stati sordidamente avari abitano in caverne, amano gli escrementi dei maiali e il cattivo odore simile a quello che proviene da una cattiva digestione. Coloro che hanno passato la loro vita nelle voluttà e nelle mollezze e sono stati smodatamente golosi ponendo nelle cose il bene sovrano della vita, nell’altra vita amano le latrine che per loro sono delle delizie; fuggono i luoghi puliti che per loro non presentano alcuna piacevolezza. Coloro che hanno provato piacere nel compiere adulteri, vivono in luoghi di prostituzione dove tutto è sporco e disgustoso. Amano questi luoghi e fuggono le case oneste; provano il più grande piacere nel distruggere i matrimoni. Coloro che sono stati avidi di vendette e di conseguenza hanno acquisito una natura feroce e crudele, amano le sostanze cadaveriche e abitano in caverne così fatte.
(489)
Invece i piaceri della vita di coloro che nel mondo sono vissuti nell’amore celeste sono trasformati in piaceri corrispondenti, come quelli che esistono nei Cieli e che provengono dal sole del Cielo e dalla luce di questo sole. Questa luce presenta alla vista oggetti che racchiudono interiormente cose divine e che rappresentano esteriormente le gioie dei loro amori. Farò ora qualche esempio sulla base della mia esperienza: coloro che hanno amato le divine verità e la Scrittura per tendenza interiore o per amore delle verità stesse, abitano nell’altra vita nella luce, su luoghi elevati che appaiono come montagne e sono continuamente nella luce del Cielo. Essi non conoscono le tenebre come quelle della notte nel mondo e vivono sempre in un clima primaverile. Alla loro vista si presentano come dei campi, dei prati e delle vigne. Nelle loro case tutto risplende come le pietre preziose e le finestre sono di puro cristallo. Tali sono le gioie per la loro vista; tuttavia queste gioie corrispondono interiormente alle divine verità che hanno amato e che per loro divengono bei panorami, cristallo e pietre preziose. Coloro che sono vissuti in base alle dottrine della Chiesa ricavate dalla Scrittura sono nel Cielo intimo e godono più degli altri dei piaceri della saggezza. In ogni cosa essi vedono le cose divine corrispondenti, per cui ogni cosa davanti a loro sembra ridere, gioire e vivere. Per coloro che hanno amato le scienze, attraverso queste hanno coltivato la loro mente e hanno riconosciuto il divino, le gioie scientifiche sono trasformate in gioie spirituali attinenti alle conoscenze del bene e del vero. Essi abitano in giardini fioriti, verdeggianti, circondati di viali d’alberi; fiori e alberi cambiano ogni giorno. Tali cose procurano loro gioie che vengono continuamente rinnovate dalla varietà dei particolari. Giardini, fiori, alberi, aiuole corrispondono alle scienze, alle conoscenze e di conseguenza all’intelligenza. Coloro che hanno attribuito ogni cosa al divino sono nella luce celeste, che rende gli oggetti trasparenti; in questa trasparenza la loro vista interiore coglie immediatamente innumerevoli variazioni della luce che procurano loro dei piaceri interiori. Gli oggetti che sono nelle loro case brillano come diamanti e offrono continue variazioni. Mi è stato detto che le mura delle loro case sono come cristallo e quindi trasparenti; e che tale trasparenza corrisponde all’intelletto illuminato dal Signore, dopo che le ombre provenienti da fede e amore per le cose naturali sono state scartate. Tutti gli oggetti che sono intorno a questi spiriti corrispondono alla loro interiorità e sono quindi tali da permettere agli spiriti di percepire chiaramente quello che questi oggetti rappresentano e significano. I piaceri del loro amore sono ineffabili e crescono per tutta l’eternità; essi sono tali da non poter essere descritti con parole umane. E quanto ho appena detto è ben poca cosa per descrivere le corrispondenze dei piaceri di coloro che sono nell’amore celeste.
(490)
Da quanto fin qui detto si può capire che le gioie sono trasformate dopo la morte in gioie corrispondenti; l’amore stesso però resta eternamente. Così l’amore coniugale, l’amore per la giustizia, la sincerità, l’intelligenza e la saggezza e tutti gli altri amori restano eternamente. Le cose che ne derivano sono come sorgenti perenni e costituiscono gioie che permangono, ma sono elevate a un livello superiore quando passano dalle cose naturali alle cose spirituali.
(52)
IL PRIMO STATO
DELL’UOMO DOPO LA MORTE
(491)
Dopo la morte l’uomo attraversa tre stati prima di andare o in Cielo o all’inferno. Il primo è ancora legato alla sua esteriorità, il secondo è interiore e il terzo è quello della preparazione. L’uomo attraversa questi stati nel mondo degli spiriti. Alcuni però non attraversano questi stati, ma subito dopo la morte sono elevati al Cielo o diretti all’inferno. Coloro che sono stati rigenerati e di conseguenza preparati per il Cielo nel mondo, vengono subito elevati al Cielo in quanto attraverso la rigenerazione non hanno bisogno di liberarsi dei carichi naturali del corpo; gli angeli quindi li portano subito in Cielo. Ho avuto occasione di constatare che per alcuni questo è avvenuto un’ora sola dopo la morte. Coloro al contrario che sono stati interiormente malvagi e in apparenza esteriormente buoni, che hanno avuto una malvagità piena di furberie e hanno usato la bontà per ingannare, si dirigono immediatamente all’inferno. Ho visto alcuni precipitarsi all’inferno subito dopo la morte: quelli eccessivamente furbi con la testa in basso e i piedi in alto; gli altri in maniere diverse. Alcuni, subito dopo la morte, sono gettati dentro delle caverne e così separati da coloro che sono nel mondo degli spiriti; ogni tanto comunque vengono portati fuori e in seguito ricollocati nelle caverne. Questi sono coloro che sotto pretesti civici si sono comportati malvagiamente verso il prossimo. Tutti costoro tuttavia sono poco numerosi al confronto di coloro che sono trattenuti nel mondo degli spiriti per essere preparati o per il Cielo o per l’inferno, secondo l’ordine divino.
(492)
Subito dopo la morte l’uomo arriva nel primo stato, quello legato all’esteriorità. Ogni uomo ha, quanto al suo spirito, una esteriorità e un’interiorità. L’esteriorità è quella che fa sì che lo spirito nel mondo adatti il corpo, il volto, i gesti e il linguaggio dell’uomo alla vita civile coi suoi simili. L’interiorità dello spirito riguarda invece le cose che appartengono alla volontà e quindi ai pensieri, che raramente si manifestano sul volto o attraverso la lingua o i gesti. Infatti fin dall’infanzia l’uomo si abitua a testimoniare amicizia, benevolenza e sincerità, e a nascondere volontariamente i propri pensieri. Così di solito egli conduce una vita morale e sociale a livello esteriore, qualunque sia la sua interiorità. Ne risulta che l’uomo conosce appena la propria interiorità e non le dedica alcuna attenzione.
(493)
Questo primo stato dell’uomo dopo la morte è simile al suo stato nel mondo, in quanto l’uomo si trova nella sua esteriorità. Il suo volto, il suo linguaggio, il suo carattere sono simili, e parimenti la sua vita morale e sociale. Ne consegue che egli non può far altro che credere di essere ancora nel mondo, a meno che non porti la sua attenzione agli oggetti che incontra e a quello che gli hanno detto gli angeli nel momento della sua resurrezione, cioè che ora egli è uno spirito (vedi n. 450). Così una vita continua nell’altra e la morte è soltanto un passaggio.
(494)
Lo spirito novizio dell’uomo, dopo aver lasciato la vita terrena, è riconosciuto dai suoi amici e da coloro che egli aveva conosciuto nel mondo, perché gli spiriti riconoscono uno non solo per il volto e il linguaggio che aveva nel mondo, ma anche per la sfera vitale che lo circonda. Ne consegue che tutti, nel momento stesso in cui entrano nell’altra vita, sono riconosciuti dai loro amici, parenti, conoscenti; con essi conversano e rimangono in società secondo le amicizie contratte nel mondo. Ho più volte avuto modo di vedere come i nuovi arrivati fossero lieti di incontrare di nuovo i loro amici, e questi a loro volta gioivano allo stesso modo. Avviene abitualmente che gli sposi si ritrovino e si accolgano mutualmente; essi restano insieme per un tempo più o meno lungo, a seconda del piacere della loro coabitazione nel mondo. Tuttavia, se non sono stati uniti da un amore veramente coniugale, amore che è l’unione delle menti in base all’amore celeste, dopo qualche tempo si separano. Se però le menti degli sposi sono state in opposizione e interiormente hanno avuto avversione l’uno per l’altro, allora si manifestano scoperte inimicizie e a volte si combattono. Tuttavia essi non vengono separati prima di entrare nel secondo stato, di cui si tratterà nel capitolo seguente.
(495)
E’ stato detto che la vita degli spiriti novizi non è diversa da quella che conducevano nel mondo naturale, quando sullo stato della loro vita dopo la morte e sul Cielo e l’inferno non sapevano altro che quello che avevano appreso in base al senso letterale della Scrittura e alle predicazioni relative. Ne consegue che dopo essersi meravigliati di ritrovarsi in un corpo, di possedere ancora tutti i sensi che avevano nel mondo e di vedere cose simili a quelle del mondo, essi provano il desiderio di sapere come è il Cielo e come è l’inferno, e dove sono situati l’uno e l’altro. Di conseguenza vengono istruiti dagli amici sulle condizioni della vita eterna e sono anche condotti in diversi luoghi e in diverse compagnie. Certuni sono condotti in città e giardini, dove vedono oggetti magnifici che colpiscono lo stato d’animo esteriore nel quale si trovano. A volte sono riportati ai pensieri che avevano durante la vita del corpo circa la condizione della loro anima dopo la morte, il Cielo e l’inferno. Qui sono lasciati finché s’indignano di aver interamente ignorato tali cose e di vedere che anche la Chiesa le ignora. Quasi tutti desiderano sapere se andranno in Cielo, e la maggior parte crede di potervi andare perché nel mondo ha condotto una vita morale e sociale. Essi non si rendono conto che malvagi e buoni conducono una vita simile esteriormente, fanno ugualmente del bene agli altri, frequentano le Chiese, ascoltano le prediche e pregano. Essi ignorano completamente che gli atti esterni e le esteriorità del culto non contano niente, mentre contano soltanto le disposizioni interiori da cui derivano quelle esteriori. Appena uno su mille sa in che cosa consistono le disposizioni interiori, e che il Cielo e la Chiesa risiedono in esse. Ancor meno sanno che gli atti esteriori corrispondono alle intenzioni e ai pensieri, i quali sono identici all’amore e alla fede che danno loro origine. Questa è la situazione della maggior parte dei cristiani che giungono all’altra vita.
(496)
Dato che in questo primo stato buoni e cattivi pronunciano delle verità e fanno del bene, dei buoni spiriti - con diversi mezzi – esaminano con attenzione coloro che arrivano al fine di conoscerli. Ciò avviene perché tutti sono ugualmente vissuti con moralità nella forma esteriore, sottomessi al governo e alle leggi. Per questa loro condotta morale essi hanno acquisito una reputazione di giustizia e sincerità, attirando a sé onori e ricchezze. Ciò che distingue principalmente gli spiriti malvagi dai buoni è l’avidità con la quale essi portano la loro attenzione sulle cose esteriori. Essi si occupano poco di ciò che sentono dire sulle disposizioni interiori, che sono le verità e i beni della Chiesa e del Cielo; ascoltano, è vero, ma senza attenzione e senza gioie. Li si può anche riconoscere perché quando sono lasciati a se stessi si dirigono frequentemente verso certe regioni e seguono le vie che ad esse portano. Secondo le regioni verso le quali si rivolgono, si riconosce l’amore che li conduce.
(497)
Tutti gli spiriti che arrivano dal mondo sono collegati, è vero, a qualche società del Cielo, o a qualche società dell’inferno: soltanto però per le disposizioni interiori. Queste non si manifestano a nessuno finché gli spiriti sono legati alla loro esteriorità, perché questa copre e nasconde l’interiorità, specialmente in coloro che vivono nel male interiore. In seguito però l’interiorità appare manifestamente; ciò avviene quando gli spiriti passano al secondo stato, perché allora la loro interiorità viene aperta e la loro esteriorità assopita.
(498)
Questo primo stato dell’uomo dopo la morte dura qualche giorno, qualche mese o raramente più di un anno; il tempo differisce dall’uno all’altro a seconda della concordanza o della discordanza dell’esteriorità con l’interiorità. In effetti in ognuno le disposizioni interiori e quelle esteriori devono divenire una cosa sola e corrispondersi. Non è permesso a nessuno di pensare e volere in una maniera, e parlare e agire in un’altra. Ognuno deve essere l’effige della propria affezione e del proprio amore; quindi esteriormente bisogna essere come si è interiormente. E’ per questo che le disposizioni esteriori degli spiriti vengono dapprima svelate e ricondotte all’ordine, affinché possano servire da base a quelle interiori.
(53)
IL SECONDO STATO
DELL’UOMO DOPO LA MORTE
(499)
Il secondo stato dell’uomo dopo la morte è chiamato stato interiore, perché allora l’uomo è messo nella sua interiorità che appartiene alla sua mente, alla sua volontà e al suo pensiero, mentre le disposizioni interiori in cui si era trovato durante il suo primo stato sono assopite. Chi osserva la vita dell’uomo, le sue parole e le sue azioni può constatare che ognuno ha un’interiorità e un’esteriorità, o dei pensieri e delle intenzioni interiori ed esteriori. Lo si può constatare facilmente: per esempio chi è nella vita sociale pensa degli altri ciò che ha sentito su di loro o per fama o da conversazioni, ma non secondo il suo pensiero; e per quanto sia malvagio, si comporta civilmente. Questo fanno i furbi e gli adulatori, che parlano e agiscono in modo diverso da come pensano e vogliono, e anche gli ipocriti che parlano di Dio, del Cielo, della salute delle anime, delle verità della Chiesa, del bene della patria e del p